Storie di emergenza • Mahmoud, Libano

“Questi uccelli sono rifugiati come me,” dice Mahmoud Khlef indicando i due animali che ha portato con sé durante la sua fuga dalla Siria. Sono l’unica cosa che gli rimane della sua vita passata e giura che, se mai dovrà spostarsi, non se ne separerà. La sua nuova realtà è quella del campo profughi di […]

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“Questi uccelli sono rifugiati come me,” dice Mahmoud Khlef indicando i due animali che ha portato con sé durante la sua fuga dalla Siria. Sono l’unica cosa che gli rimane della sua vita passata e giura che, se mai dovrà spostarsi, non se ne separerà.

La sua nuova realtà è quella del campo profughi di Marj el Khokh, nella zona orientale del distretto di Marjayoun, a pochi chilometri dal punto di congiunzione dei confini di Libano, Siria e Israele. Secondo i dati dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite, l’area meridionale di Marjayoun continua a registrare settimanalmente l’ingresso di decine di profughi di una guerra che ha già portato alla fuga circa 4.2 milioni di persone verso i paesi limitrofi. Solo il Libano, grande quanto l’Abruzzo, ospita oggi più di un milione di rifugiati.

Il campo in cui vive Mahmoud non è altro che una distesa di tende. Sono 860 le persone che hanno trovato riparo nel campo di Marj el Khokh, che conta oggi 220 rifugi di fortuna. Alcune tende sono state donate dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR). Altri ripari sono stati ricavati da qualsiasi oggetto in grado di proteggere dal sole, dalla pioggia e dal freddo, come pezzi di plastica, teli, vecchi tappeti e cartelloni pubblicitari. Sul fianco di uno di questi , una modella ammicca seducente agli scampati a una delle guerre più sanguinose dei nostri tempi.

Nonostante sia appena maggiorenne, Mahmoud è l’uomo di casa, responsabile per sua madre e suo fratello. Il padre è morto prima di conoscere la violenza che nel 2011 avrebbe travolto il suo paese. Per Mahmoud, il problema più grande è il lavoro. Per essere registrati con le Nazioni Unite, ogni rifugiato in Libano è stato obbligato a firmare un foglio nel quale si impegna a non lavorare. Col protrarsi della guerra e con il ridursi degli aiuti, questa situazione inizialmente considerata temporanea sta assumendo sempre più i connotati di una condanna all’indigenza. Molti oramai trovano lavori saltuari in un mercato nero che sta minando la coesistenza sociale e l’economia del Libano.

Tenendo a mente la necessità di mediare tra le esigenze del Libano, la cui economia era già vacillante ben prima della crisi siriana, e quelle dei rifugiati, la Cooperazione Italiana ha iniziato a proporre progetti di impiego rapido aperti sia a siriani che libanesi. Attraverso turni di lavoro rinnovabili mensilmente, i beneficiari ottengono aiuto in cambio di lavoro. Tali progetti, studiati in accordo con le municipalità locali, hanno l’obiettivo di arrecare beneficio alle comunità ospitanti per mezzo di opere che migliorano i servizi sociali, riqualificano il territorio e restituiscono dignità ai rifugiati attraverso il lavoro.

Per il secondo mese consecutivo, Mahmoud sta lavorando alla bonifica della foresta di Ebl el Saqi, un polmone verde di 20 ettari danneggiato dalla guerra tra Israele e Libano del 2006. Con questo progetto si vuole trasformare la foresta in un polo di attività all’aria aperta per la comunità locale e quella siriana. L’area circostante ospita, secondo stime dell’UNHCR risalenti al 2014, circa 6.987 rifugiati siriani, il 18 % della popolazione locale. I beneficiari diretti dell’azione sono 234 lavoratori, i loro capisquadra e 10 donne coinvolte nella preparazione dei pasti.

La Cooperazione Italiana ha finanziato 9 progetti di impiego rapido, tra cui quello gestito da AVSI, per un totale di 3.2 milioni di euro e ben presto altri 2 milioni saranno erogati per altre iniziative di questo genere. Grazie all’attività svolta nell’area di Marjayoun, 244 famiglie guadagnano oggi 20 dollari al giorno, per un totale di 150 dollari mensili. Sebbene questa entrata faccia la differenza per molti di loro, il costo della vita in Libano – poco inferiore a quello dell’Italia, stando all’indice dei prezzi al consumo – rende necessari ulteriori sforzi per assistere la popolazione rifugiata e locale.

Come tante altre, la vita di Mahmoud non è altro che una lunga attesa, nella speranza di poter tornare in Siria. La sua nuova esistenza, priva del diritto a una casa e a un lavoro, lo costringe a sentirsi dipendente da persone e aiuti. “Non vogliamo vivere in esilio tutta la vita. Vogliamo il nostro paese,” dice Mahmoud dando voce ai tanti rifugiati il cui sogno più grande è varcare la soglia delle loro case in Siria.

L’immobilità della vita in Libano, la perdita della propria autonomia e dei diritti di cittadino è ciò che spinge tanti rifugiati a rischiare la vita a bordo dei barconi diretti in Europa. Quelli come Mahmoud, con mezzi appena sufficienti a garantire la sopravvivenza, non hanno altra scelta se non illudersi che la fine della guerra non sia così lontana come appare.

Ultimo aggiornamento: 28/02/2024, 11:00