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Photo credits: ©Giovanna Donia

El Salvador. La sfida impossibile: recuperare i giovani dalle gang più violente del pianeta

Le Maras o Pandillas sono un fenomeno criminale che interessa principalmente El Salvador e i paesi vicini, Honduras e Guatemala con ampie diramazioni negli Stati Uniti. Queste gang, nel solo El Salvador, contano oggi 60mila “soldati” e circa 500mila persone indirettamente collegate, in un paese con 6,2 milioni di abitanti. Tanti di questi ragazzi vengono avviati alla violenza attraverso brutali iniziazioni quando hanno 13-14 anni. Una parte finisce in galera prima ancora della maggiore età. I progetti di AICS puntano al rafforzamento del sistema giudiziario e penale per favorire politiche di reinserimento nella società per adolescenti e giovani con progetti di prevenzione.

Fermi ad un angolo con una pistola. Tatuati, con ampie magliette da rapper. Ragazzini induriti dalla vita di strada pronti ad uccidere. Si muovono in quartieri dove nessuno vuole metterci piede, in barrios in cui entrare significa mettere realmente in serio pericolo la propria vita. Prima si spara poi si vede chi è. Sono i soldati delle maras, le gang salvadoregne nate negli anni ’80 e ’90 in USA, che hanno assunto il controllo del territorio nelle periferie più povere e nelle zone rurali uscite stremate dalla guerra civile (1979-92) del Salvador e nei limitrofi Honduras e Guatemala. Le maras (o pandillas) estorcono un pizzo agli esercizi commerciali e ai residenti delle zone sotto il loro controllo. Molti giovani vengono facilmente reclutati perchè cresciuti in un contesto di violenza e degrado sociale che non offre opportunità educative e professionali. Qualcuno riesce a fuggire, cercando fortuna all’estero, in USA o Messico. In tanti rimangono ed entrano, spesso forzatamente, nelle file delle maras, che oggi contano 60mila “soldati” e circa 500mila persone indirettamente collegate (parenti, fidanzate, vicini), in un paese con 6,2 milioni di abitanti. Tanti di questi ragazzi vengono avviati alla violenza attraverso brutali iniziazioni quando hanno 13-14 anni. Una parte finisce in galera prima ancora della maggiore età.

Una piaga sociale per l’intero paese, che spesso trasforma l’adolescenza in un inferno, dove non si può mai uscire dopo le 4 del pomeriggio, dove si rischia di essere violentate se si è ragazze, o di finire con un colpo in testa ancora prima di aver festeggiato il diciottesimo compleanno, oppure condannati ad una vita da mareros, da criminali da strada.

 

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Quali sono le soluzioni? Ne abbiamo parlato a San Salvador con Giuseppe Marando, Responsabile del settore giustizia di AICS El Salvador e con Giovanna Donia, responsabile del progetto BID “Rafforzamento dei programmi di reinserimento sociale di adolescenti e giovani in conflitto con la legge nei paesi del SICA”, l’organizzazione economica, culturale e politica degli Stati dell’America centrale e dei Caraibi.

Giuseppe Marando: il Centro America è la regione più violenta al mondo. Al di fuori delle zone di guerra come Siria, Iraq, Afghanistan, qua è dove si registrano i tassi di omicidi più elevati. Nello specifico El Salvador, con quasi 103 omicidi per 100.000 abitanti nel 2015, è stato il paese con il più alto tasso di morti violente al mondo. Parliamo di 6mila omicidi l’anno: mettendo in proporzione è come se ci fossero in Italia una media di 60 mila omicidi all’anno (ce ne sono 400).

