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Da Madrid a Glasgow, il negoziato sul clima visto dall’Italia

La COP25 si è conclusa con pochissimi passi avanti. La prospettiva è di un 2020 in salita per il clima. A mancare, ancora una volta, è la volontà politica. Ora però tocca all’Italia e alla sua diplomazia, insieme all’Europa, per rispristinare gli equilibri multilaterali all’interno dell’Accordo di Parigi.

The COP25 ended with very few steps forward. The 2020 climate negotiation is going to be complex. Once again, the political will is lacking. But now it is up to Italy and its diplomacy, together with Europe, to restore the multilateral equilibria within the Paris Agreement.

Questa volta è vero fallimento. Tante, troppe volte i giornali si sono affrettati a commentare negativamente i lavori del negoziato ONU per il clima. Non è questo il caso: il finale sperato non è arrivato. Si preserva l’architettura dell’Accordo di Parigi e si registra la volontà delle parti di aumentare l’ambizione per il 2020, quando a Glasgow i 196 stati dovranno portare nuovi piani nazionali di decarbonizzazione. Ma il risultato è davvero mediocre. “Doveva essere la COP dell’azione si è rivelata essere la prima dell’inazione”, ha commentato laconico il delegato delle Maldive durante la plenaria di chiusura.

Teresa Ribeira ,Carolina Schmidt, Patricia Espinosa

È stato il negoziato UNFCCC più lungo degli ultimi 25 anni e, nonostante questo, si è fallito ad approvare l’elemento centrale e più concreto del negoziato, la finanza climatica. Si tratta del cosiddetto Articolo 6, l’ultimo mancante nell’Accordo di Parigi. Avrebbe permesso di scambiare quote emissioni, comprandoli da progetti di mitigazione in altre parti del mondo e vederli contabilizzati a suo nome. Ma si sono messi di mezzo Jairo Bolsonaro, con il suo Brasile negazionista, che si è opposto persino ai riferimenti scientifici nel testo su oceani e uso del suolo, la Cina, nervosa per i continui tatticismi degli Usa, l’Australia, favorevole a usare crediti di CO2 provenienti dal Protocollo di Kyoto. Persino gli USA, ufficialmente in uscita dall’accordo, hanno reso più complesso il negoziato bloccando il processo del Loss&Damage, l’assicurazione contro i fenomeni estremi climatici per i paesi più vulnerabili. La Presidenza cilena, guidata da Carolina Schmidt, considerata da tutti assolutamente inadatta nella gestione del processo, ha dovuto prendere atto del fallimento sull’Articolo 6. “Oggi, come nazioni, siamo rimasti in debito con il pianeta”, ha lamentato la Schmidt, nello sterile linguaggio onusiano. “Gli accordi raggiunti dalle parti non sono sufficienti per affrontare con urgenza la crisi dei cambiamenti climatici”. Dal testo finale sono rimasti fuori anche il fondo per l’adattamento, la mobilitazione di risorse per il Loss&Damage, i meccanismi di trasparenza necessari per il monitoraggio degli impegni nazionali di riduzione delle emissioni. Azzerati i testi sulla finanza, si riparte da zero al summit intermedio SBSTA di giugno a Bonn e si proseguirà con la preCOP a fine settembre a Milano.

 

Teresa Ribeira

 

 

Il segnale che arriva all’esterno è pessimo. “L’UNFCCC è ostaggio dei poteri fossili”, spiega Serena Giacomin, presidente di Italian Climate Network. “Non possiamo permettere che gli interessi di alcuni possano far naufragare il negoziato e mettere a repentaglio la vita di tante persone. Serve oggi più che mai pressione dal basso, non solo per rimettere immediatamente al centro l’importanza dell’Accordo di Parigi, ma soprattutto per raggiungere l’ambizione necessaria seguendo ciò che dimostrano i dati scientifici. L’Italia nel 2020 dovrà giocare un ruolo centrale”. “I governi devono ripensare completamente il modo con cui conducono queste trattative, perché l’esito di questa COP è totalmente inaccettabile”, dichiara Jennifer Morgan, Direttrice Esecutiva di Greenpeace International. “La COP25 era stata annunciata come un appuntamento “tecnico”, ma è poi diventata qualcosa in più di un negoziato”. È innegabile, il processo multilaterale ha messo in luce il ruolo che i sovranisti clima-negazionisti rivestono nelle scelte politiche internazionali e la profonda sfiducia dei giovani nei confronti della politica e del processo negoziale.

“Il risultato di questa COP25 è davvero un miscuglio, e molto lontano da ciò che la scienza ci dice è necessario”, spiega Laurence Tubiana, architetta dell’Accordo di Parigi e CEO della European Climate Foundation. “I principali attori politici che avrebbero dovuto contribuire al successo di Madrid non sono stati all’altezza delle aspettative, ma grazie a una progressiva alleanza di piccoli stati insulari, Paesi europei, africani e latinoamericani, abbiamo ottenuto il miglior risultato possibile, contro la volontà dei grandi inquinatori”. E difende il risultato al minimo comun denominatore: “il supporto eroico di Teresa Ribera nelle ultime ore ci ha aiutato a ottenere il risultato minimo necessario per andare nel 2020, l’anno in cui l’azione per il clima conta. Il 2020 è l’anno in cui tutti i paesi devono presentare piani climatici nuovi e davvero migliorati. Sarà un grande test per il Regno Unito e l’Italia, che co-presiederanno la COP26 a Glasgow l’anno prossimo. Ma sono sicura porteranno a casa un grande risultato”.

