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Palestina: Storie di donne

La centralità del ruolo femminile nella società palestinese

Le donne in Palestina sono il pilastro portante della società e il loro contributo al bilancio familiare, sia in termini di lavoro non retribuito che di salario, è centrale. 

L’accesso al mondo della formazione e al mercato del lavoro per molte rappresenta anche la realizzazione dei propri sogni, come emerge dalle testimonianze raccolte tra le beneficiarie del progetto Decent Work.

Colpisce la storia di Sawsan Ruishmawi. Arrivata all’età di 57 anni Sawsan non ha più intenzione di perdere occasioni. Desidera realizzare tutti i progetti lavorativi messi da parte più volte. Il primo e più importante è ingrandire la propria attività di produzione di manufatti di vetro, di lavorare in sicurezza e di veder rispettare i suoi diritti di lavoratrice. 

Nella sua luminosa casa di Beit Sahour, a est di Betlemme, Sawsan si dedica alla creazione di oggetti di varie forme e dimensioni, da soprammobili a ciondoli, lampade e portatovaglioli, usando il vetro e valorizzando simboli e colori che ricordano la sua terra, la Palestina. 

Sawsan lavora molte ore nella casa circondata da vetrate. Fa piccole pause per riposare gli occhi e guarda spesso fuori delle finestre. Guarda lontano e immagina un futuro di successo. “Dopo aver seguito i corsi di formazione realizzati dal progetto italiano – ci racconta – ho imparato a organizzare al meglio il mio tempo, vivendo intensamente il presente e le sue occasioni, ma sempre con uno sguardo al mio futuro. Ora ho maggior fiducia in me stessa e ho sempre nuove idee. Mi sveglio di notte e prendo appunti”. 

 

 

Grazie ai corsi di formazione Sawsan ha scoperto le enormi potenzialità del commercio online, ha imparato a usare la macchina fotografica per documentare i suoi lavori e ha creato una pagina Facebook. Il progetto, inoltre, le ha fornito accesso a alcune piattaforme di e-commerce dove inserire i propri prodotti, in un paese dove le poche esportazioni sono rappresentate da prodotti agricoli e si dirigono soprattutto verso Israele. 

“Mi piacerebbe vendere le mie creazioni in Europa, anche in tutto il mondo” ci svela con un sorriso largo e mostrandoci nuovi ninnoli appena realizzati con grande orgoglio. “Durante le visite o le fiere d’artigianato – aggiunge – mi sono accorta che gli europei apprezzano il mio lavoro e con piacere comprano oggetti per sé e i loro familiari, quindi i miei lavori si rivolgono anche e soprattutto a loro”. Ha cominciato a considerare i rischi del mestiere di chi come lei lavora e rompe il vetro. 

In breve tempo, insomma, ha preso consapevolezza del mercato. Il suo modo di organizzare il lavoro è del tutto cambiato: ora analizza prima la domanda e solo successivamente realizza il prodotto e fa un business plan su base annuale e non stagionale come all’inizio. 

Nello specifico, il Programma sul Decent Work, realizzato da AICS in collaborazione con UNWomen e ILO, le ha permesso di sviluppare la consapevolezza di poter ambire a condizioni di lavoro dignitose e le ha donato anche un macchinario per lavorare il vetro in sicurezza. 

La sua vita è piena di affetti, ha un marito, quattro figli, due sorelle, ma la realizzazione personale e l’accesso al mondo del lavoro le hanno dato l’equilibrio e la forza che ci mostra quando la incontriamo. 

“Mio marito è stato sempre presente, concreto, generoso e mi ha sempre supportata, incoraggiata, sin dai primi passi nel lavoro, quando ho cominciato la formazione quindici anni fa in un centro culturale a Betlemme” – ci racconta Sawsan – “Mi ha sempre aiutata. È lui a occuparsi con fervida operosità nelle faccende domestiche”. 

 

 

Sawsan è fortunata. Ha un marito che l’aiuta e la sostiene. Diverso è per chi non può contare su una rete di supporto quando ci si dedica ad altre attività produttive e viene meno la possibilità di occuparsi della propria famiglia. 

Quando Sawsan si è sposata, cuciva a macchina abiti e tovaglie, ma lo faceva solo per guadagnare qualche soldo e mandare avanti la famiglia. Ora è diverso. Lavorare il vetro è una sfida personale e riguarda l’invenzione, l’arte, la bellezza. 

“All’inizio le formatrici non apprezzavano le cose che facevo, ma non mi sono arresa ed è grazie al Progetto Italiano che ho capito di dover proseguire su questa strada. Ho continuato a lavorare, senza fermarmi mai, lottando contro il tempo” ci spiega sfoggiando una grande luce negli occhi. 

Il tempo vale più dell’oro, dice un antico detto. Ed è quello che pensa Sawsan, che oggi, non solo ha risvegliato la sua creatività, ma è diventata imprenditrice di sé stessa e così si mostra: prende appunti, parla al telefono, elenca il materiale da comprare, i costi da sostenere, e poi passa alla fase di creazione e programma le esposizioni sempre con lo sguardo lontano e prima di salutarci ci dice sorridendo: “Diventerò ricca e famosa”. 

 

Ola Joulani aveva l’oro nelle mani e non lo sapeva. Non aveva mai osato, né immaginato di vendere i propri ricami tantomeno di diventare imprenditrice. 