Questa violenza è legata alla presenza di strutture criminali che vengono definite come maras e pandillas, un fenomeno che risale agli anni Ottanta, con le deportazioni dagli Stati Uniti di queste bande criminali di latinos nate nelle strade di Los Angeles, che hanno trovato un territorio fertile nel Salvador caratterizzato da povertà, disagio sociale e da un Paese che usciva da un conflitto violento durato più di dieci anni. A partire dagli anni Novanta i governi di destra del partito Arena hanno promosso politiche di repressione del crimine e di arresti di massa. Questo ha prodotto fenomeni di sovrappopolazione delle carceri che hanno reso il El Salvador uno dei paesi più problematici per quanto riguarda le condizioni carcerarie. Nel 2014, con il governo di sinistra del FMLN, si è cercato di cambiare rotta creando il Consiglio Nazionale per la Sicurezza Cittadina e la Convivenza che promuove delle politiche che investono molto di più sulla prevenzione. Grazie all’aiuto della cooperazione internazionale si è realizzato il Plan El Salvador Seguro per promuovere prevenzione e la persecuzione dei delitti con una componente molto importante di riabilitazione e reinserimento dei detenuti.

 

Photo credits: ©Giovanna Donia

 

Quanta attenzione c’è per i giovani in questi progetti?

Giovanna Donia: abbiamo constatato che tutte le politiche governative in realtà intervengono nelle carceri per gli adulti mentre che il problema giovanile è sottostimato. Le politiche di riabilitazione e poi reinserimento dei detenuti coinvolgono per la maggior i detenuti maggiorenni. Ma questo è un errore, bisogna prevenire lavorando sui giovani prima che entrino in una criminalità cronica.

Che tipo di reati commettono i giovani? Quali “mestieri” sono costretti a fare dalle pandillas?

Giuseppe Marando: La pandilla ha una struttura verticale: la posizione dipende dagli anni in cui si è dentro la gang, dal tipo di incarico che si assume. Le mansioni possono andare dai casi più drammatici di omicidi, allo spaccio della droga, alle micro estorsioni che riguardano soprattutto piccoli commercianti nell’economia informale. I giovani in particolare, ragazzi dagli 8 ai 12 anni, quando entrano nella banda, svolgono come prime mansioni il ruolo di sentinella per il controllo territoriale. In caso arrivi la polizia o l’esercito, loro allertano gli altri membri della pandilla.

Giovanna Donia: è importante capire il profilo sociale di questi ragazzi, nella stragrande maggioranza dei casi se non nella totalità, vivono in contesti di povertà e di ignoranza, dove l’educazione scolastica è assente e manca la protezione sociale della famiglia, spesso disfunzionale o assente. L’unico modo per sentirsi parte di qualcosa diventa entrare in questi gruppi criminali, fortemente gregari, che fungono da famiglia. Il senso di appartenenza e di identità viene trovato in questi gruppi. Per questo è importante trovare alternative, creare occupazione, creare reti sociali

Lo scontro con la polizia è durissimo. E in alcuni casi i poliziotti si tramutano in veri e propri squadroni della morte.

Giuseppe Marando: L’anno scorso The Economist ha pubblicato un articolo che rivelava che la polizia Salvadoregna è la prima della classifica mondiale tra le forze dell’ordine coinvolte in casi di omicidi extragiudiziali. Questo avviene perché nella logica di una politica repressiva, vengono meno i controlli su quelli che sono i crimini della forze dell’ordine.

 

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Come vivono i ragazzi in queste carceri minorili?

Giovanna Donia: I soggetti interessati sono giovani dai 14 ai 25 anni di età, poiché chi ha commesso il reato da minorenne rimane nelle carceri minorili anche dopo la maggiore età. I neo-maggiorenni nel caso del El Salvador possono essere spostati in un Centro intermedio. La divisione delle band in maras influenza moltissimo la gestione dei cinque centri penitenziari per minorenni. La ripartizione di questi giovani viene fatta sulla base dell’appartenenza a una mara piuttosto che un’altra. Oltre al centro intermedio c’è un centro femminile, un centro maschile dove si trovano i due sottogruppi del Barrio 18, un centro dove ci sono quelli della Mara Salvatrucha (MS-13), e c’è un centro dove ci sono quelli che vengono chiamati ritirati o isolati che raccoglie i “civili” e coloro che hanno deciso di allontanarsi dal loro gruppo e quindi vengono considerati ritirati. Questi centri hanno bisogno di forti ristrutturazioni infrastrutturali. Sono sovraffollati anche se non raggiungono i livelli delle carceri per maggiorenni.

