COP30, ecco cosa è successo in Brasile al negoziato sul clima
Lo scorso 22 novembre si è chiusa a Belém, Brasile, la COP30, segnata dalle complessità geopolitiche e sulle incertezze di come aumentare l’ambizione per contenere l’aumento medio delle temperature globali entro 1,5°C a fine secolo.
La presidenza brasiliana si è distinta per il tentativo – fallito – di definire una roadmap per la transizione dalle fonti fossili una strategia condivisa per capire come e quando ridurre l’uso di carbone, petrolio e anche gas. Nulla di fatto anche per la roadmap sulla deforestazione, che non ha trovato il consenso nonostante il lancio dell’importante Tropical Forest Forever Fund, un maxi-fondo per la tutela delle foreste pluviali.
“Il risultato di questa COP è un testo di compromesso che dà una prima risposta, non scontata nell’attuale contesto geopolitico, di come colmare il divario tra le politiche attuali e l’obiettivo di 1.5°C”, afferma Luca Bergamaschi, Direttore e Co-fondatore di ECCO – il think tank italiano per il clima. Certo la Mutirão Decision, il testo politico della COP30 riafferma innanzitutto l’Accordo di Parigi come stella polare della cooperazione internazionale e dimostra che la maggioranza dei Paesi, con l’Europa al centro, è pronto ad avviare un percorso di uscita dai combustibili fossili. Ma di fatto il mondo è spaccato in due parti, nonostante gli investimenti globali nelle energie pulite siano raddoppiati nel 2024 rispetto a quelli fossili e sempre più cittadini siano a favore della transizione.

Foto: João Risi / SEAUD / PR
Quando la roadmap sui combustibili fossili è stata tolta dal testo finale, il presidente della COP il brasiliano André Corrêa do Lago ha ribadito ciò che gli oppositori (Paesi arabi, Russia, India) si sono rifiutati di accettare: la transizione deve seguire la scienza. Aggirando il meccanismo del consenso ha formato un gruppo di lavoro composto da 85 paesi disponibili a costruire la prima tabella di marcia globale per l’eliminazione dei combustibili fossili, sostenendo i piani della Colombia e dei Paesi Bassi per una Conferenza globale sull’eliminazione graduale nel 2026. La Mutirão Decision si è limitata a ribadire la traiettoria tracciata a Dubai su questo tema, quella del transitioning away, la transizione da carbone, petrolio e gas, da fare in qualche modo, entro il 2050. Va sottolineato che, per sostenere questa transizione, le Parti hanno comunque approvato una nuova serie di processi per accelerare la transizione energetica, come il Global Implementation Accelerator e la Belém Mission to 1.5, che si spera possano diventare strumenti concreti per permettere ai Paesi di collaborare, ciascuno con i propri percorsi, per avanzare nella definizione del “come” uscire dai combustibili fossili. Ma molti negoziatori sono scettici, confermando off the record che l’eccesso di tavoli di lavoro può ritardare significativamente l’impatto sugli NDC e sull’avanzamento dei progressi all’interno dell’Accordo di Parigi.
Dal punto di vista tecnico Belém ha portato a casa alcuni risultati positivi: approvati l’impegno a voler triplicare le finanze per l’adattamento e un set di indicatori per il reporting, lungamente attesi; si ribadisce la tutela della biodiversità come strategia climatica e si sono rafforzati i diritti di proprietà sulle proprie terre delle popolazioni indigene e comunità locali.
Tropical Forest Forever Fund
Lula si è giocato molto del suo capitale politico sul fondo per le foreste, il Tropical Forest Forever Fund (TFFF), lanciato in occasione del Vertice dei leader della COP30 il 6 novembre a Belem.

