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UCRAINA
Con i bambini di Buča, città simbolo dei crimini russi, per curare i traumi della guerra

Qui un team di esperti aiuta a superare l’impatto psicologico del conflitto sui minori: il Centro diurno gestito da Cesvi è oggi luogo di rinascita con il progetto finanziato dall’Aics

Buča, cittadina dell’oblast di Kiev, è stata protagonista della prima fase dell’operazione militare deella Russia in Ucraina, iniziata più di un anno fa, e teatro di crimini umanitari. Qui è stata scoperta la prima fossa comune, una delle più grandi, qui il popolo ucraino ha compreso l’orrore che lo aspettava, qui il mondo intero ha aperto gli occhi sulle atrocità che si stavano commettendo. Ma oggi Buča è diventata anche città simbolo della rinascita.

Nel Centro diurno di Buča si respira un’aria di serenità. Bambini che giocano, corrono e schiamazzano; alcuni in un angolo dipingono, altri ridono tra di loro; le mamme li guardano mentre tra di loro si raccontano la giornata appena trascorsa. Gli orrori della guerra sembrano rimasti fuori dalla porta del centro che accoglie ogni giorno decine e decine di mamme con i loro bambini offrendo uno spazio di “normalità”, dopo oltre un anno dall’inizio del conflitto.

Qui incontrtiamo Valentina Kubaiu, psicologa infantile del team di Cesvi. È una delle figure specializzate che, grazie al finanziamento dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (Aics), ha ricevuto una apposita formazione e che ogni giorno incontra famiglie in condizioni di fragilità, i cui membri necessitano di un supporto psicosociale per il superamento dei disturbi da stress post traumatico causati dal conflitto.

“In questo spazio ci concentriamo molto nel fornire diagnosi precoci per bambini piccoli, quelli che definiamo nella prima e seconda infanzia, ovvero da zero a due e da due a sei anni. Il motivo? Perché questo è il periodo più efficace per aiutare i bambini. Se conosciamo le urgenze, le paure e le necessità del bambino in questa fase, allora possiamo cambiare qualcosa, incidere positivamente sul suo futuro e sul suo diventare adulto” ci racconta Kubaiu.

Bambini al Centro diurno del Cesvi a Buča

Bambini al Centro diurno gestito da Cesvi a Buča. © Cesvi

“Buča è una città che è stata distrutta non soltanto da un punto di vista strutturale, ma anche sociale ed emotivo. La guerra ha avuto un impatto enorme sui bambini. La maggiorparte di quelli che incontriamo ha subito segni di regressione, mostrando capacità non coerenti con l’età anagrafica. Ad esempio bambini di tre anni che sono tornati a comportarsi come bambini di un anno. Si tratta di fenomeni tipici di contesti come quelli di conflitto: è fondamentale accompagnare sia i piccoli, sia le madri, in un percorso specifico condotto da figure esperte, perché i traumi si possono superare senza che lascino cicatrici perenni” continua la psicologa.

Il Centro diurno di Buča, è un luogo di rinascita, dove vengono individuate famiglie in condizioni di fragilità (come quelle con soggetti disabili), ma dove soprattutto si inizia un percorso rivolto ai bambini e alle loro mamme, di superamento dei traumi legati ai conflitti. Stiamo parlando, per i bambini, di difficoltà nell’addormentarsi, timori di abbandano o altre paure come quella del buio; perdita delle autonomie e interessi legati all’età; difficoltà di concentrazione ed ipervigilanza; manifestazioni psicosomatiche come mal di testa, mal di stomaco, dolori muscolari ed enuresi notturne; depressione, pianto inconsolabile o al contrario un distacco affettivo con comportamenti di isolamento; cambiamenti nelle abitudini alimentari o nei ritmi di sonno e veglia; comportamenti aggressivi o irritabilità immotivata.

In casi più gravi, raccontano le psicologhe, si possono anche manifestare vissuti tipici della cosiddetta “sindrome del sopravvissuto”, che colpisce quei bambini che sono appunto sopravvissuti mentre amici e familiari sono venuti a mancare. In queste situazioni i minori sviluppano sensi di colpa e sentimenti di profonda vergogna oppure convinzioni negative su di sé che possono condurre a comportamenti pericolosi o autolesivi.

“Le conseguenze psichiche della guerra possono perdurare nelle generazioni successive, determinando ripercussioni negative transgenerazionali sulla salute mentale. È fondamentale intervenire dunque subito, per fornire un supporto psicologico ai bambini traumatizzati dalla guerra” afferma la psicologa Kubai.

© Cesvi

E mentre parliamo, con le risate dei bambini a farci da sottofondo, questo bisogno diventa ancora più impellente e l’assurdità di questa guerra ancora più pesante. Infatti i nostri cellulari iniziano a vibrare all’unisono a causa dell’allarme per una sirena antiaerea, che ci ricorda che siamo ancora in guerra e che fino a quando questa situazione perdura, tutto può accadere. Ritorniamo così alla triste consapevolezza che nonostante gli attimi di normalità e i sorrisi incrociati, tutte le persone che incontriamo, sia adulti che bambini, hanno vissuto esperienze di violenza morale indicibile. I soldati russi sono entrati arbitrariamente nelle case, distruggendole, violandole. A distanza di mesi dalla liberazione e dalla ritirata dell’esercito russo, Buča non è più l’inferno che abbiamo conosciuto anche noi la scorsa primavera, ma continua ad essere una città che mostra le sue ferite profonde nonostante i segnali di ripartenza e di rinascita ovunque.

Ad oggi, grazie a questo intervento, sono stati formati 22 professionisti in gestione dello stress post-traumatico legato al conflitto. Insieme al supporto del partner locale I am Buchanets, sono state inoltre fornite 345 consulenze psicologiche, di cui 72 svolte dai due psicologi assunti direttamente dal progetto a rafforzare il team di psicologi di Cesvi; sono state altresì effettuate 323 sessioni di consulenza di supporto e indirizzamento a servizi specializzati sulla base delle esigenze dei beneficiari, di cui 105 consulenze sono state effettuate dagli psicologi assunti grazie al progetto. Infine, il progetto supporta attraverso la fornitura di cash multi-proposito le famiglie più vulnerabili. A seguito del processo di selezione dei beneficiari, svolto insieme agli enti sociali locali, sono state selezionate e incluse nel progetto 1126 famiglie, per un totale di 3.232 persone.

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