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Come cambiano i leader in Africa

Nasce sul sito dell’ISPI una nuova piattaforma, unica nel suo genere, dedicata alle dinamiche politiche e ai cambiamenti di leadership avvenuti nel continente africano dal 1960 a oggi. Per capire la nuova Africa attraverso i suoi nuovi leader politici.

Elezioni o colpi di stato? Continuità o cambiamento? La nuova Africa è anche un’Africa di nuovi leader. Un progetto innovativo lanciato dal sito dell’ISPI (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale) e denominato Africa Leadership Change – potete trovarlo qui – si propone di offrire una piattaforma, unica nel suo genere, dedicata a dinamiche politiche e cambiamenti di leadership avvenuti nel continente africano dal 1960 a oggi. Sfidando stereotipi e narrazioni approssimative del continente africano, l’obiettivo di questa iniziativa è quello di stimolare il dibattito accademico sulla politica africana e di avvicinare il pubblico non specializzato a tematiche politiche – come i processi elettorali, la trasparenza della competizione, l’alternanza democratica, le involuzioni autoritarie – e alle loro implicazioni socio-economiche riguardanti ciascuno dei 54 stati sovrani dell’Africa.

Questo strumento, pensato per essere facilmente fruibile, si basa su un originale lavoro di raccolta dati effettuato da Giovanni Carbone (Head del Programma Africa dell’ISPI e professore ordinario di scienza politica all’Università degli Studi di Milano) e Alessandro Pellegata (assegnista di ricerca all’Università degli Studi di Milano) e arricchito dalla visualizzazione interattiva realizzata in collaborazione con l’Università degli Studi di Genova. Il dataset ALC e le sue diverse rese grafiche permettono di scoprire per ogni singolo paese africano quanti e quali cambiamenti di leadership si sono susseguiti dagli anni – dalle indipendenze fino ad oggi – e, nello specifico, come questi sono avvenuti: se tramite transizioni violente, come i colpi di stato o le insurrezioni armate, oppure in modo pacifico attraverso le elezioni. Nel caso delle transizioni elettorali, sempre più diffuse dagli anni ‘90, una serie di mappe dinamiche permettono anche di ricostruire più specificamente il modo in cui è avvenuto il passaggio di leadership, se cioè in un quadro di continuità di partito ovvero segnando l’avvento al governo di nuove forze provenienti dalle opposizioni. La visualizzazione dell’evoluzione politica di un paese, con le sue diverse esperienze di leadership, può inoltre essere affiancata – a discrezione di chi visita il sito del progetto – dall’andamento di uno o più dei principali indicatori socio-economici che ne hanno caratterizzato il periodo, dall’espansione demografica agli aiuti allo sviluppo ricevuti, dalla crescita economica alle aspettative di durata media della vita.

Il progetto dell’ALC offre dunque diversi tipi di informazioni, talvolta anche insolite, che si riflettono nelle quattro schermate interattive principali di cui si compone lo strumento. Interagendo con la mappa dell’Africa su cui si apre il progetto (la scheda “Current African Leaders”), colorata secondo i risultati dell’indice Polity IV, una delle principali misurazioni dello stato di democrazia o autoritarismo dei diversi paesi del mondo, è possibile scoprire per ciascuno degli stati africani informazioni circa i capi di stato e di governo attualmente in carica e il grado di apertura o di chiusura politica che ne caratterizza il regime. Un grafico a parte indica inoltre la maggiore o minore permanenza al governo dei leader africani: si parte da Teodoro Obiang Nguema Mbasogo (da oltre trentotto anni al potere in Guinea Equatoriale), che ha consolidato il primato di leader più longevo dopo le ‘dimissioni’, nel corso del 2017, dell’angolano José Eduardo dos Santos (anche lui al potere dal 1979) e di Robert Mugabe (dal 1980) in Zimbabwe. In fondo alla classifica vi sono i neo-eletti Cyril Ramaphosa (che a inizio anno ha sostituito Jacob Zuma alla presidenza del Sudafrica), l’etiopico Abiy Ahmed, e il sierraleonese Julius Maada Bio.

L’evoluzione temporale di questi e altri dati politici e socio-economici dei singoli paesi africani può essere visualizzata in modo dinamico in una seconda mappa del continente (schermata “Dynamic Map”). Grazie a grafici a linee interattivi che mostrano l’andamento nel tempo di un’ampia gamma di aspetti riguardanti l’evoluzione politica, economica e sociale di uno o più paesi prescelti e confrontati tra loro (“Charts”), è inoltre possibile analizzare l’intera serie degli avvicendamenti tra leader e la performance dei loro paesi secondo l’indicatore selezionato. Infine, una serie di visualizzazioni a barre (“How Leaders Change”) permettono di esplorare le modalità in cui sono avvenute le transizioni di leadership nei paesi africani, se cioè in modo violento, in modo pacifico ma non elettorale, oppure attraverso elezioni multipartitiche. Si scopre così che, diversamente da quanto viene spesso ripetuto, è dal 2014 che in tutto il continente non si verifica un cambio di leadership violento.

