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Foto: Fatoumata Yossi

In Mali i sogni dicono la verità

Un viaggio fotografico accanto all’anima, con il linguaggio universale della cooperazione. Immagini presentate alla Casa internazionale delle donne, a Roma: è il risultato di “un workshop collaborativo” di un mese nella capitale Bamako e di alcune missioni con le organizzazioni Coopi e WeWorld per documentare l’emergenza nelle regioni del Paese più a rischio.

Sognare nell’emergenza. Con una visione di futuro, nonostante tutto. Perché i sogni, alla fine, dicono la verità. E la verità sta nelle storie di ciascuno, nei volti, nei gesti. Come quelli ritratti nelle regioni centrali e settentrionali del Mali da sei studenti di fotografia. Sono giovani, donne e uomini: Hawa Sissoko, Amadou Guindo, Fatoumata Yossi, Jérôme Arama, Oumou Keita e Houda Gourba. Nel centro di arti visive “Soleil d’Afrique”, nella capitale Bamako, hanno partecipato a un percorso di formazione durato un mese: “un workshop collaborativo” con fotografi professionisti e operatori di organizzazioni della società civile, locali e internazionali. I sei poi sono partiti e hanno raccontato luoghi e situazioni di crisi, anche nel distretto di Mopti e nelle aree di Douentza, Koro e Bankass, più esposte alle incursioni dei gruppi armati e colpite da una crisi allo stesso tempo climatica, sociale e di sicurezza.

Dalle missioni sono nate due mostre, arrivate anche a Roma, alla Casa internazionale delle donne. Si intitolano “Nyama”, che in lingua bambara significa “accanto all’anima”, e “DaméLéKé”, suoni e pensieri malinké, a suggerire proprio che “i sogni dicono la verità”. In uno degli scatti è ritratto un uomo con il capo chino, chiuso su di sé come per proteggersi da un incubo. “Volevo testimoniare, con rispetto, ricordando che la malattia mentale è una prova che gli esseri umani a volte attraversano e che merita comprensione e compassione”, spiega Houda Morba, l’autrice della fotografia, in un video-messaggio proiettato per l’inaugurazione della mostra.

Quell’uomo vive a Koporopen, un villaggio dove è arrivato con i figli, in fuga dopo l’assalto di un gruppo armato. Morba c’è stata insieme a un’organizzazione della società civile italiana, Coopi, che supportato le vittime di quella violenza con un percorso di accompagnamento psichiatrico. Con un’altra ong, WeWorld, ha viaggiato Jérôme Arama. A Douentza ha ritratto di spalle una bambina, vestita d’azzurro con fantasie di frutti rossi, un’altra vittima del conflitto che tiene in ostaggio il Mali dal 2012: un susseguirsi di offensive, sfollamenti forzati e rappresaglie, con un ruolo dell’organizzazione armata Jama’at Nasr al-Islam wal Muslimin. “Abbiamo incontrato”, racconta Arama, “molte persone che soffrivano di stress post-traumatico, bisognose di sostegno in un momento di crisi”. Altre immagini arrivano da Bankass, dove Fatoumata Yossi ha visitato gli “spazi amici dei bambini” gestiti da Coopi. “Qui si gioca, si disegna, si racconta”, sottolinea l’autrice. “Attraverso queste attività i bambini imparano a uscire dal silenzio, a liberarsi della timidezza, a respirare di nuovo: l’obiettivo è aiutare a ritrovare il proprio equilibrio, in un luogo sicuro”.

Workshop e missioni sono stati sostenuti sul piano della formazione da Michele Cattani, un fotografo italiano di base nella regione del Sahel, e sul piano logistico dagli operatori di Coopi e WeWorld. Persone e luoghi ritratti sono al centro di iniziative di emergenza finanziate e supportate dalla Cooperazione italiana.

Con le fotografie si prova ad andare oltre la geopolitica e anche la crisi umanitaria, indagando più in profondità, come accanto all’anima. “Siamo partiti da una domanda, chiedendoci se è possibile sognare e avere progettualità in una situazione di emergenza”, ci dice Chiara Barison, responsabile comunicazione nella Sede di Dakar dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (Aics) che ha promosso l’iniziativa. “Si è delineato un percorso per certi versi atipico, con in primo piano le storie delle persone e lo sguardo dei fotografi maliani”.

Di “un prisma inusuale” parla anche Cattani, in un altro video-messaggio proiettato per l’inaugurazione della mostra, il 25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. “Attraverso il sogno si è provato a indagare una dimensione più intima dell’esperienza e della vita personale”, sottolinea il fotografo, facendo riferimento in particolare a DaméLéKé. “Ne sono nati alcuni ritratti che hanno un linguaggio universale, comprensibile a tutti, indipendentemente dalle culture e dalle provenienze”.

Biografia
Vincenzo Giardina
Nato a Padova, laureato in storia contemporanea, è un giornalista professionista. Coordina il notiziario internazionale dell’agenzia di stampa Dire. Tra le sue collaborazioni Il Venerdì di Repubblica, Internazionale, l’Espresso e Nigrizia. Già redattore dell’agenzia di stampa missionaria Misna, si è specializzato sull’Africa e sui temi dei diritti umani e della lotta contro le disuguaglianze. Scrive su Oltremare, magazine dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo, e interviene come esperto o inviato su Radio Rai, Radio Vaticana e altre emittenti. Suoi articoli e reportage sono pubblicati anche da La Stampa e Vanity Fair. Parla più lingue, tra le quali il russo.
www.vincenzogiardina.org
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