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Nastri bianchi a ridosso del fronte, ma Nadezhda non perde la speranza

Viaggio in Ucraina da Odessa ai confini con la Russia. Dove il primo impegno della Cooperazione e delle organizzazioni della società civile italiana è proteggere le persone

HUSARIVKA (UCRAINA) – Rami spogli e nastri bianchi scorrono ai bordi della strada in viaggio verso est, in direzione del fronte. È inverno e i campi sono minati. “I nastri indicano che non sono stati bonificati e che c’è il rischio di ordigni inesplosi” ci spiega Nadezhda Syrova, che ha 64 anni e prima lavorava la terra. Si vede il suo respiro, mentre parla stretta nel cappotto: a Husarivka, tra il confine russo e la linea del fronte ormai al di qua di Avdiivka e Bakhmut, nel nord-est dell’Ucraina, soffia un vento gelido.

Ci viene incontro, Nadezhda, insieme con il suo vicino di casa. Lui si chiama Aleksandr, di cognome Azarov. Ha 47 anni e il volto segnato. Prima del 26 febbraio 2022, quando erano arrivati i carrarmati russi, guidava il trattore nei campi. Ora indica carcasse di tank bruciate, poco oltre un memoriale con otto bandiere gialle e blu, confermando che i reparti dell’esercito ucraino sono tornati ma che le mine sono rimaste. “E non ho ancora riavuto i miei documenti” sospira Aleksandr: “Come prima cosa i soldati arrivati quel 26 febbraio avevano bruciato il mio passaporto”.

La carcassa di un carrarmato a Husarivk. Foto di Vincenzo Giardina

L’incontro con Aleksandr e con Nadezhda, un nome che vuol dire speranza, in russo o in ucraino non fa differenza, è favorito da Intersos, un’organizzazione umanitaria che opera anche nelle zone prossime al fronte grazie al supporto dell’Unione Europea. A Husarivka, nella regione di Kharkiv, assistenti e volontari portano vestiti caldi e medicine; e aiutano anche nelle pratiche burocratiche per ottenere documenti nuovi o far richiesta di un sussidio. “Nei villaggi vicini al fronte sono rimaste le persone in assoluto più esposte” sottolinea Svitlana Utevska, la responsabile dei programmi di protezione di Intersos che ci accompagna: “Non beneficiano degli aiuti per gli sfollati che si sono spostati nelle città e hanno comunque perso quasi tutto, a partire dal lavoro nei campi”.

Svitlana Utevska di Intersos. Foto di Vincenzo Giardina

Secondo l’Ufficio dell’aiuto per il coordinamento dell’assistenza umanitaria (Ocha), nel 2024 almeno 14 milione e 600mila persone saranno in una condizione di bisogno. Si tratterebbe quasi del 40% della popolazione dell’Ucraina. È difficile dire chi sia più vulnerabile. Ce ne si rende conto anche nella città di Kharkiv, ritornando verso ovest, a due ore di automobile di distanza e a soli 30 chilometri dal confine con la Russia. Nel quartiere di Holodna Gora c’è un centro che ospita persone sfollate. Oggi sono circa 130 e tra loro c’è Olga Rotchnyakova. Ha 65 anni ed è arrivata dalla cittadina di Kupyansk. “Ci siamo potute spostare quando sono andati via i russi e sono tornati gli ucraini, nel settembre 2022” ricorda la donna, al suo fianco la nipote Oksana, che è rimasta orfana proprio due anni fa: “Per settimane eravamo state costrette a bere la neve o il ghiaccio rimasto nelle tubature”.

Grazie al supporto alimentare, alla biancheria e agli aiuti economici garantiti nel centro anche da Intersos, Olga ha ripreso fiducia. E con la nipote non rinuncia al suo piano di pace: “Vorremmo che non ci fossero più esplosioni e che potessimo tornare a casa; nessuno dovrebbe più patire la fame o il freddo; e nessuno dovrebbe più avere paura di missili e colpi di artiglieria”.

Kharkiv

Kharkiv. Foto di Vincenzo Giardina

Olga pronuncia ancora quella parola: “nadezhda”, speranza. Nell’immediato serve tutto. E rischia di essere così fin tanto che ci sarà guerra. Secondo il console Stefano Moser, responsabile dell’ambasciata italiana a Kiev per gli aiuti umanitari, in Ucraina è necessario affrontare sia l’emergenza sia, in prospettiva, le necessità dello sviluppo. La parola chiave è sinergia, vale a dire unire gli sforzi, mettendo insieme tutti coloro che possono contribuire in modo da assicurare la maggior efficacia possibile degli interventi. “Lo scorso anno è stata inaugurata a Kiev la sede dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo e c’è stato subito un bando per un valore di 46 milioni rivolto a tutte le organizzazioni della società civile” ricorda Moser in un’intervista con Oltremare. “Di questa somma cinque milioni sono stati dedicati allo sminamento umanitario, mentre altri 40 a progetti ad ampio spettro per il diritto della salute: tanti ospedali sono infatti in difficoltà, o perché colpiti dai bombardamenti o per via della mancanza di energia elettrica”.

