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Foto di Beatrice Palladini Iemma

Rohingya, una tragedia che non fa notizia

La drammatica crisi umanitaria che affligge la minoranza etnica segnata dalle atrocità perpetrate in Myanmar. L’impegno fattivo dell’Aics

La loro tragedia fatica a conquistare le prime pagine dei giornali o trovare posto nell’agenda internazionale dei Grandi della Terra. Qualche accenno, una tantum, ma niente di più. Eppure, la tragedia dei Rohingya meriterebbe ben altra attenzione dei media e, soprattutto, ben altro impegno della comunità internazionale. Un impegno che l’Italia non sta facendo mancare attraverso la sede Aics in Myanmar.

 

Walter Zucconi titolare AICS Yangon

ZUCCONI: IL SENSO E LE SFIDE DELL’OGGI
Le sue riflessioni sono un importante contributo per mettere meglio a fuoco una situazione altamente impegnativa: “È in un contesto come quello attuale birmano in cui le enormi esigenze connesse con un processo di sviluppo socio economico sostenibile ed equilibrato, in grado di rendere partecipi dei benefici da esso derivanti una sempre più ampia fetta della popolazione di un Paese in cui il 70% vive in zone rurali caratterizzate da elevatissimi livelli di povertà ed arretratezza (ma che cresce quasi del 7% all’anno con prospettive ancora migliori per il futuro), che si inserisce l’azione della Cooperazione Italiana” – rimarca Zucconi. “L’Italia opera in Myanmar, uno dei 20 Paesi prioritari di intervento per l’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo – AICS, in stretto coordinamento con la Comunità dei donatori ed in particolare con l’UE e i Paesi membri, ponendosi come principi guida di tale azione quelli sanciti dalle line di indirizzo governative in tema di sviluppo, definite col supporto della Comunità internazionale a partire dal 2012 a seguito della cancellazione delle sanzioni internazionali e l’avvio del processo di democratizzazione.

I nostri settori di intervento prioritari spaziano dallo Sviluppo dell’imprenditoria privata alla valorizzazione del patrimonio culturale e del turismo sostenibile, lo sviluppo delle aree rurali e il buon governo e i processi di democratizzazione e pacificazione. Tematiche trasversali presenti in ogni nostra azione sono la parità di genere e in generale la protezione delle fasce della popolazione più vulnerabili (donne, minori), l’empowerment delle comunità locali. Dal 2012 il Governo del Myanmar ha intrapreso un impegnativo percorso di riforma, mai interrotto ma ancora lungo ed irto di ostacoli, con l’obiettivo di definire e perseguire correttamente le priorità di sviluppo, riorganizzare l’apparato Statale e creare le condizioni per creare un efficiente ed efficace coordinamento dell’aiuto allo sviluppo, proseguendo nel contempo nel processo di democratizzazione.

È in tale contesto, segnato purtroppo da instabilità e conflitti interni – puntualizza Zucconi – che, a seguito di un lungo periodo di rallentamento delle attività, sono finalmente al lavoro dal 16 settembre scorso per riaccendere i motori e, grazie alla dedizione, competenza e professionalità dei miei collaboratori, fare del mio e del nostro meglio per contribuire al perseguimento degli obiettivi che la Legge 125/2014 -che ha istituito l’Aics- ci pone, a sostegno dei processi di sviluppo. Ciò garantendo nel contempo la necessaria visibilità del nostro Paese nella quotidiana interazione con le Istituzioni e diversi interlocutori e beneficiari locali, nonché verso la Comunità internazionale e lavorando in sinergia e sentendosi orgogliosamente parte del più ampio Sistema Italia, presente in Myanmar con attori significativi, tra cui le nostre Ong Università, Enti locali, imprenditori ed aziende di primaria importanza.”.

