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Le donne di Elbasan, la cooperazione in Albania segue il filo della storia

Finanziato dall'Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (Aics), un progetto con Engim capofila sostiene delle imprenditrici nel percorso di transizione di uno stabilimento che ha attraversato tutti le recenti trasformazioni della storia albanese.

Flutura, Drita, Manushaqe, Merita e Nadia: sono nomi di fantasia, ma le loro vite sono reali. Negli anni ottanta erano giovani colleghe nella manifattura di Stato che impiegava circa 1200 donne nella produzione artigiana di tappeti di lana, i qilim (kilim in turco). A distanza di quaranta anni, queste donne temerarie si sono impegnate a mettere a disposizione le loro competenze artigiane per creare lavoro a favore di altre donne in condizione di fragilità.

Il racconto di una di queste inizia nel primo decennio del novecento, nelle montagne dell’Albania centrale, e scorre guidato da un filo di lana. È il racconto di una giovane coppia di pastori: lui albanese e musulmano, lei russa e cristiana, con le loro pecore si erano rifugiati in Albania fuggendo dalla Macedonia alla fine della prima guerra mondiale. Le origini russe di lei si devono al padre, che nel 1878, aveva combattuto contro l’Impero Ottomano. Vivevano di pastorizia nelle montagne di Librazhd ed avevano due figli maschi.

Il bene confiscato prima dell’intervento crediti Engim 

Uno dei figli decise di spostarsi a valle, ad Elbasan, facendo l’artigiano, ma ogni inverno il fratello lo raggiungeva in transumanza con le pecore. Il fratello rimasto in montagna aveva due figli, mentre l’altro non ne aveva e dunque chiese di portare con sé uno dei nipoti per crescerlo come un figlio. L’arrivo del nipote fu una benedizione ed i genitori “adottivi” ebbero successivamente nove figli.
Al termine del secondo conflitto mondiale, la famiglia rimasta a Librazhd ospitò un gruppo di 20 ebrei, uomini, donne, bambini e anziani in fuga dalla soluzione finale, lo sterminio nazzista. Le pecore resero possibile un piccolo miracolo, nella povertà e nella fatica, per ben quattro anni fu possibile vestire e sfamare tutti. I venti rifugiati erano al sicuro protetti dalla besa del capostipite, il quale, come tradizione, accompagnò i poveri esuli fino al confine dove poterono sentirsi più sicuri.

Il laboratorio dopo la ristrutturazione crediti Engim

Col passare degli anni, non fu più permessa la transumanza e neanche possedere un gregge, tutto era gestito dalle imprese di Stato. Il fratello trasferitosi ad Elbasan, non volendo abbandonare l’antica vita del pastore, prese con sé una parte del gregge che teneva nascosto alle autorità comuniste. I dieci figli riuscirono quasi tutti a studiare grazie agli sforzi dei genitori, che con il loro piccolo gregge sfamarono e vestirono tutta la famiglia.

Una delle figlie venne chiamata Nadia, in ricordo della bisnonna russa. Destino volle, che per tredici anni Nadia lavorasse nella manifattura di Stato alla produzione di tappeti di lana fatti al telaio. Fu un immenso tentativo quello di tradurre le competenze artigiane e le tradizioni locali su scala industriale. All’accentramento produttivo hanno resistito gli solo artigiani che realizzavano per le giovani spose il paje, il corredo. Tra le montagne sono inoltre sopravvissute le tecniche più arcaiche, come l’infeltrimento della lana, utile per difendersi dalla pioggia nei pascoli: shalvare, shajak, velenxë, qeleshe sono tutte parole del passato che fanno riferimento a queste competenze.

Dopo la caduta del regime nel 1991, la manifattura venne chiusa e i telai vennero messi in vendita. Nadia comprò due telai, riuscendo a recuperare e mettere in salvo dall’oblio e dalla distruzione i disegni originali dei tappeti. Nadia ha continuato a lavorare nella sua casa per quasi trenta anni ed ora, grazie a questo progetto, ed assieme alle sue colleghe di un tempo, insegnerà alle altre donne questa antica tradizione. Questo patrimonio di competenze artigiane servirà per dare dignità e speranza a chi cerca attraverso quest’arte una nuova prospettiva di vita.

