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Le donne di Diffa: tra fame e insicurezza c’è speranza in Niger

Nella regione meridionale del Paese del Sahel, Cospe e Aics lavorano insieme per creare luoghi sicuri contro la violenza domestica. Anche, se non soprattutto, durante la pandemia

“Nell’area di Diffa, dove Cospe opera dal 2017, ai problemi legati alla condizione delle donne nell’area si somma quella del contesto difficile della vita nei campi profughi. Diffa ha il numero più altro dei matrimoni forzati e precoci da quando è cominciata la crisi umanitaria e questo avviene perché c’è più povertà e le famiglie pensano che questa è la soluzione migliore per le loro figlie. Inoltre il livello educativo è peggiorato ulteriormente e le ragazze vengono più facilmente ritirate dalla scuola e diventano più soggette a violenze, matrimoni forzati e precoci”.

A spiegarlo è Fatima Eakata Elh Daouda, animatrice del progetto di emergenza che l’ong Cospe sta portando avanti in Niger, con il sostengo della Cooperazione italiana. La situazione delle donne nell’Africa occidentale conferma le tendenze osservate su scala globale: maggiore è la disparità di genere più alto il tasso di violenza nel paese. Mali, Libia, Sud Sudan, Sudan, Repubblica Centrafricana, Repubblica Democratica del Congo e Ciad sono tra i 12 Paesi con il tasso più basso di autonomia e indipendenza delle donne nelle loro case, nella comunità e nella società del mondo e forse non a caso teatri di guerre e violenze che si consumano da anni.
Una condizione confermata da Abdou Marah Mamadou, direttore di Alternative Espace Citoyens, partner di Cospe in Niger, che a Diffa ha un Centro di ascolto e di orientamento per le donne.

“Il periodo dell’emergenza sanitaria a Diffa ha colpito tutti ma le donne e i bambini sono quelli che hanno sofferto di più. Soprattutto le donne. Con la guerra, la crisi umanitaria, ci sono state più donne vedove, divorziate e abbandonate a loro stesse, spesso come capo famiglia, con tutte le difficoltà personali e quelle di crescere i loro bambini in questa situazione, dove i mercati chiusi, il divieto di spostarsi, hanno ulteriormente aggravato la loro condizione. Dovete considerare che la gran parte della popolazione di Diffa guadagna meno di un dollaro al giorno e vive alla giornata”.

Cospe sta terminando la costruzione di 3 Centri Donna nella regione, luoghi sicuri, di scambio e mutuo aiuto tra donne, che si coordineranno con il centro di ascolto di Alternative Espace Citoyen e gli altri scarsi servizi territoriali dedicati alle donne. “Presso il dipartimento c’è un’equipe che si occupa di sostegno psicologico e della consulenza legale per le donne vittime di violenza maschile – prosegue Fatima – ma per tutta la regione di Diffa ci sono 6 persone che ci lavorano di cui solo 3 sono donne. Non è facile che le donne si rivolgano al servizio nonostante sappiamo che le violazioni dei loro diritti e la violenzasia ampia e diffusa.”

La drammatica situazione che si è determinata attorno al Lago Ciad e che ha portato a chiedere un’azione urgente da parte del Segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres già più di un anno fa, si è aggravata con l’emergenza sanitaria e si rischia oggi una grave crisi alimentare.

“Sta iniziando il periodo della Soudure (ndr: letteralmente saldatura, ovvero il passaggio o frattura tra una stagione di produzione e l’altra – in cui gli stock sono scarsi a zero e i prezzi dei generi alimentari vanno alle stelle) – ci racconta Marah Mamadou- che va da giugno ad agosto, inizi settembre. E’ il periodo più duro perché è il periodo in cui tutti sono nei campi ma nessuno ha nulla da mangiare.” Tutti sono nei campi, tra cui moltissime donne, a cui però è negato il diritto alla proprietà della terra. “In Niger – afferma Fatima – la questione dell’accesso alla terra è un problema molto grande e questo impatta ancora più fortemente sulle donne che di fatto non hanno questo diritto”

Oggi più che mai si deve ripartire dalla centralità della condizione e delle aspirazioni delle donne. Per questo nascono i 3 centri donna e il lavoro di animazione e cura delle relazioni con i gruppi di donne – rifugiate, nigerine e di tante altre nazionalità – con cui sta lavorando Cospe nella regione di Chetimari. D’altronde numerosi studi confermano che la parità di genere favorisce una risoluzione pacifica delle crisi politiche, perché – come afferma lo studio Ocde citato – “gli interessi della società nel suo complesso possono essere più facilmente espressi in un contesto sociale aperto alle donne”.

” Nei mesi scorsi, prima dell’emergenza Covid-19, ci riunivamo almeno una volta la settimana con molte donne dell’area” racconta una delle beneficiarie del progetto, Amina, che spiega: “Era un modo per condividere i problemi, sentirsi meno sole e anche aiutarsi l’un l’altra. Spero che il Centro donna sia presto finito perchè abbiamo bisogno di uno spazio sicuro, solo per noi, per parlarci liberamente e trovare anche idee e soluzioni, oggi più che mai”

La sfida attuale però è superare il momento di grave rischio carestia. “Qui si dice “Un ventre qui a faim n’a point d’oreil” (una pancia affamata non ha orecchio)” – dice Marah Mamadou. “Ritengo fondamentale la costruzione di spazi di ascolto, cura e salute femminile. Solo così le donne avranno il coraggio, si esprimeranno, saranno molto rassicurate, e finalmente potranno costruire delle azioni a misura loro stesse e dire “noi siamo importanti”. Ma, prima dobbiamo garantire la sicurezza alimentare, altrimenti rischiamo un disastro umanitario senza precedenti. E invece noi contiamo sulle donne, la speranza per costruire pace, sostenibilità e sviluppo, ovvero un futuro”.

 

[Il contesto ]
Erano soprattutto donne e bambini la gran parte delle 23mila persone in fuga che ad aprile scorso si sono riversate in Niger. Gli è stato permesso di entrare nel paese nonostante la chiusura delle frontiere a causa della pandemia di Covid-19. I nuovi attacchi nel Nord della Nigeria, che non si sono fermati neppure durante l’emergenza sanitaria, hanno costretto alla fuga 60mila persone in un anno, da aprile 2019 ad oggi, secondo i dati fornitidall’ Unhcr. Destinazione i campi profughi di Diffa, dove vivono già più di 200.000 persone tra rifugiati nigeriani, migranti e sfollati interni.
Una crisi umanitaria, quella che si consuma attorno al Lago Ciad, dove le persone vivono sotto la minaccia della desertificazione da un lato e del terrorismo islamista di Boko Haram dall’altra.Le donne sono le principali vittime di questa crisi. Secondo il recente rapporto dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Oecd) le donne sono deliberatamente prese di mira dalle organizzazioni islamiste, ma sono anche vittime delle milizie create in risposta alla diffusa insicurezza e delle forze governative stanziate.
L’aumento della violenza contro le donne nell’Africa occidentale riflette una tendenza più generale registrata nel resto del mondo dal 2018. Secondo i dati riportati dal recente rapporto Femmes et Conflits en Afrique de l’Ouestdell’Oecd la Nigeria è di gran lunga la principale fonte di violenza, sia per la popolazione civile in generale che per le donne in particolare. Tra il 1997 e il 2019, i conflitti nigeriani hanno causato 69.000 vittime, ovvero oltre il 63% della regione. Quasi l’87% degli atti di violenza commessi contro le donne sono registrati in questo paese

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