Giuseppe Marando: In alcuni casi le prigioni per adulti da 1000 persone ospitano oltre 5800 persone: un sovraffollamento del 600%

Giovanna Donia : Il sovraffollamento dipende dalla necessità di dividerli nelle varie fazioni: ci sono dormitori dove dormono 150-200 persone perché appartengono tutti alla stessa mara. E ci sono dormitori dove non c’è affollamento. Lo scorso anno avevamo una presenza di privati di libertà di circa 1.500 – 1.600 giovani, il numero più alto della regione, su una disponibilità di infrastrutture di 1400 posti letto. Per alleggerire il carico si deve lavorare sul reinserimento sociale di questi giovani. E serve più personale: oggi c’è uno psicologo ogni 300 ragazzi, che passa la maggior parte del suo tempo a scrivere report per i giudici. Ma lo Stato non ce la fa con risorse a disposizione.

Le divisioni per gang limitano le violenze nelle carceri?

Giuseppe Marando: Nel caso del El Salvador avvengono atti di violenza all’interno della stessa mara, quando viene violata una regola obbligatoria del gruppo. Le punizioni spesso coincidono con la morte. Solo lo scorso anno abbiamo avuto 20 omicidi. La situazione dentro i centri del El Salvador non si considera pericolosa come in altri paesi: abbiamo riscontrato livelli di pericolosità e livelli di sicurezza più bassi in Honduras e in Guatemala.

La cooperazione ha messo la giustizia come uno dei due temi centrali nella regione del SICA

Giuseppe Marando: Nel dicembre 2017 AICS ha firmato un memorandum tra il governo italiano e il governo di El Salvador dove sono stati identificati due settori di intervento tra i quali rientra la giustizia ma in particolar modo la giustizia penale giovanile, un ambito dove vengono finanziati progetti sul canale bilaterale e multilaterale, come il caso del progetto BID-SICA
C’è un altro progetto finanziato con l’Istituto Italo Latino Americano che interviene nei paesi del triangolo Nord, Honduras, Guatemala, El Salvador per promuovere il coordinamento inter-istituzionale tra gli attori del sistema giudiziario allo scopo di migliorare il sistema penale e carcerario, lavorando in particolare per migliorare la riabilitazione dentro le carceri e il reinserimento dei giovani nella società. Quest’ultima è la sfida più importante perché i giovani, finché stanno nei centri penali, sono sotto la responsabilità dell’Istituto Salvadoregno per lo Sviluppo Integrale dell’Infanzia e l’Adolescenza . Fuori sono lasciati a se stessi: per questo è importante un accompagnamento integrale che affronti i temi socio assistenziali di reinserimento, insieme alla famiglie, alle comunitá in cui vivono e alle imprese pronte a formare e dare lavoro a questi giovani a livello regionale. A livello bilaterale è stato approvato un credito di 5 milioni e mezzo di euro con il Ministero di Giustizia che interviene anche nella prevenzione primaria in quei municipi ad alto rischio di fenomeni criminali in cui i giovani sono facilmente reclutabili.

 

Photo credits: ©Giovanna Donia

 

Come si è sviluppato il progetto BID per migliorare le condizioni di vita dei giovani salvadoregni?

Giovanna Donia: noi siamo partiti da una diagnosi della situazione di tutti i centri penali minorili di sette paesi della regione. Abbiamo identificato tutti i punti deboli e tutte le potenzialità e le buone pratiche che ci sono nei vari paesi e abbiamo identificato una serie di allineamenti strategici per migliorare i programmi di reinserimento, che sono deboli in tutti i paesi quindi anche nel El Salvador. E ora cominceremo a breve con un esperimento pilota nel Salvador dove lavoreremo in un centro di ragazzi per fomentare il messaggio che per poter ottenere la riabilitazione e l’inserimento dei giovani serve una rete pubblico – privata di imprese e attori civici.

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