Un impegno specifico riguarda le persone mutilate. “Con il coordinamento del ministero della Salute italiano, il supporto della Farnesina, dell’ambasciata e di Aics, stiamo sostenendo i centri di cura e riabilitazione Superhumans e Unbroken, nella città di Leopoli, e di altre strutture dedicate alla cura dei feriti di guerra” sottolinea Moser. “A contribuire sono centri di eccellenza come il Centro protesico Inail, la Croce Rossa Italiana, l’Istituto ortopedico Rizzoli di Bologna, l’ospedale pediatrico Bambino Gesù e la Fondazione Santa Lucia di Roma”. Il progetto è articolato su alcuni assi portanti: l’assistenza medica, sia in loco che tramite il trasferimento in Italia di casi complessi; la formazione del personale ucraino; l’ampliamento della capacità infrastrutturale e tecnologica, per la creazione di centri di eccellenza in loco modellati sulla falsariga di quelli italiani.

In viaggio. Foto di Vincenzo Giardina

Al di là dei singoli interventi, è importante l’approccio. Con Oltremare ne parla Pietro Pipi, titolare della sede di Aics a Kiev. “Come Agenzia cerchiamo sempre di assicurare una qualità tecnica elevata e per questo è fondamentale l’attenzione al reclutamento dei professionisti migliori” sottolinea il responsabile. Il principio fondamentale, anche in Ucraina, sarebbe quello della “ownership”: la valorizzazione delle idee e delle competenze locali per garantire la sostenibilità degli interventi anche nel medio e lungo periodo. “Oggi però”, avverte Pipi, “bisogna fare però i conti con un’emorragia di capitale umano, che rende spesso difficile anche solo parlare di ricostruzione”. Risultano allora ancora più importanti le competenze e le esperienze internazionali. “Quest’anno abbiamo tenuto la prima riunione con tutte le organizzazioni della società civile italiana in Ucraina” sottolinea il responsabile di Aics. “Stiamo pensando a una piattaforma di coordinamento, partendo dal presupposto che queste realtà sono un valore aggiunto”.

È di qualche settimana fa la notizia di nuove aperture di “centri comunitari”, ormai una cinquantina, predisposti dalla fondazione Avsi anche a poche decine di chilometri dalla linea del fronte. Si tratta di spazi pensati per bambini e minori, per una fascia di età compresa tra i tre e i 18 anni: con loro ci sono insegnanti ed educatori che, nell’incontro quotidiano con persone vittime di conflitto e violenza, hanno il supporto di assistenti sociali e psicologi.

Figure essenziali, queste, nei centri territoriali aperti in tante città e località dell’Ucraina. Anche a Pjatikhatki, nella regione di Dnipropetrovsk, subito a ovest di quella di Donetsk perlopiù sotto controllo russo. È in uno di questi centri che incontriamo Vadim. Ha 54 anni e oggi è seduto su un divano al fianco della sorella maggiore, che si chiama Ljudmila.

Ljudmila e Vadim. Foto di Vincenzo Giardina

Sono arrivati entrambi da Chasiv Yar, un villaggio a pochi chilometri da Bakhmut, una cittadina divenuta simbolo delle distruzioni della guerra. “È accaduto di mattina, mentre ero nell’orto davanti casa” spiega Vadim, soffermandosi con lo sguardo su una protesi in alluminio: “Mi ha colpito un mortaio, sono salvo per miracolo”. Vadim ha perso una gamba ma è stato curato grazie al supporto di Pravo na zahist, una fondazione ucraina impegnata nell’assistenza alle persone sfollate. Ha anche potuto avviare un percorso di riabilitazione, proprio nei centri specializzati di Leopoli supportati dall’Italia. “Vorrei tornare a casa, nel mio orto, dove ho sempre amato lavorare” aggiunge prima di salutarci. “Penso che presto o tardi questa guerra finirà”.

Biografia
Vincenzo Giardina
Nato a Padova, laureato in storia contemporanea, è un giornalista professionista. Coordina il notiziario internazionale dell’agenzia di stampa Dire. Tra le sue collaborazioni Il Venerdì di Repubblica, Internazionale, l’Espresso e Nigrizia. Già redattore dell’agenzia di stampa missionaria Misna, si è specializzato sull’Africa e sui temi dei diritti umani e della lotta contro le disuguaglianze. Scrive su Oltremare, magazine dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo, e interviene come esperto o inviato su Radio Rai, Radio Vaticana e altre emittenti. Suoi articoli e reportage sono pubblicati anche da La Stampa e Vanity Fair. Parla più lingue, tra le quali il russo.
www.vincenzogiardina.org
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