Professione Cooperante
Una giornata di dialogo con gli studenti universitari nella sede di Aics: punti interrogativi, laboratori e tante idee per costruire un futuro più sostenibile, con i valori e le competenze.
Quali sono le possibilità di tirocinio attivate con gli atenei? Quali le figure più richieste e i programmi informatici più utili sul campo? O, più sul tecnico: che prospettive ha il “budget support”, il contributo a dono che riflette la massima fiducia verso i Paesi partner? Domande poste da studenti della “Sapienza”, di “Roma Tre” e di altre università a confronto sulla “Professione cooperante”, una vocazione, un impegno e un talento proiettati nel futuro.
I punti interrogativi, con le risposte, gli approfondimenti e poi anche i laboratori su singoli casi di studio sono il cuore di una giornata ospitata nella sede dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (Aics) a Roma, nel quadro della sedicesima edizione del Festival della diplomazia. La proposta è un dialogo su sfide, cambiamenti e opportunità per chi è pronto a “tendere la mano”, per affiancare, supportare e contribuire nel mondo nonostante un contesto internazionale segnato dalla riduzione delle risorse a disposizione. Il percorso è quello che dovrebbe portare verso gli Obiettivi di sviluppo sostenibile fissati nell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. E si guarda però, con gli studenti, delle triennali o delle magistrali, sotto l’egida della Conferenza dei rettori delle università italiane (Crui), anzitutto ai percorsi di formazione e crescita dei giovani.

Elias Gerovasi, Portale Info Cooperazione
Alcune stime sono elaborate da Info Cooperazione. “Il numero dei professionisti del settore è cresciuto del 30 per cento negli ultimi cinque anni” calcola Elias Gerovasi, fondatore del portale specializzato. “I dati del 2024 indicano infatti in 28.600 il numero delle persone che lavorano nella cooperazione internazionale e nell’aiuto umanitario solo considerando le organizzazioni della società civile: immaginate poi quanti altri operano per le agenzie e gli organismi internazionali”.
L’analisi rivela una realtà complessa e sfaccettata, con un operatore su cinque al lavoro in Italia e altri quattro invece all’estero. Le opportunità, a ogni modo, non hanno confini. Nel 2024, secondo Info Cooperazione, i “job posting” sono stati 2mila l’anno. “E i profili rilevanti sono almeno tre” spiega Gerovasi: “Quella di project manager è la professione principe e allo stesso tempo quella di ingresso, perché non conosco un ‘head of mission’ in un Paese che non abbia fatto questa esperienza; c’è poi il ruolo di gestore finanziario, che vale ormai il 18 per cento delle opportunità di lavoro: e ancora il rappresentante Paese, che deve avere competenze di management ancora più rilevanti, con conoscenze sugli aspetti legali e le normative locali”. Ci sono infine profili emergenti, figure che prima non esistevano e ora sempre più interessanti. “Un esempio sono gli esperti di sistemi digitali e di gestione dati”, sottolinea Gerovasi, “mentre un’altra competenza importante riguarda la valutazione di impatto dei progetti, su cui oggi ci sono esigenze particolari”.
In sala ci sono tanti ventenni. C’è chi chiede in che misura le competenze di assistente sociale possano incontrare quelle dell’operatore di cooperazione. Si valutano possibilità, si esplorano percorsi possibili, anche durante i workshop: l’obiettivo è sviluppare competenze trasversali, come il problem solving, il lavoro di squadra, la gestione delle risorse e la capacità di analisi critica. Ad alcune domande risponde Lucia De Smaele, rappresentante di Focsiv, la Federazione degli organismi di volontariato internazionale di ispirazione cristiana, una rete di 97 ong al lavoro in un’ottantina di Paesi. In primo piano ci sono le opportunità offerte dal servizio civile all’estero. “Per il 2026 abbiamo proposto 632 posizioni” anticipa De Smaele, confermando una crescita rispetto all’ultimo bando. “A oggi i nostri volontari in giro per il mondo sono 577”.
Non tutto è prevedibile, perché ci saranno valutazioni da fare, relative ad esempio alla sicurezza dei Paesi di intervento, ma c’è comunque una dinamica. Secondo le stime di Focsiv, nel 48 per cento dei casi le attività del servizio civile riguardano il sostegno alle persone fragili, dunque categorie come i portatori di handicap, i migranti, le donne vulnerabili o le persone con pendenze con il sistema di giustizia penale. Altri ambiti di riferimento sono l’accesso all’educazione e la salute. De Smaele si sofferma sull’esito delle selezioni: “Vengono ammesse candidature dai 18 ai 29 anni non compiuti, ma per la maggior parte i giovani prescelti hanno dai 24 anni in su e hanno già almeno una laurea triennale o una specialistica, a differenza di quanto accade per il servizio civile in Italia”. E ci sono poi dati nient’affatto scontati, forse sorprendenti, che riguardano la dimensione di genere. “Le donne”, scandisce De Smaele, “sono addirittura il 73 per cento dei selezionati del servizio civile all’estero”.