L’Africa e l’integrazione regionale e sub-regionale

di Sara Bonanni

Il tema dell’integrazione regionale in Africa è di fondamentale importanza per comprendere la coerenza e la solidità delle strategie di sviluppo nei Paesi del continente. Esistono esempi e schemi diversi, alcuni anche di significativo successo come dimostra il destino recente della Comunità dell’Africa orientale (Eac), considerato uno degli organismi il cui processo di integrazione è tra più avanzati nel continente. Non è un caso però che i principali esempi di organizzazioni regionali africane riguardino due associazioni tra Paesi strettisi attorno a quelle che sono le due nazioni con le economie più grandi e sviluppate, Nigeria e Sudafrica, che hanno contribuito rispettivamente alla nascita della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Ecowas) e della Comunità di sviluppo dell’Africa australe (Sadc). Chiaramente a livello macro l’organizzazione che fa da cappello è l’Unione Africana, Si tratta di un’organizzazione molto giovane, nata ufficialmente con il primo vertice dei capi di Stato e di governo del 9 luglio 2000 a Durban. Nel corso del vertice, al quale presenziava tra gli altri il segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan, furono sottoscritti i primi atti riguardanti gli organi dell’Unione, ovvero il protocollo relativo allo stabilimento del Consiglio di pace e sicurezza e lo statuto della commissione, e furono stabilite regole e procedure per l’Assemblea, il consiglio esecutivo e il comitato dei rappresentanti permanenti.Quella che è percepita come la maggiore differenza è la capacità dell’Unione di intervenire in conflitti interni agli stati in situazioni quali genocidio crimini di guerra e crimini contro l’umanità secondo quanto stabilito dall’articolo 4H dell’Atto costitutivo. In questo articolo sono citati tutti i principi a cui si ispira l’Unione africana ed è degna di nota la presenza del riferimento al rispetto per i principi democratici, i diritti umani, le regole della legge e del governo in quanto l’Organizzazione dell’unità africana taceva su questi temi. Per quanto riguarda gli obiettivi contenuti nell’articolo 3, vi sono accenni alla promozione di pace, sicurezza e stabilità nel continente, alla partecipazione popolare e al buon governo, ma anche allo sviluppo sostenibile e alle condizioni necessarie per permettere all’Africa di ottenere il ruolo che le spetta nell’economia globale e nelle negoziazioni internazionali.Nell’articolo 23.1 è fatto riferimento alle sanzioni stabilite dall’Assemblea da comminarsi a quegli stati che non versino i contributi dovuti all’Unione. Nell’articolo 23.2 vi è invece il riferimento agli stati che manchino di uniformarsi alle decisioni e alle politiche stabilite dall’Unione. Le sanzioni, anche in questo caso stabilite dall’assemblea, possono essere di natura economica e politica. Infine nell’articolo 30 si parla di sospensione dall’Unione per un governo che ottenga il potere con mezzi incostituzionali, senza tuttavia approfondire l’argomento.

La New Partnership for Africa’s Development (NEPAD), è attualmente inserito nella struttura dell’Unione Africana: ha la sua origine da un mandato dell’Organizzazione dell’Unità Africana a cinque capi di Stato (Algeria, Egitto, Nigeria, Senegal e Sudafrica) per la creazione di una struttura socio-economica integrata di sviluppo.

Le priorità del NEPAD sono stabilire le condizioni per uno sviluppo sostenibile assicurando pace e sicurezza, cooperazione e integrazione regionale, riformare le politiche per accrescere gli investimenti in alcuni settori ritenuti strategici come agricoltura, sanità, trasporti, energia, export, turismo e mercato intra-africano, ed infine mobilitare le risorse per attrarre maggiori investimenti esteri ed accrescere il flusso di capitali attraverso ulteriori riduzioni del debito e crescenti aiuti allo sviluppo.

Africa occidentale e Nigeria

Le radici del regionalismo dell’Africa occidentale affondano nel colonialismo, soprattutto quello nella parte francofona occidentale del continente. Il retaggio coloniale ha infatti avuto un impatto cruciale sullo sviluppo degli stati dell’Africa occidentale. Negli anni ’60 e fino alla creazione dell’Ecowas nel 1975, il particolare progetto del regionalismo in Africa occidentale può essere considerato come un mezzo per mettere fine alla supremazia francese sui Paesi della regione e promuovere una maggiore unità politica ed economica.

L’importanza del pan-africanismo sulle motivazioni che spingono per una maggiore integrazione regionale in Africa occidentale offre poi un terreno fertile sul quale le istituzioni crescono e si sviluppano. “L’Africa deve unirsi o disgregarsi individualmente”, dirà Kwame Nkrumah, primo presidente del Ghana e tra i maggiori esponenti del pan-africanismo.