Foto: Marcello Nicolato
Gestito dalla Banca Mondiale, questo fondo, fortemente voluto da Lula – e nato come idea ben quindici anni fa – ha l’obiettivo di raccogliere e investire fino a 125 miliardi di dollari provenienti da fonti pubbliche, private e filantropiche, destinando i rendimenti a circa 74 paesi in via di sviluppo che dovranno gestire adeguatamente le proprie foreste, fermando incendi e deforestazione. A conclusione dei negoziati aveva raccolto impegni per 5,5 miliardi, una cifra ben inferiore ai 25 miliardi di dollari prefissati. La Norvegia ha stanziato 3 miliardi di dollari per i prossimi dieci anni a determinate condizioni, il Brasile e l’Indonesia hanno riconfermato i propri impegni per 1 miliardo di dollari, il Portogallo ha impegnato un simbolico milione di dollari, la Francia ha indicato che, a determinate condizioni, prenderà in considerazione un impegno di un massimo di 500 milioni di euro fino al 2030, i Paesi Bassi hanno impegnato 5 milioni di dollari. UK, Germania, Italia per il momento non hanno annunciato stanziamenti.
In ogni caso sarà uno dei più grandi fondi di investimento multilaterali per la natura, segnale di una nuova era di collaborazione globale tra investimenti pubblici e privati. Il mondo della società civile guarda al TFFF con un misto di approvazione e cautela. Per Carolina Pasquali, Executive Director di Greenpeace Brasile, “il lancio del Tropical Forest Forever Facility rappresenta una tappa fondamentale per la protezione delle foreste tropicali mondiali. Il meccanismo può e deve essere migliorato per colmare alcune lacune, ma è comunque un passo nella giusta direzione poiché valorizza le foreste esistenti e garantisce l’accesso diretto alle risorse alle popolazioni indigene e alle comunità locali. Poiché i tassi di deforestazione in Amazzonia continuano a diminuire – dell’11% rispetto al periodo precedente e del 50% rispetto al 2022 – il Brasile si trova in una posizione unica per sfruttare lo slancio e aprire la strada alle parti della COP30 affinché elaborino un piano d’azione globale per porre fine alla deforestazione e al degrado forestale entro il 2030”.
Il TFFF Fund è suddiviso in due entità, con un segretariato che coordina le rispettive attività. La Facility è la prima, con il compito di istituire il sistema di ricompense derivate dai profitti delle obbligazioni, i criteri di ammissibilità dei progetti da finanziare, le metodologie di monitoraggio e le regole di erogazione, nonché la gestione dei rapporti e la rendicontazione con i paesi beneficiari partecipanti. L’altro è il principale braccio finanziario del TFFF, il Fondo di investimento per le foreste tropicali (TFIF), responsabile dell’emissione di obbligazioni e della gestione delle risorse finanziarie erogate da fondi sovrani, organizzazioni filantropiche e fondi privati. I principali beneficiari saranno Brasile, Colombia, Repubblica Democratica del Congo, Ghana, Indonesia e Malesia, i quali sono una parte importante del comitato direttivo provvisorio per definire lo sviluppo del TFFF.
Finanza e adattamento

Photo: © UN Climate Change – Kiara Worth
Sul fronte finanziario, la COP30 invia un messaggio più incoraggiante sull’importanza di investire in resilienza e decide di triplicare la quota dei finanziamenti per l’adattamento entro il 2035, forse la notizia tecnica più importante di questa COP. Emergono impegni per rendere la finanza climatica più prevedibile, accessibile e commisurata ai bisogni dei Paesi vulnerabili, elementi essenziali per un sistema finanziario più equo e allineato alle sfide climatiche. “Non si tratta di triplicare le risorse entro il 2030 come chiesto dai paesi in via di sviluppo”, dice Eleonora Cogo, Responsabile del Cluster Finanza di ECCO – il think tank italiano per il clima, “ma è un importante riconoscimento che i finanziamenti per l’adattamento devono continuare a crescere con l’aumentare degli impatti climatici. Il riferimento a 1/CMA.6 colloca questo nuovo obiettivo nel quadro dell’NCQG, il che significa che i paesi sviluppati assumono un ruolo guida e gli altri paesi sono incoraggiati a contribuire volontariamente”. Per l’ammontare però bisognerà attendere il 2027, quando avremo i dati sui livelli di finanziamento del 2025. Meno soddisfazione invece per gli attesi indicatori sull’adattamento, fondamentali per l’implementazione dei NAPs, i Piani Nazionali per l’adattamento. I 60 indicatori adottati avrebbero dovuto essere per molti esperti maggiormente dettagliati per garantire che i progressi globali siano misurabili. L’elenco adottato comprende indicatori per monitorare i mezzi di attuazione (finanziamenti, trasferimento di tecnologie e sviluppo di capacità), un indicatore sulle politiche di adattamento sensibili alla dimensione di genere e suggerimenti per la disaggregazione (ad esempio per genere, età, aree geografiche ed ecosistemi). Tuttavia, le modifiche dell’ultimo minuto apportate all’elenco degli indicatori, accuratamente elaborato da un gruppo di esperti negli ultimi due anni, ne hanno compromesso la credibilità e ne renderanno più difficile l’attuazione.
Food system

