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La cooperazione non governativa dopo l’emergenza Covid-19

Ripensare il senso della cooperazione non governativa per affrontare una crisi di lungo periodo provando a mitigarne l’impatto e a correggerne le cause

Esistono due modalità di interpretare la recente emergenza Covid-19. Per alcuni si tratta di un evento straordinario e temporaneo che prima o dopo si esaurirà, permettendoci di tornare alla vita di prima. Per altri invece la pandemia ha segnato un punto di discontinuità che avvia una stagione di crisi di medio-lungo periodo.

A coloro che fanno parte del primo gruppo, questo articolo non sarà molto utile. Se infatti siamo di fronte a una sfortunata parentesi in una storia di progresso, si può immaginare che l’impatto dell’emergenza sulle Ong sarà solo temporaneo: forse le organizzazioni più fragili scompariranno o saranno assorbite da quelle più forti, ma prima o poi si tornerà a fare quello che si faceva prima della crisi. Se invece è vera la seconda ipotesi, occorre ripensare in profondità il senso della cooperazione internazionale per affrontare uno scenario di crisi di lungo periodo provando a mitigarne l’impatto e correggerne le cause.

Due categorie di ragionamenti mi fanno propendere per la seconda ipotesi. In primo luogo, gli attuali trend socio-demografici, i modelli produttivi, i processi di degrado ambientale vanno tutti nella direzione di un’intensificazione delle cause che hanno prodotto il passaggio del virus dagli animali all’uomo e più in generale verso il superamento dei cosiddetti “limiti planetari”. Tutto ciò rende plausibile l’ipotesi di una crisi socio-ambientale che si presenta non come un’“ora X” del collasso, ma come una nebulosa di eventi critici sempre più frequenti e intensi.

Il secondo gruppo di ragionamenti ha a che fare con la crisi economica in atto. Come ha rilevato Jean-Paul Fitoussi, l’emergenza sanitaria si è innestata in un sistema politico ed economico globale già in difficoltà. Vi è dunque la possibilità che non si tratti di un processo reversibile in breve tempo, e che l’emergenza produca cambiamenti di stato di lungo periodo sull’organizzazione politica ed economica internazionale.
In questo breve articolo vorrei dunque provare a seguire la seconda ipotesi e immaginare alcune tematiche sulle quali lavorare per costruire la cooperazione non governativa in tempi di crisi.

Una prima questione di carattere generale riguarda la necessità di riconnettere le questioni sociali e quelle ambientali. Se mai ce ne fosse stato bisogno, la pandemia ha messo in evidenza l’artificiosità della distinzione tra natura e società, mostrando l’inestricabile catena di azioni e retroazioni esistenti tra umano e non umano. Può apparire una questione astratta, ma questa riconnessione ha effetti molto pratici nella cooperazione internazionale, dove quotidianamente si pongono problemi di relazioni tra comunità umane e natura.

Il tema forse più rilevante però riguarda l’esistenza stessa della cooperazione internazionale. Negli ultimi mesi abbiamo infatti assistito a un paradosso: a un problema evidentemente globale si sono date risposte nazionali o sub-nazionali. Lo scenario di emergenza sanitaria e crisi economica che si preannuncia fa prevedere un periodo di chiusure nazionali che lasceranno poco spazio alla cooperazione internazionale. Ad un livello più immediato, ma cruciale per molte Ong, ciò si tradurrà in una riduzione dell’aiuto pubblico (e privato?) allo sviluppo. Più in profondità è possibile immaginare un clima di crescenti tensioni geopolitiche nel quale occorrerà battersi affinché prevalga lo sguardo globale della cooperazione internazionale contro le crescenti spinte nazionaliste.

Da questo tema ne discende un altro, più complesso. Adottare una prospettiva globale significa superare una divisione storica, e per certi versi fondativa, delle Ong, quella tra Nord e Sud del mondo. Sono ormai almeno vent’anni che diverse organizzazioni hanno denunciato l’insufficienza di questo paradigma di fronte allo scenario della globalizzazione. Come ha raccontato Emanuele Bompan su questo sito, molte Ong hanno risposto alla crisi Covid-19 avviando progetti di sostegno alle emergenze sul territorio italiano. Ora però si tratta di inquadrare questo impegno in una prospettiva più ampia e di lungo periodo che metta in relazione le periferie italiane con quelle degli altri paesi.

Per farlo occorre affrontare un’altra storica divisione del mondo della cooperazione, quella tra sviluppo e diritti, tra progetti e politica. In questo passaggio svolgono un ruolo centrale i partenariati con organizzazioni attive nelle periferie globali, più abituate delle Ong occidentali a vedere l’unità tra risposta a problemi concreti e lavoro politico di lungo periodo.

Alcuni hanno scritto che non c’è una normalità a cui tornare perché la normalità è ciò che ha prodotto il problema. Questo forse è vero anche per le Ong: l’emergenza Covid-19 non ha creato una realtà nuova, ma ha accelerato alcuni processi già in atto, rendendo evidente la necessità di una trasformazione per rispondere in modo adeguato alle sfide socio-ambientali globali del futuro.

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