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“Con l’Africa nel cuore”, la cooperazione allo sviluppo vista da Emma Bonino

Lo sviluppo dell’Africa è l’occasione per un ripensamento complessivo. Non va sprecata per obiettivi più immediati ed emergenziali che distoglierebbero da un’analisi di fondo : si tratta di una grande opportunità, da cogliere pienamente.

Da ministro degli Esteri e ancor prima da Commissario europeo per le emergenze umanitarie, Emma Bonino ha ricoperto incarichi di primo piano che l’hanno portata nelle aree più esplosive del mondo, a diretto contatto con una umanità sofferente e con quanti quelle sofferenze hanno cercato di alleviare. Con l’Africa nel cuore spiega il suo punto di vista in questa intervista.

“Per la mia storia di Radicale il rapporto Italia/Europa-Africa è stato, fin dalla campagna contro lo sterminio per fame, una grande priorità. All’epoca, eravamo negli anni ’80, quella battaglia non fu capita, se non da una parte del mondo cattolico. Non da oggi, dunque, l’attenzione politica sull’Africa è per me una grande priorità. Marco Pannella ci ammoniva che il Mediterraneo non è un mare che ci separa ma un ‘piccolo lago’ che ci unisce, perché la geografia è la cosa più stabile che esista, contrapposta alla politica che, al contrario, è la cosa più fragile che io conosca, L’attenzione alla cooperazione mediterraneo-africana, scoperta recentemente dalla classe politica, anche se non sempre per motivi nobili, è comunque una grande opportunità da cogliere pienamente”.

Premio ISPI 2017, l’ex titolare della Farnesina ha ricevuto nel novembre scorso la laurea ad honerem alla Vrij Universiteit Brussel, l’università fiamminga di Bruxelles, per il suo impegno a favore di migranti e rifugiati. In quell’occasione, parlando ad una platea gremitissima, Bonino ha posto l’accento su  una crisi migratoria senza precedenti in cui i Paesi in prima linea sono lasciati soli, troppo soli.

“Non è un problema solo dell’Italia o della Grecia perché si verifica nel Mediterraneo. Dobbiamo fare un sforzo per farne una questione europea. Non mi piace molto un’Europa così indifferente alle sofferenze”.

E la Cooperazione internazionale, che a ben vedere può essere un efficace antidoto contro il “virus” dell’indifferenza, è uno strumento dichiarato del nostro fare diplomazia. Sulla base dell’esperienza da Lei avuta come titolare della Farnesina e prim’ancora come Commissario Ue, che valutazioni si sente di poter dare, soprattutto alla luce della priorità che oggi l’Italia sta dando alla partnership con i Paesi africani?

”Scoperta la priorità, da me condivisa, il problema è come intervenire. E’ chiarissimo che il nostro interesse si è ridestato a partire dalla questione migranti. Ma questo non ci deve spingere a mere soluzioni emergenziali, peraltro prevalentemente securiste. Da questo punto di vista, è positivo che i fondi per la Cooperazione internazionale e l’Aiuto allo sviluppo siano aumentati nell’ultimo triennio ed è altrettanto evidente, almeno a me, che oltre gli interventi bilaterali è anche il momento di una seria riflessione che coinvolga tutta l’Europa. E questo anche alla luce di una fruttuosa coincidenza temporale…”.

A cosa si riferisce?

”Siamo in una fase di negoziato del Trattato ACP-UE, che era fermo all’accordo di Cotonou; accordo che rappresenta lo strumento che regge la Cooperazione allo sviluppo dell’Unione europea con i Paesi di Africa, Caraibi e Pacifico. C’è dunque, lo sottolineo con forza, una fortunata coincidenza politico-temporale che non va sprecata. In questo ripensamento-rinegoziazione, ritengo che vi siano degli elementi da tenere ben presente e che non erano così pressanti dieci anni fa…”.

Ad esempio?