I numeri di questa partecipazione colpiscono, in una fase internazionale segnata da tagli e timori. Di difficoltà parla Cristina Franchini, responsabile delle relazioni esterne di Unhcr, l’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati. In primo piano c’è la riduzione delle risorse messe a disposizione dagli Stati Uniti, storicamente un donatore di riferimento per le agenzie delle Nazioni Unite. “Le riduzioni sono state molto forti e siamo stati costretti a sospendere l’assistenza umanitaria per 11 milioni di persone” denuncia Franchini: “Senza considerare il personale di Unhcr, che ha subito parecchi tagli di posizioni”.

Giuseppe Cerasoli, Vice Direttore Amministrativo AICS
In questo quadro, l’Italia sarebbe in “controtendenza”. Il punto è evidenziato da Giuseppe Cerasoli, vicedirettore amministrativo di Aics. “È entrata nel vivo la revisione tra pari (‘peer review’) del sistema italiano di cooperazione allo sviluppo da parte dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE/DAC)” anticipa il responsabile, “ma abbiamo già ricevuto prime impressioni”. La sua lettura è che a livello europeo ci sia “grande attenzione” verso il sistema italiano “anche perché altri si stanno ritirando e noi invece stiamo resistendo”. Secondo uno studio pubblicato quest’anno dall’Ocse, nel 2024 l’Aiuto pubblico allo sviluppo stanziato dai Paesi a più alto reddito è calato del 7,1 per cento, con una diminuzione di 11 miliardi di dollari in termini assoluti. Il contributo dell’Italia è invece cresciuto del 6,7 per cento, pur restando allo 0,28 in rapporto al Reddito nazionale lordo, a fronte di un impegno di almeno 0,70 assunto in sede Onu oltre 50 anni fa.
Il segno più è legato anzitutto al Piano Mattei, che guarda ai Paesi dell’Africa e ha una dotazione di circa cinque miliardi e mezzo di euro. Secondo Cerasoli, l’iniziativa italiana è apprezzata “per il coinvolgimento del settore privato anche dal punto di vista dell’innovazione e non solo per la conferma del budget, con finanziamenti sia a dono che a credito”. Il vicedirettore cita anche “nuove sfide”, come l’accreditamento presso la Global Partnership for Education, un’alleanza nella cornice del G7 per supportare il diritto all’istruzione nei Paesi svantaggiati. E a supportare il Piano Mattei è il Fondo per il clima, uno strumento creato nel 2021 per realizzare iniziative nei settori delle energie rinnovabili e dello sviluppo, per il ripristino della biodiversità e per l’uso sostenibile delle risorse naturali. “L’Agenzia vuole fare tanto in questo settore”, conferma Cerasoli, a pochi giorni dalla Cop30, la conferenza delle Nazioni Unite per il contrasto ai cambiamenti climatici che si aprirà il 10 novembre nella città amazzonica di Belem.
Oggi a dare la direzione sono però gli studenti. Uno di loro chiede quali siano le doti indispensabili per essere cooperanti. “Al sistema di valori e allo slancio ideale che caratterizza la professione si sono affiancate nel tempo nuove esigenze di competenze tecniche” risponde Cerasoli. “Mettere al centro l’aiuto, l’attenzione e la comprensione delle dinamiche mondiali e scegliere di tendere la mano oggi non basta più”.
Vincenzo Giardina
Nato a Padova, laureato in storia contemporanea, è un giornalista professionista. Coordina il notiziario internazionale dell’agenzia di stampa Dire. Tra le sue collaborazioni Il Venerdì di Repubblica, Internazionale, l’Espresso e Nigrizia. Già redattore dell’agenzia di stampa missionaria Misna, si è specializzato sull’Africa e sui temi dei diritti umani e della lotta contro le disuguaglianze. Scrive su Oltremare, magazine dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo, e interviene come esperto o inviato su Radio Rai, Radio Vaticana e altre emittenti. Suoi articoli e reportage sono pubblicati anche da La Stampa e Vanity Fair. Parla più lingue, tra le quali il russo.
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