
Assemblea Generale Onu, inizia un’era di cambiamento
Da New York – Le auto della scorta hanno abbandonato gli incroci tra la 35ima e la 46ima e le strade della Grande Mela sono tornate al caos usuale, senza i cordoni di polizia, i manifestanti pro-Pal, i codazzi di giornalisti accaldati e le cupe motorcade presidenziali che si ostacolano a vicenda a Midtown. L’80° Assemblea Generale delle Nazioni Unite non sarà ricordata per le celebrazioni del multilateralismo onusiano e le grandi sfide di cooperazione e pace globali, ma per il discorso del Presidente degli Stati Uniti Donald Trump davanti all’Assemblea Generale e per la fase di grande difficoltà che l’organizzazione internazionale sta attraversando
Oltremare ha seguito da vicino i lavori dentro e fuori il Palazzo di Vetro nel corso della settimana di alto livello, nel tentativo di cercare di capire quale sarà il futuro delle Nazioni Unite, una domanda esistenziale al cuore della diplomazia e della cooperazione allo sviluppo globale. Diritti umani, sviluppo sostenibile, aiuti umanitari, sfida climatica: come si configureranno i prossimi ottant’anni dell’assemblea delle Nazioni?
Caos Usa
Il lungo intervento di 55 minuti del Presidente americano Donald Trump ha lasciato delegati e giornalisti confusi. Non per la retorica sconnessa e l’interminabile supplizio oratorio (ad un certo punto ha raccontato di un immobile che non è riuscito ad affittare negli anni ‘80 alle UN), quando per le posizioni contradditorie e per i ripetuti assalti all’Onu (ma anche all’Europa e alla sfida climatica).
“Qual è lo scopo delle Nazioni Unite?“, ha chiesto alla platea di capi di stato e ufficiali Onu.
“Sembra che tutto quello che fanno sia scrivere lettere dai toni molto forti. Sono parole vuote, e le parole vuote non risolvono la guerra”. Ha criticato duramente la leadership del Segretario Generale delle Nazioni Unite, António Guterres, dopo un incontro a margine, dicendo ai giornalisti: “L’ONU potrebbe essere incredibile senza certe persone al comando”. Questo è avvenuto dopo che Guterres aveva avvertito nel suo discorso di apertura che i tagli agli aiuti sostenuti dagli Stati Uniti stavano “mettendo a ferro e fuoco” il mondo.
Allo stesso tempo Donald Trump ha assicurato Guterres di sostenere “al 100%” l’organizzazione mondiale. Per ricordare però il suo ruolo nella pace globale ha anche aggiunto come abbia “posto fine a sette guerre, ho trattato con i leader di ciascuno di questi paesi e non ho mai ricevuto nemmeno una telefonata dalle Nazioni Unite che si offrisse di aiutarmi a concludere l’accordo”.
“Il Presidente Usa si è già ritirato da diversi organismi delle Nazioni Unite, anticipando la conclusione della revisione della sua amministrazione e minando l’influenza degli Stati Uniti su politiche importanti”, spiega un diplomatico europeo, che preferisce non rilasciare il suo nome per commentare liberamente. Tra questi figurano l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura (UNESCO), l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e il Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite. “I rischi per gli Usa stessi ci sono: l’UNESCO è responsabile, tra le altre cose, della definizione di standard e regole globali in materia di intelligenza artificiale e della promozione della cooperazione scientifica sulle minacce globali condivise”.
L’amministrazione Trump ha finora tagliato 1 miliardo di dollari di contributi finanziari alle Nazioni Unite attraverso una revoca del Congresso e sta cercando di ottenere tagli per un altro miliardo di dollari, sempre tramite il Congresso. Non solo: la proposta di bilancio del presidente americano per l’anno fiscale 2026 prevede la sospensione del contributo obbligatorio annuale al bilancio ordinario delle Nazioni Unite, l’azzeramento dei fondi per il mantenimento della pace da oltre 1 miliardo di dollari e il taglio dei contributi volontari alle Nazioni Unite di 1,2 miliardi di dollari. Complessivamente, questi tagli ammonterebbero a oltre 4 miliardi di dollari, senza contare i tagli previsti per i fondi destinati ai rifugiati e alla migrazione, spesso gestiti dalle Nazioni Unite. Fondamentalmente, l’amministrazione Usa ha dichiarato guerra a quello stesso sistema mondiale che ha contribuito in maniera sostanziale a creare.
La riforma che verrà
A fronte della posizione americane, uno dei temi centrali discussi a New York a lato della questione palestinese, è stata l’urgenza della riforma delle Nazioni Unite, per far fronte ai tagli. Le settimane di lavori sono servite per fornire proposte e punti di vista sul documento Shifting Paradigms: United to Deliver, presentato dal Segretario Guterres. Il documento inaugura il New Humanitarian Compact – “Un piano in sei fasi per fornire un sostegno più rapido, snello e responsabile alle persone in situazioni di crisi; ripristinare la fiducia nell’azione multilaterale; e massimizzare l’impatto di ogni dollaro speso”. Quei pochi rimasti, s’intende. Uno degli obiettivi è istituire un compact per i diritti umani a livello di sistema per garantire che “le considerazioni relative ai diritti umani siano sistematicamente integrate nelle politiche e nelle attività delle Nazioni Unite”. Propone inoltre la creazione di un sistema comune di data management delle Nazioni Unite per collegare meglio dati, statistiche e approfondimenti, e l’istituzione di una piattaforma di accelerazione tecnologica per modernizzare le pratiche e “guidare la trasformazione verso soluzioni migliori”. Secondo vari intervistati non c’è convergenza sul progetto di creazione di un unico ente umanitario che comprenda tutte le agenzie umanitarie delle Nazioni Unite (IOM, UNHCR, WFP, etc.), per molti una necessità per ottimizzare il budget onusiano. D’altronde, scrive il superconsulente Damian Lilly, “l’ONU spende più per l’assistenza umanitaria che per qualsiasi altro pilastro: il 45% del suo bilancio nel 2023. All’interno del più ampio sistema umanitario, l’ONU riceve la maggior parte dei finanziamenti. Tra il 2012 e il 2021, il 60% dei finanziamenti umanitari è andato alle agenzie dell’ONU, con il 47% destinato a sole tre organizzazioni: l’UNHCR, il Programma alimentare mondiale (PAM) e l’UNICEF.