”Al di là degli slogan ‘aiutiamoli a casa loro’, spesso usati solo per sbarrare la strada a rifugiati e migranti, è evidente che lo sviluppo dell’Africa è anche nell’interesse dell’Europa. E questo non solo per ragioni commerciali ma perché lo sviluppo dell’Africa è decisivo per la nostra stessa sicurezza. In questo quadro, il primo elemento da tenere in conto, ma che troppo spesso viene colpevolmente sottovalutato, è la questione dell’esplosione demografica di molti Paesi africani, in particolare di quelli più poveri come, ad esempio, il Niger. E’ bene essere consapevoli che se l’esplosione demografica in molti Paesi africani continua al 4%, non c’è sviluppo economico che possa tenere il passo. E per affrontare questo problema, pur consapevoli che serviranno una o due generazioni, lo strumento più efficace è l’emancipazione femminile, il che vuol dire diritti, scuola, istruzione, sanità, lavoro. Un recente Rapporto ha dimostrato che la diminuzione/eliminazione dei matrimoni giovanili e forzati, avrebbe un impatto gigantesco non solo sul piano dei diritti ma anche sul versante economico. Lo stesso discorso vale per le mutilazioni genitali femminili: più le ragazze rimangono a scuola, più tardi si sposano. E più sono istruite, più sanno controllare le nascite. Da qui discende la necessità impellente di una politica di pianificazione famigliare, ad oggi sconosciuta in moltissimi Paesi africani. Occorre puntare sulla valorizzazione delle risorse umane, in particolare quelle femminili.
Il secondo elemento da tenere presente è quello dello sviluppo: è un problema sia di infrastrutture materiali – strade, ferrovie, energia – che virtuali; un mix che può favorire anche il commercio e la crescita economica. E qui si apre una porta dolente che impone anche una direttrice di azione per la Cooperazione italiana e per l’Europa”.

Quale sarebbe questa “porta dolente” da scardinare?

“Uno dei limiti del mancato sviluppo dei Paesi del Mediterraneo è che non c’è né cooperazione né commercio Sud-Sud. Quello che ha fatto, con tutti i suoi limiti, l’Europa, è qualcosa che i Paesi del Sud del Mediterraneo, e non solo, ancora non hanno voluto e forse neanche capito”.

Fenomeni epocali come è quello delle migrazioni non possono essere affrontati e risolti a livello di singoli Stati. Guardando al Mediterraneo, si ripete che c’è bisogno di più Europa, sia sul piano dell’iniziativa strettamente diplomatica che nell’ambito dei progetti di cooperazione. Ma l’Europa, questa Europa, è all’altezza di una sfida di tale portata?

”E’ chiaro che anche l’Europa deve fare la sua parte. Un esempio di stretta attualità: tutti dicono di volere lo sviluppo della Tunisia, salvo poi non volere né la sua gente né le sue olive, né le arance, cioè quello che i Tunisini producono. Essendo il mondo cambiato, occorre ripensare anche i nostri strumenti di cooperazione. Parlare di cooperazione significa intervenire anche sul grande tema dei migranti, andando oltre una dimensione emergenziale o peggio securista. E su questo tema, registriamo un deficit abissale di governance europea, in termini di strumenti d’intervento e di capacità-possibilità di azione. Quando i Ventotto capi di Stato o di governo hanno chiesto alla Commissione europea di formulare una proposta sulla relocation dei 160mila, la Commissione lo ha fatto ma i singoli Paesi si son guardati beni da attuarla. Per tornare ai punti-chiave di una cooperazione avanzata, il terzo, per certi versi il più importante, consiste in una pressione forte per l’affermazione di governance democratiche che non siano così propense a dilapidare le risorse dei loro Paesi. Tra la realpolitik e l’utopia c’è una via di mezzo che va perseguita…”.

Quale sarebbe?

”Non si tratta di cooperare o avere relazioni solo con Paesi retti da sistemi democratici, perché ciò vorrebbe dire escludere una parte significativa del mondo. Al tempo stesso, però, non si può pensare ai diritti umani, civili, sociali, di genere come un optional di cui si può pure fare a meno. Se la cooperazione significa aiuto alla crescita, questo deve valere anche sul terreno della costruzione di istituzioni democratiche e individuare gli standard minimi in questo campo senza il rispetto dei quali i piani di cooperazione vengono rimessi in discussione. Anche qui, un esempio indicativo: la Nigeria. Un Paese ricchissimo di materie prime ma con sacche enormi di povertà dovute ad una gestione politica di furto e corruzione invece che di sviluppo: questioni di malgoverno e non di assenza di risorse endemiche. Un discorso che vale anche per altri Paesi africani, come il Niger”.

”Africa first”, dunque…

”Lo sviluppo dell’Africa è una straordinaria opportunità di ripensamento complessivo: vediamo di non sprecarla per obiettivi più immediati ed emergenziali che oltre a non funzionare, distoglierebbero da una analisi di fondo senza la quale non riusciremo mai a individuare e praticare soluzioni adeguate”.

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