Decolonizzare la cooperazione: se non ora, quando
Il mondo dopo Usaid, al tempo del Piano Mattei: parla Giovanni Lattanzi, neo-presidente della rete delle organizzazioni della società civile Aoi.
“Decolonizzare”, collaborando davvero, per garantire i risultati migliori insieme alle comunità locali: parte da questo impegno il mandato di Giovanni Lattanzi, nuovo presidente di Aoi, l’Associazione delle organizzazioni italiane di cooperazione e solidarietà internazionale. Del rapporto tra Nord e Sud globale, internazionale e locale, dignità e rispetto, parla con Oltremare a margine dell’incontro “Chukuana”: un titolo in lingua swahili che significa “aiutarsi in modo reciproco”. Ed è anche su queste parole che si interroga Lattanzi, chiamato a guidare una rete di riferimento in Italia, che rappresenta oltre 250 organizzazioni, alleanze e realtà del Terzo settore, impegnate nel sociale, per la sostenibilità e la pace dall’Africa all’Asia, dal Medio Oriente all’America Latina.

Foto: Marco Palombi per Oltremare
“I progetti devono essere fatti assieme” premette il presidente. “Dobbiamo ascoltare i nostri partner, le comunità e i Paesi, per capire davvero quali sono le esigenze e i bisogni; e poi insieme elaborare, portare le risorse, trovarle assieme e cercare di attuare le progettualità”. A organizzare “Chukuana” è Comunità solidali nel mondo, un’organizzazione socia di Focsiv, la Federazione degli organismi di volontariato internazionale di ispirazione cristiana. L’ong è impegnata in particolare in Tanzania e allora è inevitabile che durante l’incontro si torni più volte sul Piano Mattei, l’iniziativa del governo italiano che promette una cooperazione “alla” pari con i Paesi dell’Africa.
“Ho tenuto audizioni sia alla Camera dei deputati che al Senato”, premette Lattanzi, ponendo subito in evidenza alcune criticità evidenziate in Parlamento. “Rispetto al Piano Mattei la parola decolonizzazione è sempre stata utilizzata ma credo che vada chiarito meglio come sono elaborate le progettualità, con chi sono decise e come vengono impiegate le risorse”. La tesi è che “l’intuizione” del governo italiano sia “buona” ma che servano “regole d’ingaggio più trasparenti, anche su come e dove investire” insieme con i Paesi partner. Nessun dubbio sull’obiettivo finale. “Bisogna realizzare interventi che siano migliorativi per le comunità”, ribadisce Lattanzi, “facendo le cose insieme e garantendo benefici”.
“Chukuana” è anche l’occasione per confrontarsi su un decalogo per la decolonizzazione elaborato da Comunità solidali nel mondo con il supporto di Focsiv e Aoi. “Negli ultimi anni, la discussione sulla localizzazione dell’aiuto ha acquisito un’importanza crescente nel mondo umanitario e dello sviluppo” si legge nel documento. “Spinta dal dibattito globale seguito al World Humanitarian Summit del 2016 e dal Grand Bargain, questa riflessione ha messo in luce una verità ormai condivisa: per essere davvero efficace, equa e sostenibile, la cooperazione deve spostare il baricentro verso i protagonisti locali”. Una necessità, questa, che investirebbe anche “dinamiche di potere”. “Le organizzazioni della società civile internazionale”, si afferma nel decalogo, “sono chiamate a ripensare i propri ruoli, le proprie procedure e la propria cultura organizzativa, per diventare facilitatori di capacità locali, piuttosto che esecutori dominanti”.
A innervare la proposta sono indicazioni concrete. “La co-progettazione o la co-programmazione dovrebbero diventare modelli operativi integrati” si evidenzia. “Impongono il superamento definitivo della logica ‘faccio-per’ a favore del ‘faccio-con’, garantendo che gli obiettivi di intervento siano chiari, realistici e profondamente condivisi con tutti i portatori di interesse, siano essi in loco che nelle agenzie finanziatrici”. Stando al decalogo, “l’esperienza dimostra che la co-progettazione assicura che gli obiettivi rispondano ai bisogni e alle priorità autentiche, distribuendo il potere decisionale e contrastando la tendenza a rispondere primariamente alle agende dei finanziatori esterni”.
I temi sono decisivi, il momento particolare. “Nonostante gli sforzi per ridurre la povertà e rafforzare le comunità, l’industria dello sviluppo viene criticata per aver contributo alle disuguaglianze”, ha scritto di recente Patrick Fine, a lungo al lavoro con l’agenzia statunitense Usaid e ora ricercatore di Brookings Institution. “Oggi, due terzi dei Paesi a basso reddito sono ad alto rischio di — o già in — stress da debito, mentre 3,4 miliardi di persone vivono in Paesi dove i pagamenti degli interessi sul debito superano la spesa per la sanità o l’istruzione”. Fine continua, in un’analisi pubblicata dal portale Devex: “I movimenti populisti nelle Americhe e in Europa, insieme al rinnovato confronto tra grandi potenze, hanno provocato bruschi cali nei finanziamenti allo sviluppo e una perdita di volontà politica”. Il riferimento è alle scelte dell’amministrazione di Donald Trump. “Decine di migliaia di posti di lavoro nel settore degli aiuti sono scomparsi nel 2025, tra cui più di 10mila a Usaid, 20mila all’interno delle Nazioni Unite e altri migliaia tra ong e organizzazioni della società civile”. Secondo Fine, “alcuni responsabili politici ritengono che una presenza internazionale meno influente fosse attesa da tempo e che ciò creerà spazio per iniziative locali e costringerà i governi a diventare più autosufficienti”. Decolonizzare, in un modo o nell’altro.
Vincenzo Giardina
Nato a Padova, laureato in storia contemporanea, è un giornalista professionista. Coordina il notiziario internazionale dell’agenzia di stampa Dire. Tra le sue collaborazioni Il Venerdì di Repubblica, Internazionale, l’Espresso e Nigrizia. Già redattore dell’agenzia di stampa missionaria Misna, si è specializzato sull’Africa e sui temi dei diritti umani e della lotta contro le disuguaglianze. Scrive su Oltremare, magazine dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo, e interviene come esperto o inviato su Radio Rai, Radio Vaticana e altre emittenti. Suoi articoli e reportage sono pubblicati anche da La Stampa e Vanity Fair. Parla più lingue, tra le quali il russo.
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