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Università e ricerca nella Cooperazione Internazionale

“Scientific research and technology transfer for health as engines of sustainable development in Africa” è uno dei simposi  organizzati dall’Istituto Superiore di Sanità che verte su un tema di preminente interesse nell’ambito della cooperazione accademica.

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Il titolo stesso del simposio “ Scientific research and technology transfer for health as engines of sustainable development in Africa” riassume i tre cardini della mission universitaria, cioè Formazione (technology transfer = knowledge transfer, nel nostro caso), Ricerca e Terza Missione. Quest’ultimo anodino termine è meglio reso dal suo corrispondente inglese “Outreach”, che sottolinea il compito proprio dell’Università di essere aperta al mondo, rifuggendo dallo stantio stereotipo che la vuole quale sorta di “torre d’avorio” chiusa in se stessa. Sulla scorta di questa vision tripartita sono stati formulati dalla Commissione Cooperazione Internazionale della CRUI i princìpi che sintetizzano il ruolo dell’Università in questo ambito:

  1. Arricchire in Italia e nei Paesi partner corsi specifici di formazione, finalizzati alla preparazione di professionisti in grado di svolgere un ruolo più attivo nella trasformazione della società, offrendo così una nuova visione critica all’idea di internazionalizzazione.
  2. Stimolare la ricerca per lo sviluppo, intesa come strumento strategico per la crescita sostenibile mediante la creazione di modelli di sviluppo appropriati e partecipati, la promozione di uno sviluppo autonomo e l’elaborazione delle conoscenze locali.
  3. Promuovere il ruolo delle Università come agente di sviluppo dei Sistemi Paese, mediante un processo di capacity building mirato alla formazione della futura classe dirigente per incrementarne le capacità di gestione, innovazione, sviluppo e trasferimento tecnologico.

L’Africa soffre ancora di un pesante gap nell’ambito della ricerca, che si fa tragico nel campo della salute e non solo per problemi di ordine economico. La tabella mette a confronto l’aspettativa di vita alla nascita (AVN) di sette Paesi africani con altrettanti Paesi di altri continenti che dispongono del medesimo PIL pro capite: l’impietosa differenza nell’AVN, da 5 a 14 anni, implica profondi e complessi problemi strutturali nella gestione del Paese ed esige risposte altrettanto articolate ed approfondite quali appunto l’Università può dare. Alcune delle risposte più determinanti possono essere fornite dalla ricerca clinica sulle patologie che affliggono la popolazione africana, siano esse esclusive quali oncocerchiasi, tripanosomiasi, schistosomiasi e malaria, oppure a diffusione planetaria ma con una preponderante incidenza africana, quali HIV/AIDS, TBC, elmintiasi, leishmaniasi, filariasi, meningite, tracoma, infezioni respiratorie, diarrea. Tali patologie costituiscono secondo l’OMS oltre la metà del carico totale di malattie del continente, e ne sottraggono oltre il 20% del PIL per un’incidenza annuale pari a 200 miliardi di $, l’equivalente del PIL cumulativo dei 12 Paesi africani più poveri. Con questi presupposti risulta più che evidente come la ricerca clinica assuma valenza di motore di sviluppo già a partire dal livello più basilare, quello della mera sopravvivenza: “Primum vivere, deinde philosophari”.

 

 

Oggi spesso però i ricercatori africani intervengono piuttosto marginalmente negli studi clinici, ideati in Occidente e finanziati in loco solo al 10% del totale1. I lavori scientifici pubblicati da ricercatori africani, anche se triplicati nell’ultima decade, incidono per un misero 2,4% sul totale globale2, e vertono su tematiche e metodiche non di rado avulse dalle reali necessità cliniche del continente. Ne consegue la cronica carenza di strumenti diagnostici e di terapie specificamente studiati e concepiti per l’Africa; quando disponibili, la difficoltà se non l’impossibilità pratica e/o economica ad adottarli sul campo; la cronica bassa compliance dei pazienti a sottoporsi a trattamenti lunghi e complessi comporta lo sviluppo di resistenze acquisite, ed il progressivo venir meno di terapie efficaci. Si rende quindi necessaria una riformulazione radicale di come la ricerca clinica è programmata ed implementata in Africa: l’apporto delle Università italiane in quest’ambito può essere fondamentale, assumendo la valenza di volano di decollo e sviluppo di progetti di ricerca clinica da rendere quanto prima autonomi e possibilmente autoctoni. “A system governed by Africans in Africa is needed to provide a sustainable funding mechanism that would encourage African scientists to collaborate on common health concerns, share expertise, and build capacity… The solutions to these issues lie within Africa”1.

 


1 http://www.mckinsey.com/industries/healthcare-systems-and-services/our-insights/closing-the-r-and-38d-gap-in-african-health-care
2 The Economist, August 2014

Informazioni sull'autore

Presidente, Centro Internazionale per la Cooperazione allo Sviluppo, Università degli Studi di Pavia

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