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SYRIA – SEPTEMBER 01: Palmyra’s Last Treasures in Syria in September, 2002 – Khaled al-Asaad, the Director of Antiquities and Museum in Palmyra, in front of a rare sarcophagus depicting two priests (they wear the typical cylindrical cap), a father and his son, one with his wife and the other one with his sister. Dating from the 1st century, it is one of the finest sculptures in Palmyra. (Photo by Marc DEVILLE/Gamma-Rapho via Getty Images)

Da Palmira al Bardo: quando i nazijihadisti provano a distruggere un patrimonio dell’umanità

Al Qaeda e l’Isis hanno attaccato i luoghi archeologici non solo per mettere in ginocchio il turismo ma perché fruire di quelle ricchezze culturali è rivendicare la bellezza e la normalità.


La loro furia distruttrice si è accanita non solo sugli esseri umani ma sul patrimonio dell’umanità, e alla pulizia etnica si aggiunge quella culturale. A teorizzare, e poi praticare, la “jihad dei paradisi turistici”, era stato il successore di Osama bin Laden alla guida di al-Qaeda, l’egiziano Ayman al Zawahiri. Una campagna che nella mente dei suoi ideatori ha anche un forte impatto mediatico: nell’immaginario collettivo, alimentato da depliant patinati che magnificano la sabbia dorata delle spiagge delle Maldive o del Mar Rosso, quei villaggi accessoriati di ogni comfort sono l’emblema della tranquillità, del benessere. Da assaltare, trasformando quei “paradisi” in un inferno.

 

 

Ecco allora Ibrahim al Kindi, un religioso del Kuwait, tra i più affermati predicatori mediorientali, lanciare una fatwa sul patrimonio culturale dell’Egitto, piramidi e sfinge per primi. Secondo la versione di al Kindi, infatti, non sarebbe corretto per l’Islam lasciare intatti i monumenti rappresentanti le antiche divinità egiziane basandosi sul fatto che — come in molti affermano in loro difesa — i discepoli di Maometto entrati in passato in Egitto, non le hanno distrutte. Piramidi e Sfinge, sarebbero state sepolte, all’epoca, sotto terra, e sarebbero riemerse solo negli ultimi secoli per via dei venti che le avrebbero riportate alla luce. Secondo i proclami di al Kindi, insomma, le piramidi e la Sfinge, monumenti che rappresentano un patrimonio inestimabile della cultura umana, oltre che mete turistiche di primaria importanza per le casse dello Stato egiziano, andrebbero distrutte, poiché simbolo di apostasia; così come in passato è stato fatto in Egitto con altri templi e statue che rappresentavano gli dei dell’antico popolo. E la jihad contro i turisti e i luoghi d’arte investe anche il Marocco e il Libano.

Colpire senza pietà per affossare l’industria del turismo, vitale per le casse di diversi Paesi arabi e musulmani.Colpire per “decontaminare” l’Islam dalla presenza occidentale: è l’”opa” sanguinaria lanciata dal “Califfato” sul mondo libero. Nel mirino dei nazijihadisti sono entrate anche le città d’arte, quelle che in Medio Oriente vengono visitate da decine di migliaia di turisti occidentali: Petra in Giordania, Luxor in Egitto. E, allargando l’orizzonte, Istanbul. Seminano terrore, colpiscono luoghi simbolo, massacrano civili inermi. E uccidono una idea di normalità che passa anche per viaggiare in libertà. E’il nazijihadismo. Che vede l’Isis e la “nuova” al-Qaeda, post Osama bin Laden, contendersi la leadership del variegato arcipelago dell’islam radicale armato.

 

 

Resta il fatto, inquietante, che esiste un filo rosso (sangue) che unisce gli attacchi terroristici che dalla penisola del Sinai sono passati per i luoghi turistici più visitati di Istanbul (la Moschea Blu, la chiesa di Santa Sofia) e a rinomate località balneari turche come Kusadasi; hanno devastato discoteche e ristoranti di Bali e stravolto le sognanti Maldive; hanno insanguinato grandi alberghi di Jakarta come quelli di Casablanca, hanno mirato ai resort in Kenya, a Mombasa. Ed ora le propaggini qaediste si allargano anche ad aree che sembravano estranee al circuito del terrore jihadista: le Maldive, per l’appunto, ma anche le isole Comore. Resta il fatto, confermato da recenti rapporti di agenzie d’intelligence occidentali, che il successore di bin Laden alla guida della “cupola” qaedista, Ayman al Zawahri avrebbe affidato il coordinamento del Jihad contro i paradisi turistici al numero uno dell’estremismo somalo: Aden Ashi Ayro, un feroce capo guerrigliero addestrato nei campi clandestini dell’Afghanistan.

