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“SAVING THE PLANET BY DESIGN”: appunti per il seguito della Conferenza ONU “Habitat III” e l’attuazione della New Urban Agenda

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Secondo le proiezioni delle Nazioni Unite, allo scadere della prima metà di questo secolo la popolazione mondiale sarà aumentata di circa due miliardi e trecento milioni. Questa proiezione, di per sé preoccupante, coincide peraltro con una prevista diminuzione del tasso di crescita demografica mondiale dovuto alla riduzione della mortalità infantile ed al passaggio da consuetudini di sussistenza rurale a modelli di vita urbani. Ma l’aspetto più eclatante è che la quasi totalità di questi due miliardi e trecento milioni di persone, e precisamente oltre il 96 per cento vivrà nelle città dei paesi in via di sviluppo (v. tabella).

2014 2050 Increase
Total 7 243 784 9 550 944 2 307 160
Total urban 3 880 128 6 338 611 2 418 483
Total urban, developing regions 2 899 725 5 225 111 2 325 386
% urban developing regions over total urban 96.2
Author’s elaborations based on projections from “World Urbanization Prospects – The 2014 Revision”, Department of Economic and Social Affairs, United Nations

É saggio pensare che tendenza non significhi destino; ma in questo caso è impossibile sfuggire alla prospettiva di un pianeta urbano. Dopotutto, i paesi in via di sviluppo stanno semplicemente ripercorrendo i fenomeni di urbanizzazione vissuti prima di loro dalle cosiddette “regioni sviluppate”. La sfida è quindi quella di “contenere” l’urbanizzazione, ma di come guidarla in maniera tale da garantire una pianificazione strategica e sensata di questa enorme espansione urbana prossima futura.

L’urbanistica si è sempre riproposta questo obiettivo. Ma fino all’adozione della “New Urban Agenda”, la pianificazione delle città e del territorio non ha goduto di largo seguito nelle politiche di cooperazione allo sviluppo. Gli aspetti spaziali sono stati in larga misura ignorati a favore di aspetti macroeconomici e di progetti tesi a contenere la migrazione verso le città. Anche per questo le grandi migrazioni interne si sono consolidate nelle aree urbane e periurbane delle città grandi e piccole dei PVS attraverso meccanismi incontrollati quali la creazione di “slum” e di lottizzazioni non pianificate, prive di servizi e delle più elementari infrastrutture primarie e secondarie. Al contrario, nei paesi del continente asiatico abbiamo assistito a fenomeni di gigantismo urbano basati su enormi complessi edilizi di carattere fortemente speculativo ad altissima densità abitativa e completamente privi di qualità urbana.

Questi due modelli – espansioni urbane “informali” a bassa densità edilizia e complessi abitativi a densità esasperata – sono paradossalmente accomunati da due caratteri fortemente negativi: il bassissimo tasso di sostenibilità ambientale e la pessima qualità urbana. Sembra quindi che questo disinteresse alla forma urbana e ad una corretta progettazione della città abbia portato al peggiore dei mali: situazioni urbane che generano forti problemi sociali e che mettono in pericolo il futuro del pianeta. Da un lato, l’edilizia incontrollata di tipo spontaneistico a bassa densità genera alti consumi di suolo e danni ambientali dovuti all’assenza di fognature e di altri servizi essenziali, come lo smaltimento dei rifiuti. Dall’altro, l’edilizia delle nuove espansioni urbane tipiche del continente asiatico, con le sue altissime densità dovute unicamente ad esigenze speculative, crea analoghi consumi di suolo spesso ingiustificati (si veda il fenomeno di intere “città fantasma” in cerca di acquirenti immobiliari) e condizioni di vita alienanti. Nell’uno e nell’altro caso la localizzazione periferica di questi nuovi insediamenti in zone mal servite dal trasporto pubblico generano la necessità di affidarsi esclusivamente a mezzi di trasporto privato con conseguenze esiziali dovute all’accelerazione della produzione di gas serra.

Sembra quindi che in tempi recenti i modelli prevalenti di espansione urbana nei paesi a grande crescita demografica ed alti tassi di urbanizzazione abbiano fornito soluzioni socialmente inadeguate ed ecologicamente disastrose.