Le voci africane per la riforma ONU
Gli interventi più sentiti per un riequilibrio delle nazioni unite sono stati quella dei tanti Capi di Stato africani intervenuti. Il Presidente della Guinea-Bissau Umaro Sissoco Embaló ha sottolineato il ruolo unico delle Nazioni Unite come forum in cui tutte le nazioni, grandi o piccole, possono esprimersi su un piano di parità. In un mondo “afflitto da conflitti, disuguaglianze e sviluppo stagnante,” agenzie delle Nazioni Unite – dal Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia (UNICEF) al Programma alimentare mondiale (PAM) che sostengono lo sviluppo di tante nazioni, non possono avere successo senza una riforma sistemica. “Il Consiglio di Sicurezza deve espandersi, democratizzarsi e offrire un posto autentico al Sud del mondo, sostenendo che la fiducia nel multilateralismo può essere ricostruita solo se i paesi in via di sviluppo vedono che le loro voci influenzano le decisioni.”
Dall’Africa occidentale, il Vicepresidente Muhammed Jallow ha sottolineato l’impegno della Gambia a favore dello sviluppo inclusivo, della pace e del rispetto delle libertà fondamentali. Ha sottolineato la vulnerabilità dei Paesi del Sud del mondo agli shock esterni – dalle crisi alimentari ed energetiche alle pressioni del debito e alla disoccupazione – e ha sollecitato partnership internazionali che diano priorità alla resilienza nella sicurezza alimentare, nelle infrastrutture e nell’attuazione degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDG). Passando alla questione del mantenimento della pace e della sicurezza internazionali, ha sottolineato: «Chiediamo al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite di adempiere alla propria responsabilità nel risolvere i disordini in Africa e in altre parti del mondo».
Il Presidente della Duma Gideon Boko del Botswana ha sottolineato la fragilità della dipendenza dalle risorse e la necessità di partnership globali nel campo delle energie rinnovabili, della tecnologia e dell’agricoltura sostenibile. Per i Paesi semi-aridi come il Botswana, ha avvertito, il cambiamento climatico è una realtà attuale.
La riforma del clima
Per chi si occupa di diplomazia ambientale uno dei discorsi più interessanti è stato quello del Presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva, all’apertura del Climate Summit, il 24 settembre. “In tutto il mondo, le forze antidemocratiche stanno cercando di soggiogare le istituzioni e soffocare le libertà. Adorano la violenza, glorificano l’ignoranza, agiscono come milizie fisiche e digitali e limitano la stampa”, ha detto Lula. Ha richiamato l’urgenza di avere leader che portino una nuova visione contro l’autoritarismo, il degrado ambientale e l’esclusione.
Il passaggio più importante però l’ha riservato ai negoziati sul clima. Lula, che ospiterà a Novembre la COP30, ha richiamato la necessità di riportare la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sul Cambiamento climatico (UNFCCC) nel cuore dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, un nuovo Consiglio all’interno dell’Assemblea stessa (come quello di Sicurezza per intenderci), con il potere di monitorare la coerenza dell’implementazione dell’Accordo di Parigi, una “riforma fondamentale” e da lungo attesa, per delineare il prossimo passo del multilateralismo climatico quando sarà finita la parentesi revanscista delle destre populiste. Secondo Luca Bergamaschi, co-fondatore del think tan Ecco, “questa proposta avrebbe come prima implicazione il superare la modalità di consenso, un seggio un voto, ora vigente, dato che in UNGA le decisioni passano o a maggioranza semplice o di due terzi”
Non solo: Lula ha rilanciato il rafforzamento – anzi una vera rifondazione – della WTO, l’Organizzazione Mondiale del Commercio, contro le misure commerciali unilaterali e protezionistiche, una proposta che conferma la svolta social-liberista del presidente brasiliano.
La Cina intanto cerca la leadership sul clima. “Abbiamo l’obiettivo di ridurre le emissioni del 7-10% entro il 2035 dai livelli di picco, ma cercando di sforzarci di fare meglio“, ha affermato Xi Jinping davanti all’Assemblea Generale presentando l’obiettivo climatico nazionale al 2035. Però tituba a prendere il ruolo che le spetta nei paesi industrializzati. Per ora, all’interno della Convenzione sul clima, rimane un paese in via di sviluppo. Potrà essere COP30, il prossimo negoziato sul clima, il momento per l’annuncio atteso da anni?
Emanuele Bompan
Giornalista ambientale e geografo. Si occupa di economia circolare, cambiamenti climatici, green-economy, politica americana. È Direttore della rivista Materia Rinnovabile, collabora con testate come La Stampa, Nuova Ecologia e Oltremare. Ha scritto l’Atlante geopolitico dell’Acqua (2019), Water Grabbing – le guerre nascoste per l’acqua nel XXI secolo (2018), Che cosa è l’economia circolare (2017). Ha vinto per quattro volte l’European Journalism Center IDR Grant, una volta la Middlebury Environmental Journalism Fellowship, una volta la Google DNI Initiative ed è stato nominato Giornalista per la Terra nel 2015.
