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Combattare la fame nel mondo, un obiettivo in salita

Il numero di persone che soffrono la fame nel mondo è ancora incredibilmente alto, sebbene sia largamente concentrato soprattutto in alcune regioni (Africa subsahariana e Asia Meridionale). Se prendiamo il numero di persone denutrite stimato dalla FAO (ossia coloro che consumano un livello di calorie insufficiente), siamo oggi a più di 820 milioni ossia un livello simile a quello del 2010. Dunque, non solo il numero è elevato in senso assoluto ma, a differenza di altri settori (istruzione, salute), non ci sono stati progressi apprezzabili a livello globale, tanto è vero che il Target 2 (Dimezzare, tra il 1990 e il 2015, la proporzione di persone che soffre la fame) dell’Obiettivo di Sviluppo del Millennio 1, è stato clamorosamente fallito dalla comunità internazionale.

Questo fallimento è dovuto a un insieme di diversi fattori, che non posso qui analizzare. Certamente, però, uno degli elementi che dovrebbe far riflettere è l’approccio inadeguato che finora la comunità internazionale, con poche eccezioni, ha seguito nella lotta alla fame. Quando si parla di fame e di sicurezza alimentare, infatti, sia l’opinione pubblica sia la maggior parte dei governi, delle agenzie internazionali e delle organizzazioni non governative ritengono che si tratti essenzialmente di un problema agricolo e di conseguenza gran parte delle politiche, dei programmi, dei progetti, delle azioni di lotta alla fame e all’insicurezza alimentare riguardano l’agricoltura e gli agricoltori, le tecnologie e le risorse naturali, con l’idea che sia necessario accrescere la produzione e/o la produttività del settore primario, soprattutto nei paesi più colpiti dalla fame.

Per comprendere quanto questa visione molto comune sia inadeguata e talvolta addirittura perniciosa, basta considerare i dati che abbiamo sulla disponibilità di cibo a livello globale. Mentre molti sono convinti che viviamo in un mondo di scarsità o che ci stiamo rapidamente avviando verso la scarsità, le statistiche della FAO ci raccontano una storia completamente diversa: secondo le stime più recenti, per ogni abitante del nostro pianeta oggi sono disponibili quasi 2900 kilocalorie al giorno, molte di più delle circa 2200 che sarebbero necessarie. Inoltre, dal 1961 a oggi le calorie pro capite disponibili sono passate da circa 2200 a circa 2900 e questo significa che la disponibilità di cibo è cresciuta molto più rapidamente dell’aumento della popolazione mondiale, contrariamente a tutte le pessimistiche previsioni neomalthusiane. Infine, il trend crescente della produzione di cibo non ha mostrato e non sta mostrando alcun rallentamento allarmante. Certamente, dobbiamo preoccuparti della minaccia che i cambiamenti climatici stanno portando a questo trend e mettere in campo tutto le nostre forze e capacità per rendere l’agricoltura sempre più sostenibile e resiliente, utilizzando anche l’agroecologia. Tuttavia, il fatto inaccettabile che oggi più di 820 milioni di persone, soprattutto donne e bambini, siano denutriti non dipende dalla scarsità di risorse naturali o di cibo, che è invece oggi largamente abbondante, ben oltre le nostre necessità. Dunque, è bene non confondere due problemi entrambi importanti: quello attuale della fame e quello dei cambiamenti ambientali futuri. Oggi il cibo c’è per tutti, ma non tutti hanno il cibo necessario.

Per capire la fame e per poterla debellare, dobbiamo quindi affrontare il problema in modo radicalmente diverso: non considerarla una questione prettamente agricola, che dipende dalle tecnologie e dall’uso delle risorse naturali, ma invece una questione di mancato accesso al cibo disponibile, come ci ha insegnato Amartya Sen. In altre parole, il vero problema da affrontare è perché questi 820 milioni di persone non riescono ad accedere al cibo che viene prodotto in abbondanza. Produrre più cibo non lo renderà necessariamente accessibile a queste persone.

Se escludiamo i casi estremi, purtroppo frequenti e diffusi, in cui il mancato accesso al cibo dipende da conflitti di varia natura (come oggi in Yemen o in Siria), la popolazione mondiale normalmente si procura il cibo di cui ha bisogno acquistandolo, e ogni famiglia lo distribuisce al suo interno. Solo una minoranza si procura il cibo producendolo, poiché anche quasi tutti gli agricoltori – pure nel Sud del mondo– sono acquirenti netti di cibo. Pertanto, il problema della gran parte della popolazione che soffre la fame è l’insufficiente potere d’acquisto necessario a procurarsi sul mercato una quantità –e spesso qualità– di cibo adeguata. A sua volta, dati i prezzi alimentari, ciò dipende dal reddito o da altre risorse insufficienti di queste persone, ossia dal fatto che sono povere. Le cause di questa condizione di povertà sono molteplici, e possono essere di tipo socioeconomico (es. disoccupazione, bassi salari, condizioni sfavorevoli di mercato, precarietà, conoscenze, …) o di altra natura (es. discriminazioni, esclusione sociale, marginalità, salute, …). Solo analizzando queste cause e combattendo le radici della povertà riusciremo dunque a ricostituire il potere d’acquisto degli affamati e costruire insieme a loro le condizioni per la sicurezza alimentare a lungo termine.

Informazioni sull'autore

Professore di Economia dello sviluppo umano, Università degli Studi Roma Tre - Dipartimento di Economia

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