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L’impatto della crisi sanitaria e le lezioni dell’economia dello sviluppo

Con Oltremare ne parla Furio Camillo Rosati, professore ordinario di scienza delle finanze all'Università degli studi di Tor Vergata

Secondo l’indice Tiger (Tracking Indexes for the Global Economic Recovery) un insieme di indici compositi che tracciano il processo di recovery dell’economia globale elaborato da Brookings Institution in collaborazione con il Financial Times, quella che stiamo vivendo è una delle più grandi e difficili sfide dal dopoguerra in poi per l’economia globale. “L’economia reale, i mercati finanziari e la fiducia del settore privato stanno crollando. E il peggio deve ancora venire”. Gli autori si chiedono se l’attuale crisi economica sarà acuta ma relativamente breve, con una ripresa dell’attività economica una volta che la curva pandemica del Covid- 19 si sarà appiattita, ovvero se siamo solo nella fase iniziale di una profonda e prolungata recessione. “Il risultato dipende da vari fattori, ossia dalla traiettoria della pandemia, il tipo di risposte avanzate dai policy makers, e se queste saranno sufficienti per contenere il danno e allo stesso tempo far riprendere la fiducia dei consumatori e la confidenza delle imprese”. A ogni modo, la combinazione tra crisi della sanità pubblica e crisi economica rende meno probabile una ripresa rapida. “La domanda è crollata, ci sono notevoli interruzioni della catena di produzione manifatturiera e allo stesso tempo una crisi finanziaria. Altra differenza fondamentale è la natura globale della crisi. Così, se è vero che il crollo finanziario del 2008-2009 ha risparmiato alcune economie come quella cinese e l’indiana, che hanno continuato a crescere trainando dunque l’economia globale, questa volta nessuna economia è immune e questo elimina la possibilità di una ripresa trainata dalle esportazioni per qualsiasi paese”.

 

Professore, è d’accordo con questa visione cupa?

“La crisi attuale è certamente globale e coinvolge la maggior parte dei paesi, anche se in modo diverso per intensità ed impatto. Un elemento che è importante tenere a mente nel valutare sia le conseguenze sia le necessità in termini di intervento. Tuttavia, è proprio la globalità della crisi a motivare un cauto ottimismo. La situazione corrente ha chiaramente indicato come una valida risposta non si possa basare che sul riconoscimento dell’interdipendenza delle diverse economie e sulla necessita di ritornare verso il multilateralismo nella definizione dei rapporti fra i paesi e le economie. Inoltre, una situazione comune alla maggior parte dei paesi spinge verso il consenso per l’adozione di misure “audaci” in termini di politica monetaria e, soprattutto, fiscale. Interventi che, in presenza di una crisi “locale” difficilmente sarebbero stati adottati. Il rischio maggiore è quello di vedere le radici della crisi nel processo di globalizzazione (e non nella scarsità di investimenti nei settori rilevanti per la prevenzione e la cura) e in una conseguente spinta verso un ritorno a forme di autarchia e di isolamento. Se questa visione prevalesse, allora le conseguenze della crisi sarebbero devastanti e permanenti”.

 

Dal punto di vista dell’economia dello sviluppo, quali sono le lezioni che possiamo trarre da precedenti interventi governativi messi in campo per far fronte a grandi crisi economiche che hanno colpito il nostro pianeta a seguito di pandemie o emergenze sanitarie?

“Credo che si debba guardare al di là delle esperienze relative alle emergenze sanitarie e concentrarsi su alcune indicazioni generali che derivano dalle esperienze di successo nelle politiche di sviluppo. La prima è sicuramente relativa alla necessità di protezione per gli individui vulnerabili ed alla capacità di interventi anche relativamente semplici di garantire la riduzione dei rischi, gli investimenti in capitale umano e la promozione dell’imprenditorialità. Altro elemento importante e’ rappresentato dalle esperienze nell’ambito delle politiche attive del lavoro che ha portato ad identificare un insieme di, poche, strategie relativamente efficaci. Le esperienze relative alle politiche di genere risulteranno particolarmente importanti in questa fase nella quale la partecipazione femminile al mercato del lavoro appare minacciata. Le politiche di intervento destinate a sostenere il settore produttivo, le infrastrutture e gli investimenti in capitale umano potrebbero trarre beneficio dalle numerose esperienze di collaborazione fra pubblico e privato sviluppate soprattutto nei paesi a medio reddito. Infine, le politiche di sviluppo si appoggiano in maniera crescente su rigorose valutazioni di impatto che contribuiscono a valutarne l’efficacia assoluta e relativa e a migliorane il disegno. Un approccio che sarebbe necessario estendere sistematicamente agli interventi messi in atto per fronteggiare la crisi corrente”.

Possiamo assimilare la crisi economica che l’Europa sta vivendo a quella del periodo post-bellico o alla crisi del 2008? Se si, gli interventi di politica economica adottati in Europa possono essere utili anche in questa fase?

“La situazione odierna è profondamente diversa da quelle menzionate. Da un lato il capitale fisico e il capitale umano sono sostanzialmente integri dall’ altro il sistema finanziario è relativamente solido e non presenta particolari aspetti di criticità settoriali. Abbiamo chiuso una casa relativamente in ordine, pronta ad essere riaperta. Tuttavia, se la chiusura si protrae troppo a lungo e le manutenzioni necessaire non vengono effettuate la casa sarà in cattive condizioni quando la riapriremo. Due quindi sono gli elementi critici da affrontare: mantenere “vivo” il capitale fisico e umano e garantire gli investimenti in entrambi”.

Perché e come è importante targhettizare gli interventi di politica economica e di ricostruzione e come deve strutturarsi la politica industriale in queste fasi?

“L’ impatto della crisi è altamente differenziato fra i diversi settori produttivi. Semplificando al massimo possiamo distinguere fra tre situazioni tipo: settori in crisi temporanea a causa della riduzione di attività economica (gran parte del manifatturiero e una parte dei servizi); settori nei quali l’ esperienza del Covid-19 imporrà importanti trasformazioni e per i quali è prevedibile che gli effetti siano duraturi se non permanenti (si pensi a trasporto aereo, turismo e in generale servizi al pubblico) ; settori emergenti (ad esempio supporto allo smart working ed e-commerce). La politica industriale dovrà essere chiaramente differenziata negli interventi: se per i primi si tratta di offrire un supporto nella gran parte dei casi temporaneo, per i secondi saranno necessarie politiche che accompagnino e sostengano le trasformazioni necessarie senza peraltro ricadere in modelli che si sono dimostrati ampiamente non sostenibili (si pensi alla corrente tendenza alla rinazionalizzazione del trasporto aereo). Per i settori emergenti, infine, politiche di sviluppo della concorrenza e di creazione di incubatori di impresa saranno essenziali. La ripresa degli investimenti in infrastrutture (hard e soft) dovrà essere un tema comune a tutte queste aree”.

Come incide la portata globale della crisi su interventi di recovery e può questo minarne l’efficacia e l’efficienza a meno che non ci sia appunto una risposta globale?

“Come indicato in precedenza una risposta congiunta, fondata sua ripresa del multilateralismo, e’ un elemento essenziale per una uscita rapida dalla crisi. La questione e’ se le istituzioni multilaterali, dall’Unione Europea allla World trade organization (Wto) alle Nazioni Unite, siano ben strutturate per contribuire ad una risposta globale e coordinata alla crisi. Questo potrebbe essere il momento di porre mano alle riforme delle istituzioni multilaterali di cui si è spesso discusso, ma che non sono mai state realizzate”.

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