D’altro canto, sottolineano i più autorevoli analisti del terrorismo jihadista, le Maldive non distano molto da una delle aree dove più forte e radicata è la presenza di gruppi legati ad al-Qaeda.  È il caso della Somalia e del Kenya, dove agisce uno dei più temuti comandanti militari di Al Qaeda: Fazul Mohammed. Così come le località turistiche più affermate nel sud-est asiatico sono da tempo obiettivi privilegiati (ricordiamo i sanguinosi attacchi ad affollati ristoranti a Jambaran Beach e a Kuta Beach a Bali) della Jemaah Islamiya, l’organizzazione qaedista i cui tentacoli si estendono in Indonesia e Malesia, a Singapore, nelle Filippine. E a indicare una strategia comune c’è anche la tecnica utilizzata nell’altro ieri alle Maldive: l’uso di un ordigno collegato ad un telefonino e riempito di chiodi per ampliarne l’effetto devastante ricorda le bombe impiegate in numerosi attentati in Medio Oriente e in Europa. Tecnica e attacco agli interessi dei regimi “apostati” mediorientali: le isole destinate a divenire resort turistici vengono date in concessione a società estere, spesso basate negli Emirati Arabi Uniti.

 

 

Nel mirino di Al Qaeda sono entrate anche le città d’arte, quelle che in Medio Oriente vengono visitate da decine di migliaia di turisti occidentali: Petra in Giordania, Luxor in Egitto.
Le Maldive sono dunque solo l’inizio di questa nuova offensiva del terrore jihadista.  L’obiettivo è di estendere l’azione anche ad altri paradisi del turismo: i Caraibi, le Hawaii. Un’offensiva che ci riguarda anche da vicino. “I mujihaddin sulle spiagge del Mediterraneo”: è il titolo di una delle foto contenute nel primo sito Internet creato da uno dei gruppi jihadisti più sanguinari del Maghreb: “Al Qaeda nel Maghreb islamico”, gruppo nato in Algeria (dove ha rivendicato oltre 20 attentati che hanno provocato in pochi mesi centinaia di morti e feriti) ma che ha anche l’ambizione di diventare punto di riferimento per le attività jihadiste nei Paesi vicini come la Libia, la Tunisia, il Marocco e la Mauritania. E in Marocco, i servizi di sicurezza hanno recentemente smantellato una cellula jihadista che stava organizzando attentati contro navi da crociera e località turistiche. Stessi progetti che muoveva una cellula jihadista scoperta e neutralizzata un anno fa in Turchia poco prima che entrasse in azione su una nave da crociera israeliana. Quella foto apparsa sul sito di uno dei più feroci gruppi jihadisti è tutto un programma. Un programma di morte. La didascalia che accompagna quella foto sottolinea che i mujihaddin sono sulla spiaggia del mare comune anche a molti Paesi europei, tra i quali l’Italia, e mostra una decina di terroristi armati che marciano in fila lungo le coste del Mediterraneo. Non è solo propaganda. E il martirio di Palmira. La “sposa del deserto”, dichiarata dall’Unesco patrimonio dell’umanità, ne è la tragica conferma.

Abbiamo a che fare con dei barbari– sottolinea Giovanni Puglisi, presidente emerito della Commissione italiana dell’Unesco – con cui è impossibile ogni mediazione politica, a loro interessa solo la gestione del potere, basti vedere come usano le risorse, come usano gli stessi reperti archeologici che vendono al mercato nero per fare cassa. Vogliono la cancellazione della memoria, vogliono incutere terrore, con l’obiettivo di azzerare la cultura…. Non dimentichiamo che il programma prioritario dell’Unesco è l’alfabetizzazione per tutti. Dove mancano cultura e conoscenza, dove manca la memoria, non c’è possibilità di coscienza e di sviluppo. E questo è ciò che loro vogliono“. E che il mondo libero è impegnato a contrastare. C’è una data da cerchiare in rosso: 24 marzo 2017.