 

Alla ricerca del nuovo equilibrio multilaterale

Il processo dunque si fa di nuovo politico. Innanzitutto l’Europa, che ha avuto un ruolo centrale nel salvare il negoziato di Madrid, deve subito avviare il processo di revisione degli attuali impegni di riduzione al 2030, cercando un accordo non oltre il Consiglio Europeo di giugno 2020. Poi c’è il ruolo del nostro paese. “L’Italia, co-presidente dei negoziati preparatori a Milano e della COP26 di Glasgow, avrà una grande responsabilità”, ha dichiarato all’autore il ministro dell’Ambiente, Sergio Costa. “È importante che si mobiliti anche la Farnesina, con Luigi di Maio, per cercare accordi diplomatici al fine di chiudere i temi rimasti aperti, come l’art.6 e spingere per l’ambizione post-2020. È una chiamata alle armi di tutti”. Serve aprire canali bilaterali con Cina, India e Giappone, in comune accordo con gli altri paesi europei. Facendo bene i compiti a Bruxelles e tramite la diplomazia, l’Europa potrà arrivare al Vertice di alto livello EU-Cina, in programma il prossimo settembre a Lipsia con una proposta congiunta per un accordo ambizioso in vista della COP26 di Glasgow. E L’Italia potrebbe incassare un risultato diplomatico importante. Si tratta infatti, dicono numerosi delegati, di ritrovare l’equilibrio multilaterale nell’Accordo di Parigi alterato dall’annuncio di uscita degli Usa fatto da Trump. Nel caso vincesse un democratico alle elezioni presidenziali del 3 Novembre, gli Usa formalmente potrebbero cambiare rotta entro il giorno successivo, data in cui diventa effettivo l’abbandono americano dall’Accordo. Ma il tutto sarebbe troppo vicino al negoziato di Glasgow, che aprirà i battenti il 9 Novembre, per essere sicuri di avere consenso tra Usa, paesi BASIC, Cina su tutti, e il peso politico necessario dell’Europa. Una partita diplomatica al cardiopalma.

 

 

Cosa salvare della risoluzione Time for Action

Non tutto è andato perso ovviamente. Nel documento finale di Madrid, Time for Action, firmato alle 13.35 di domenica, ci sono alcuni elementi interessanti che vale la pena analizzare.
Innanzitutto viene ribadita con forza la centralità della scienza con decisioni politiche e si accolgono i due report IPCC su oceani e uso del suolo (decisione ostacolata per giorni dalla delegazione brasiliana). Questo è importante poiché permetterà di intraprendere una serie di azioni di mitigazione e adattamento importanti, dalla gestione delle coste all’agricoltura rigenerativa.
Inoltre le Parti hanno raggiunto un accordo sul capitolo Loss and Damage del Warsaw International Mechanism (WIM) che fornirà supporto alle persone più vulnerabili che subiscono gli impatti dei cambiamenti climatici. Come parte di questa decisione è stata inclusa la rete Santiago Network, di cui fa parte anche l’Italia, che fungerà da hub per catalizzare assistenza tecnica e knowledge transfer nei paesi colpiti da catastrofi naturali per assisterli durante le emergenze e per renderli più resilienti. “Riteniamo che questa istituzione aiuterà ad attuare azioni concrete nei nostri paesi che già si trovano a dover affrontare perdite e danni”, ha dichiarato il capo del gruppo dei Paesi Meno Sviluppati (LDC), Sonam Wangdi.
Applaudito dagli enti locali e dal mondo del business l’estensione fino al 2025 del Global Action Plan, creato alla COP di Marrakesh, incentrato sulla promozione e attuazione dell’azione per il clima da parte di attori non statali, compresi i governi, le città e le imprese locali. Secondo Piero Pelizzaro, Chief Resilience Officer della città di Milano, “le città sono il luogo dove gli impatti del clima sulle persone sono evidenti. Ma puntando su trasporto pubblico collettivo, una mobilità individuale leggera e con la decarbonizzazione del costruito, saranno i principali attori della neutralità climatica. Questo mentre i governi nazionali decidono cosa fare da grandi”.

 

Frans Timmermans

 

Il mondo della società civile e delle ONG ha salutato con piacere l’estensione di cinque anni del Gender Action Plan. “Il GAP è fondamentale per la promozione dei diritti di genere, la rappresentanza e partecipazione delle donne e altri gruppi all’interno dell’azione climatica internazionale (UNFCCC, politiche e progetti climatici, altre istituzioni ONU)”, spiega Chiara Soletti dell’Italian Climate Network. “I diritti umani e i principi ad essi legati, come la parità di genere, sono necessari per rendere l’azione climatica equa ed efficace. Aiutano ad evitare errori commessi in passato che in nome della riduzione delle emissioni hanno visto progetti danneggiare interi ecosistemi con impatti tragici sulle popolazioni locali”. Bene anche sugli impegni di lungo termine, dato che l’UNFCCC ha preso atto della volontà della “Climate Ambition Alliance” di decarbonizzare l’economia al 2050. 121 paesi, 15 governi subnazionali, 398 città, 786 imprese e 16 investitori con attività per un valore di 4 trilioni di dollari. Inoltre, tutti si sono impegnati ad essere carbon neutral entro il 2050. Nel grande quadro geopolitico certo non sono risoluzioni che hanno lo stesso peso dell’Articolo 6. Ma avranno comunque un grande impatto per tante persone e in tante aree del mondo, contribuendo a salvare vite e rendere questo mondo migliore.

#TimeForAction

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