Ola ha avuto un’infanzia turbolenta che l’ha resa insicura e fragile. È nata in una famiglia numerosa, con quattro fratelli e due sorelle, ed è rimasta orfana di madre a sette anni. Poco dopo il padre ha sposato un’altra donna, ma sin da piccola ha dovuto imparare a gestirsi da sola. La matrigna l’ha costretta a lasciare la scuola dopo la terza media per avere il suo aiuto in casa. Poco dopo si è sposata, ha ripreso a studiare ma con gli impegni del matrimonio e la nascita dei tre figli la sua vita non è migliorata, e non è riuscita a laurearsi come desiderava. 

Negli anni ’90 ha intrapreso una collaborazione nel campo profughi di Shuafat, a Gerusalemme Est, dove assisteva le donne vittime di violenza. Ancora oggi continua a svolgere questa attività e fa parte del Comitato Amministrativo del Woman Center. 

“Nel campo di Shuafat le donne hanno bisogno di essere seguite e riabilitate, la violenza c’è ed è pure molta, soprattutto all’interno della famiglia” ci racconta. 

Insieme al lavoro, aveva sempre coltivato una passione per il ricamo, ma non aveva mai pensato di trasformarla in business. 

C’è voluto l’incoraggiamento e la spinta di un’amica, affascinata dal suo lavoro, a invogliarla a dedicarsi professionalmente alla sua abilità. “Stavo ricamando un vassoio da regalare a mia sorella quando la mia amica mi ha spronato a partecipare a una fiera d’artigianato. Ho accettato il suo invito e grazie a lei ho fatto un passo avanti, ho trovato una dimensione lavorativa, di guadagno” ci racconta Ola quando la incontriamo nel suo laboratorio, una stanza presa in affitto al piano terra del palazzo dove abita. 

 

 

Quando entriamo ci fa accomodare, ci offre caffè arabo, forte ed aromatico, si siede dietro la sua macchina da cucire e ci mostra i ricami disposti su tavolate, negli scaffali e ben visibili su cuscini e divani. “Ho accettato la sfida di portare i miei prodotti sul mercato perché la mia amica mi ha offerto il suo aiuto. Ho partecipato alla prima fiera con lei ed è andata bene. Sentirsi sostenute aiuta a non arrendersi”, aggiunge Ola, frugando tra i suoi ricordi, con uno sguardo schietto e vivace che fa risaltare i fiori stampati sul velo che le avvolge il capo. 

Ola, infatti, si è lasciata aiutare nello stabilire i prezzi, nel disporre la mercanzia, sostenuta dalla fiducia e dall’apprezzamento dell’amica, che ha valorizzato le sue capacità. Ora spende il suo tempo a ricamare e organizzare la sua attività. 

Ha coinvolto due ragazze come assistenti per vendere i ricami, che richiamano l’antica tradizione palestinese, arte raffinata e paziente tramandata di generazione in generazione nel mondo delle donne e patrimonio popolare, tra i simboli dell’identità culturale. 

Attraverso le nozioni apprese nei corsi di formazione realizzati dal progetto della Cooperazione Italiana, il suo orizzonte si è allargato e la sua attività diversificata, ha ricevuto due nuovi macchinari e 1400 shekel (circa 350 euro) di materie prime per avviare la propria impresa. 

Ha acquisito una nuova consapevolezza di sé stessa, è entrata nei panni di un’imprenditrice capace di lavorare non solo per la realizzazione personale, ma anche per incrementare i suoi guadagni e migliorare la sua vita quotidiana e quella della sua famiglia. 

Con una punta di soddisfazione e appagamento, Ola aggiunge: “con il corso ho imparato a fare i preventivi, a calcolare le entrate e le uscite e a organizzare i costi. Prima non badavo alla benzina per gli spostamenti, ora calcolo tutto e mio marito e i miei figli sono orgogliosi di me”. 

Durante le lezioni le hanno insegnato, anche, a fotografare i suoi lavori e a promuoverli sui social media. 

Ha imparato nuove tecniche e ora usa la propria creatività in diversi ambiti, dalle borse all’oggettistica, lavora il rame, cosa rara a Gerusalemme, ha imparato a mettere i ricami sulla terracotta e ora decide da sola i prezzi con cui vendere la mercanzia alle fiere. In Palestina molte donne sono vittime di tradizioni e consuetudini conservatrici in cui gli uomini ne limitano le scelte per proteggere “l’onore” dell’intera famiglia. “Le mie ragazze lavorano nei loro appartamenti, i loro mariti non le permettono di venire a lavorare da me. Sono io a portar loro i materiali. Le pago in base ai gomitoli lavorati. In questo modo utilizzano bene il loro tempo e anche chi non può uscire di casa può lavorare e costruirsi una vita attiva.”. 

“Bisognerebbe imparare a trasformare le esperienze negative in positive” – chiosa Ola – “Conosco gente che quando vede un ostacolo si rassegna. Invece bisogna reagire e incanalare la propria energia nel modo migliore”. 

Oggi con Ola lavorano sei ragazze. C’è chi scolpisce il legno, chi tira le pelli per fare le borse e lei è felice di aiutare altre donne che spera, in futuro, ne aiuteranno altre ancora.

*Esperta del programma Decent Work

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