 

 

Su proposta di Italia e Francia, il Consiglio di Sicurezza dell’Onu approva all’unanimità la prima risoluzione che affronta in modo organico la difesa del patrimonio culturale dell’umanità minacciato da guerre e gruppi terroristi come l’Isis. In quell’occasione, la Direttrice Generale dell’Unesco Irina Bokova ha reso omaggio alla leadership italo-francese nella messa a punto di un testo che “deplora e condanna” la distruzione e il saccheggio di siti archeologici, musei, archivi, biblioteche, il contrabbando di reperti attraverso il quale si finanzia il terrorismo internazionale e accoglie la richiesta di prevedere, quando richiesto, una componente culturale in seno alle missioni Onu di peacekeeping.

Un impegno che l’Italia, con l’Aics e lo sviluppo di progetti cooperazione bilaterale e multilaterale, ha portato avanti nel corso degli anni in Medio Oriente: in Giordania Petra e non solo. In Libano, grazie alla Cooperazione italiana, dal 7 ottobre 2016 è stata aperta una nuova ala nel Museo Nazionale di Beirut, con l’obiettivo, anche in questo caso come lo era stato per il restauro degli affreschi romani della Tomba di Tiro, di contribuire in maniera importante alla valorizzazione del patrimonio culturale libanese. In Iraq, in Palestina, e prim’ancora in Siria ed Egitto: la valorizzazione dei luoghi archeologici e museali s’intreccia con programmi di interscambio artistico, in particolare in campo musicale (tante e di successo le iniziative promosse nel regno hashemita dalla nostra Ambasciata).

 

 

Difendere e valorizzare il patrimonio culturale di cui il Grande Medio Oriente è ricco, operare per la rinascita di siti archeologici violentati dai nazijihadisti, nella visione dell’Aics e della cooperazione italiana sono pilastri di un’azione pianificata di “institution building” che si dispiega a tutto campo. Turismo è vita. E’ emozione. E’ feconda “contaminazione” di culture. Turismo è ricchezza, spirituale e materiale: circa 6 milioni di posti di lavoro nella regione sono legati al turismo.

Il Grande Medio Oriente è culla di civiltà, di luoghi dichiarati patrimonio dell’umanità. Visitarli è rivendicare una normalità che i seminatori di morte hanno cercato di distruggere. Senza riuscirci. E’ il segno di speranza che viene dalla Tunisia. a tre anni dalla strage di bagnanti sulla spiaggia di Port el-Kantaoui, a Sousse, e dalla strage al museo del Bardo, in Tunisia ritornano i turisti. E per l’economia del Paese mediterraneo è una boccata d’aria indispensabile. Il turismo è un settore trainante per l’intero Paese, vale almeno il sette per cento del Pil. La maggiore tranquillità, assieme alla svalutazione del dinaro, stanno portando le prenotazioni estive ai livelli di prima del 2015.

 

 

Nei primi sei mesi dell’anno, comunica il ministero del Turismo, gli arrivi hanno raggiunto i tre milioni, e le prospettive sono rosee anche per il resto del 2018, con una previsione di arrivi che raggiunge gli otto milioni di persone.

Mete ambite come Djerba sono ormai al tutto esaurito, molte destinazioni hanno raddoppiato le presenze rispetto all’anno passato. Grandi operatori come Thomas Cook, che dopo gli attentati di Sousse e del Bardo aveva cancellato i pacchetti vacanze tunisini, adesso sono tornati e hanno triplicato i voli. Italiani, tedeschi e francesi sono già rientrati, i tour operator ora spingono sul mercato russo e su quello cinese. I primi introiti sono soddisfacenti: 1,29 miliardi di dinari, pari a 420 milioni di euro, per la prima metà dell’anno, sfiorano ormai i livelli del 2010, prima della “rivoluzione dei gelsomini”.

Dedicato a Khaled Assad: per oltre cinquant’anni ha custodito con amore e totale dedizione i tesori archeologici di Palmira. Per questo, a 82 anni, nell’agosto 2015, l’ex capo della direzione generale delle antichità e dei musei di Palmira, è stato trucidato dai nazijihadisti dell’Isis. Prima di tagliargli la testa, per poi appendere il suo corpo a una colonna, i tagliagole dello stato islamico lo avevano tenuto sotto torchio per quattro settimane affinché rivelasse dove aveva nascosto centinaia di statue. Khaled Assad non ha parlato. Ha portato con sé quel segreto. L’ultimo atto d’amore per la sua “sposa”: Palmira.

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