É quindi d’obbligo guardare a soluzioni meno recenti per individuare modelli urbani sostenibili. Sembra paradossale cercare esempi di sostenibilità dalle esperienze urbane di tempi in cui il concetto di sostenibilità era ancora sconosciuto. Eppure è proprio questo che è successo soprattutto nei paesi europei a cavallo dell’inizio dello scorso secolo; un fenomeno che si può definire di “sostenibilità inconsapevole”.

Ci si riferisce qui, per usare un termine di facile comprensione e di largo uso, all’esperienza della progettazione e realizzazione di “nuovi quartieri”. Si parla di tempi in cui l’automobile era un lusso ed in cui il costo degli ascensori e l’uso di tecnologie costruttive tradizionali rendevano poco praticabili la realizzazione di edifici di più di quattro od al massimo cinque piani. Le difficoltà negli spostamenti urbani rendevano poi necessaria l’esistenza di esercizi commerciali di prossimità. La pratica diffusa dell’autocostruzione, sia da parte di singoli che di cooperative, determinava inoltre una contenuta dimensione degli isolati e quindi la realizzazione di tessuti viari molto densi. E naturalmente si trattava di sistemi urbani “aperti”: se alcune soluzioni edilizie, prevalentemente di edilizia residenziale pubblica, prevedevano spazi interni con ingressi sorvegliati, il quartiere era completamente accessibile a tutti ed era contiguo al tessuto urbano esistente. É inevitabile il confronto con le “gated communities” odierne ed i tanti interventi edilizi nell’Italia del dopoguerra, concepiti come brandelli isolati di “non città”.

Protagonista dei “quartieri” cui invece ci riferiamo era lo spazio pubblico, inteso non semplicemente come la dotazione giardini ed aree gioco, peraltro sempre contemplati da quell’ urbanistica. Lo spazio pubblico, nella definizione della Carta dello spazio Pubblico adottata nel 2013 dalla Biennale dello Spazio Pubblico, è “ogni luogo di proprietà pubblica o di uso pubblico accessibile a fruibile a tutti gratuitamente o senza scopi di lucro”. Nel tessuto urbano sono spazio pubblico a tutti gli effetti le alberature, le strade, i marciapiedi; tutte le superfici che possono rendere gradevole la mobilità, soprattutto pedonale, ma anche e soprattutto l’incontro. Da questo punto di vista sono spazio pubblico, oltre agli uffici pubblici in genere, gli uffici postali, le biblioteche, i mercati rionali ed i mercatini all’aperto, anche gli esercizi commerciali. Ad essi si accede attraverso lo spazio pubblico; ed anche se essi rispondono appunto ad esigenze commerciali, nel contempo contribuiscono ad offrire servizi comodi ed accessibili ed a vivacizzare la vita collettiva. Per questo i quartieri di cui si parla prevedevano un’ampia dotazione di esercizi commerciali. Una soluzione ovvia e banale; ma assolutamente indispensabile per la sostenibilità sociale ed ambientale dei nuovi tessuti urbani.

Un aspetto da non trascurare è la semplicità e l’economicità di questi modelli urbani, e quindi la loro applicabilità a contesti caratterizzati da scarse risorse come si verifica in gran parte dei paesi in via di sviluppo. L’edificazione veniva lasciata all’iniziativa dei privati, mentre l’intervento pubblico si limitava di norma alla definizione della maglia stradale , l’identificazione delle aree da destinare a verdi e servizi pubblici ed eventualmente ad edilizia pubblica, e l’imposizione di regole edilizie relative ai tracciati stradali ed ai limiti di fabbricabilità. Il risultato era una densità edilizia ottimale, abbastanza alta da garantire collegamenti di trasporto pubblico e lo sviluppo di attività commerciali locali ma sufficientemente contenuta in modo da garantire una buona scala urbana ed il godimento ottimale dello spazio pubblico.

Il tema merita ulteriori sviluppi, e forse potrà essere ulteriormente qualificato anche in questa sede. In questa occasione è forse opportuno concludere con uno dei principi introduttivi della Carta dello Spazio Pubblico, che si definisce come il documento

di tutti coloro che credono nella città e nella sua straordinaria capacità di accoglienza, solidarietà, convivialità e condivisione; nella sua inimitabile virtu’ nel favorire la socialità, l’incontro, la convivenza, la libertá e la democrazia; e nella sua vocazione ad esprimere e realizzare questi valori attraverso lo spazio pubblico.

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Istituto Nazionale di Urbanistica

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