Foto: Ricardo Stuckert / PR
Con il gigante dell’agroalimentare Brasile ospite del vertice di quest’anno, molti si aspettavano che la COP30 sarebbe stata maggiormente incentrata sull’agricoltura e l’alimentazione rispetto agli anni precedenti. I negoziati formali sull’agricoltura e i sistemi alimentari nell’ambito della convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici rientrano nell’ambito del lavoro congiunto di Sharm el-Sheikh sull’attuazione delle azioni climatiche in materia di agricoltura e sicurezza alimentare (SJWA). L’attuale mandato quadriennale della SJWA – che organizza workshop, sta sviluppando un portale online e prepara una relazione di sintesi annuale sul lavoro relativo all’agricoltura svolto dagli organismi della convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici – è iniziato nel 2022 e scadrà alla COP31 del prossimo anno. Si è discusso molto di agricoltura rigenerativa, approcci sistemici e olistici, attuazione delle azioni climatiche nel settore alimentare e agricolo, nonché la partecipazione dei paesi a un forum speciale del comitato permanente per le finanze sul finanziamento di sistemi alimentari e agricoltura sostenibili. La mancata menzione dell’agricoltura nei testi finali, secondo numerose fonti, si è dovuta alle divisioni tra Argentina, il gruppo africano e i paesi meno sviluppati (LDC) volevano che al testo fossero aggiunti i “mezzi di attuazione” – abbreviazione per indicare i finanziamenti – e l’EU che si è opposta a qualsiasi riferimento all’articolo 9.1 nel filone di lavoro sull’agricoltura.
Commercio, salvo l’attacco al CBAM
Se ne è parlato poco, ma una delle discussioni più importanti di COP è stata quella sul commercio. Il punto critico era costituito dalle cosiddette misure commerciali unilaterali, che includono gli adeguamenti fiscali alle frontiere per le emissioni di carbonio e le normative sulle importazioni legate alla deforestazione. Sotto attacco l’europeo CBAM, che i negoziatori europei hanno saputo far rimuovere da ogni decisione (per il memento) difendendo un meccanismo importante per l’industria green occidentale. Insoddisfatti i paesi che vedono il CBAM come uno svantaggio per le economie invia di sviluppo. Alla fine per lavorare su questo tema si è deciso di tenere tre dialoghi presso gli organi sussidiari sul rafforzamento della cooperazione internazionale in questo settore: il risultato di tali scambi sarà ulteriormente riportato in occasione di un evento di alto livello nel 2028, in collaborazione con WTO.
COP31

Foto: Ricardo Stuckert / PR
Il prossimo negoziato sul clima si terrà a novembre 2026 in Turchia, con co-presidenza australiana in rappresentanza dei paesi insulari del Pacifico (con una Pre-cop da tenersi in una nazione del Pacifico) Si torna ad un negoziato di transizione, senza le eccessive aspettative generate dalla presidenza brasiliana e dai media (la scelta di farlo nell’area amazzonica ha mobilitato il più alto numero di giornalisti di sempre), organizzato in un luogo prevedibile e facilmente raggiungibile. Se COP30 ha rivissuto il caos negoziale e il disastroso fallimento del summit di Copenaghen del 2009, COP31 ha le carte per iniziare a mettere le fondamenta per un rinnovo del processo, esattamente come accadde nel 2010 a Cancun, alla COP16, dove vennero messe le basi per l’Accordo di Parigi. Serve prepararsi per arrivare pronti al 2030 con una revisione di alcune regole e un’idea chiara di come deve essere tutelata e organizzata l’implementazione dell’Accordo di Parigi, lavorando con il Segretariato ONU per creare un vero Consiglio di sicurezza per l’Ambiente e il Clima, dove in maniera continua gli Stati possano confrontarsi nell’implementazione e nella cooperazione per lo sviluppo congiunta.
Emanuele Bompan
Giornalista ambientale e geografo. Si occupa di economia circolare, cambiamenti climatici, green-economy, politica americana. È Direttore della rivista Materia Rinnovabile, collabora con testate come La Stampa, Nuova Ecologia e Oltremare. Ha scritto l’Atlante geopolitico dell’Acqua (2019), Water Grabbing – le guerre nascoste per l’acqua nel XXI secolo (2018), Che cosa è l’economia circolare (2017). Ha vinto per quattro volte l’European Journalism Center IDR Grant, una volta la Middlebury Environmental Journalism Fellowship, una volta la Google DNI Initiative ed è stato nominato Giornalista per la Terra nel 2015.