Le artigiane al lavoro crediti Engim

Engim in Albiania 

Engim (Ente Nazionale Giuseppini del Murialdo) lavora in Albania da più di venti anni incontrando e sostenendo centinaia, migliaia di persone. Per un periodo, queste persone, soprattutto giovani e donne, hanno condiviso una strada comune e incrociato il loro destino con quello di volontari e coperanti. Attualmente Engim è capofila del progetto Rise-Alb, finanziato da Aics. Il progetto è incentrato sul rafforzamento dell’imprenditorialità sociale come strategia per coniugare sostenibilità economica e impatto sociale. Tra le sue componenti c’è l’avvio di un programma di sub-granting. Al momento sono stati finanziati sette progetti su tutto il territorio albanese, uno di questi, cofinanziato da Osce con il progetto “Strengthening the fight against transnational organized crime in South-Eastern Europe” sostiene un gruppo di donne nella città di Elbasan, restituendo alla società una proprietà confiscata alla criminalità.

Scheda progetto

Il progetto Rise-Alb si realizza sull’intero territorio albanese, con particolare attenzione alle aree di Fier e Permet dove, da anni, operano Engim e Cesvi. L’obiettivo del progetto è quello di migliorare l’inclusione socio-economica di persone svantaggiate (specificatamente donne, persone con disabilità e giovani delle aree rurali), anche attraverso il rafforzamento delle osc locali.
In particolare, il progetto mira a sostenere lo sviluppo delle imprese sociali, identificate dalla normativa locale e dalle pratiche europee quale strumento ideale per favorire la formazione e l’inserimento lavorativo di categorie socialmente vulnerabili.
Lo sviluppo dell’imprenditoria sociale è però limitato da un quadro politico-istituzionale ancora in divenire, dalle carenti capacità manageriali delle osc locali e dall’assenza di modelli sostenibili che possano agire da apripista.

A tal proposito, il progetto si sviluppa su tre livelli: a livello politico-istituzionale, si realizzano cicli di formazione e scambi di buone pratiche sui temi delle politiche di sviluppo inclusivo e del riuso dei beni confiscati alla criminalità, rivolti a rappresentanti delle autorità nazionali e locali con la partecipazione di istituzioni e organizzazioni italiane; si attiva un percorso di partecipazione delle osc locali attraverso consultation meeting e tavoli tecnico-istituzionali; infine, si avvia un Programma di sub-granting per lo startup di nuove imprese sociali; a livello di società civile, si opera per la formazione delle osc locali attraverso formazioni in loco con esperti italiani e locali, scambi di buone pratiche in Italia e percorsi di coaching personalizzati; inoltre, si realizzano attività di partnership building tra le imprese private e le OSC locali per la costruzione di collaborazioni profit/non-profit.
Rispetto alle persone svantaggiate, si attivano percorsi di formazione ed inserimento lavorativo all’interno di tre imprese sociali pilota realizzate da Engim e Cesvi nei settori pasticceria ed agro-trasformazione.

Engim ha costruito un partenariato amplio con i seguenti partners: Altis – Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, Idea2020 spin-off dell’Università della Tuscia, Arter, Consorzio Fare Comunità, Libera, ministero della Salute, Aapsk- Agenzia per la Gestione dei Beni Confiscati, Municipalità di Fier e Permet, Qendra Sociale Murialdo, PartnersAlbania) e Fic- Federazione Italiana Cuochi.
L’impatto generato interessa non solo le persone svantaggiate coinvolte nei percorsi di formazione e lavoro, che tramite il progetto diventano soggetti economicamente attivi nella comunità e modelli positivi di cambiamento per altre persone in condizioni simili; ma anche le Osc locali che, migliorando competenze e organizzazione, potranno mettere in campo iniziative di imprenditoria sociale anche dopo il termine del progetto, facilitati da un contesto politico-istituzionale facilitante e da un crescente interesse del settore privato profit.

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