Per comprendere la nascita dell’Ecowas, è necessario leggere l’evoluzione del movimento pan-africano come uno dei suoi supporti ideologici insieme alla volontà della Nigeria di ergersi a guida dei Paesi francofoni, grazie alle sue maggiori dimensioni territoriali ma anche alle risorse derivanti dallo sfruttamento degli idrocarburi individuati nel suo sottosuolo.

L’idea di un processo per l’integrazione economica regionale fu menzionata per la prima volta durante i vertici della Commissione economica delle Nazioni Unite per l’Africa nel 1966 e nel 1967 fu ripresa e rielaborata nei primi anni settanta, quando gli stati dell’Africa occidentale erano indipendenti da circa un decennio e la Nigeria era uscita dalla guerra civile causata dal tentativo secessionista del Biafra. Nel contesto della Guerra Fredda, il progetto di integrazione regionale non fu ritenuto d’ostacolo agli interessi delle potenze mondiali né di particolare importanza strategica e la regione fu perciò lasciata a svilupparsi su propria iniziativa.

La creazione dell’Ecowas è stata quindi principalmente il risultato di dinamiche regionali, con l’Europa che manteneva un ruolo di stimolo grazie al partenariato promosso con i Paesi di Africa, Caraibi e Pacifico (acp) attraverso la firma della Convenzione di Lomé. La Nigeria ha condiviso con gli altri Paesi vicini due motivazioni principali per l’integrazione nell’Ecowas, oltre alla volontà di affermarsi al ruolo di guida: il desiderio di conquistare un’effettiva decolonizzazione economica e avviare così un processo di confidence-building collettivo. Alla base della nascita dell’Ecowas è stata quindi una valutazione fondamentalmente economica e l’apparente successo degli Stati membri dell’organizzazione regionale ha poi influenzato anche altri paesi del Terzo Mondo spingendoli verso una maggiore integrazione economica. Fattori materiali, piuttosto che elementi ideologici, sono dunque la preoccupazione maggiore degli stati membri, per trovare un nuovo equilibrio dopo la fine del colonialismo in un contesto caratterizzato dalla divisione in blocchi causata dalla Guerra Fredda e raggiungere l’indipendenza economica.

La Sadc e l’integrazione economica regionale in Africa australe

La Comunità di sviluppo dell’Africa australe (Sadc) nasce nel 1992 dall’allargamento della Conferenza di coordinamento per lo sviluppo dell’Africa australe (Sadcc) a Namibia e Sudafrica, gli ultimi due stati della regione a superare il governo a minoranza bianca. La nuova associazione annunciò in quel momento la sua intenzione di contrastare i problemi legati a sicurezza e carenza di autorità statale. A promuovere la trasformazione dell’organizzazione sono stati i cambiamenti avvenuti nel contesto regionale, essi stessi in qualche modo influenzati e abilitati dai contestuali cambiamenti nella struttura globale delle relazioni internazionali, nella fattispecie la fine della Guerra Fredda, evidenziando così come i livelli regionali e internazionali di lettura non possono essere analizzati separatamente. Gli stati africani si sono ritrovati sempre più incapaci di resistere alle nuove politiche integrate condizionate sui prestiti supportati dalle istituzioni finanziarie internazionali. La nuova istituzione ha provato a indirizzare quello che era considerato il problema più pregnante della precedente struttura, ossia l’assenza di chiari confini di autorità e responsabilità nell’attuazione dei programmi, con una maggiore attenzione su integrazione regionale, liberalizzazione del commercio e capacità di mobilitare risorse proprie.

Al di là degli annunci dell’intenzione di creare monete comuni e promuovere una maggiore integrazione, i processi portati avanti in Africa occidentale e australe restano però ancora in larga parte sospesi. Se infatti nei 15 Paesi dell’Ecowas i cittadini hanno la possibilità di muoversi liberamente senza l’obbligo di richiedere un visto, l’obiettivo di realizzare un mercato economico comune è ostacolata dalla presenza di barriere tariffarie e non che i singoli Stati ancora mantengono mentre il dibattito si è ora spostato sulla possibilità che all’organizzazione regionale possa aderire anche il Marocco. D’altra parte, se l’unione doganale tra i Paesi della Sadc e la nascita di un mercato comune regionale è già operativa soltanto tra cinque dei 15 Stati membri (Botswana, Lesotho, Namibia, Sudafrica, Swaziland), la libertà di circolazione per i suoi cittadini è di fatto ostacolata dalla mancata ratifica da parte dei Parlamenti nazionali dei relativi protocolli.

 

Fig.1 Mappa delle principali Comunità Economiche Regionali africane

Informazioni sull'autore

Professore ordinario di Scienza Politica presso l’Università degli Studi di Milano e Responsabile del Programma Africa dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (Ispi, Milano).

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