 

Foto di Alessandra Puccioni

COX’S BAZAR: UNA MISSIONE ESEMPLARE
Conoscere per intervenire. Intervenire oltre un orizzonte emergenziale. È il senso della missione, incoraggiata dall’Ambasciatore italiano a Dhaka, Enrico Nunziata effettuata a Cox’s Bazar a metà giugno per delineare un quadro aggiornato sul perdurare della crisi umanitaria che affligge la popolazione Rohingya. La missione congiunta con Aics Yangon ha raccolto elementi utili per eventuali future iniziative per la crisi umanitaria Rohingya, la cui presente situazione non permette di intravedere una risoluzione sul breve termine. Inoltre è stato anche monitorato l’intervento del Comitato Internazionale della Croce Rossa – AID11778.01.2 che beneficia di un finanziamento italiano di 1,5 milioni di Euro. La delegazione AICSY ha incontrato, prima di effettuare il sopralluogo a Cox’s Bazar, i rappresentanti dei principali attori coinvolti nella risposta alla crisi: ECHO, UNHCR, Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), Organizzazione internazionale del Lavoro (OIL), Programma Alimentare Mondiale (PAM) e CICR.

A conclusione della missione, fondamentale per capire quali cambiamenti sono intercorsi nell’ultimo anno, è parso ancora indispensabile continuare a fornire sostegno agli attori umanitari impegnati a Cox’s Bazar. La crisi infatti, seppur iniziata nel 2017, sembra lungi dall’essere risolta a causa della situazione in Rakhine e dell’assenza di prospettive per un ritorno sicuro e dignitoso. Inoltre il Joint Response Plan per il 2019 (920,5 milioni di Dollari), è stato finanziato ad oggi solo per il 22%. Riguardo ai bisogni della popolazione Rohingya, nel corso della missione è emerso che la situazione nei campi si è stabilizzata nel numero delle presenze, ma permane nelle persone un forte senso di precarietà e bisogno di assistenza umanitaria. Resta infatti immutata la posizione governativa ufficiale nei confronti dei Rohingya, a cui non è riconosciuto lo status di rifugiati. Questa posizione li mantiene di fatto dipendenti in toto dagli aiuti umanitari per la propria sopravvivenza. Il Governo bengalese pone forti limiti a tutti quegli interventi che possano portare ad una stabilizzazione della condizione dei Rohingya, dall’integrazione nel sistema educativo bengalese (il 55% dei rifugiati ha meno di 18 anni) all’uso di ripari (shelter) semi-permanenti, all’impiego in attività lavorative legali, a parte qualche primo progetto di cash for work implementato da alcune Agenzie Onu.

Dal punto di vista della protezione, rispetto al 2018 si registrano diversi trend preoccupanti: matrimoni precoci, traffico di esseri umani, aumento del numero di suicidi tra uomini e ragazzi che si trovano depauperati dal loro ruolo di ‘breadwinner’, ma anche tra le donne vittime di violenza domestica. Dalla missione è emerso poi un aspetto positivo: la realizzazione, da parte di UNHCR, delle operazioni di registrazione dei rifugiati e la raccolta dei loro dati biometrici con il rilascio di un documento di identità riconosciuto dal Governo bengalese. Questa registrazione dovrebbe garantire una migliore analisi della popolazione presente e dei suoi bisogni. L’esecutivo di Dacca sottolinea la necessità di fornire assistenza non solo ai rifugiati ma anche alle comunità ospitanti (host communities), che vivono in uno dei distretti più poveri e meno serviti del Bangladesh. Qui stile di vita e fonti di sostentamento sono mutati con l’arrivo di un numero cospicuo di rifugiati. A questo scopo la comunità dei donatori (Asian Development Bank, Australia, Canada, Banca Mondiale, DEVCO, DFID, ECHO, USA) sta discutendo l’adozione di un approccio che utilizzi pianificazione distrettuale per l’intera Cox’s Bazar come elemento di inclusione sia della comunità ospitante che dei rifugiati nei piani di sviluppo, per fornire a questi ultimi soluzioni più durature. “Propositi e conclusioni emersi in seguito alla missione italiana a Cox’s Bazar confermano dunque la necessità di intervenire con attività coerenti con il nesso umanitario e sviluppo”.

 

ROHINGYA, UNA TRAGEDIA DIMENTICATA

La crisi umanitaria che affligge la minoranza etnica Rohingya è una delle più gravi al mondo. Il governo birmano gestisce diversi campi profughi, con una popolazione totale di circa 128mila musulmani Rohingya e Kaman. Questi vivono nei campi per sfollati interni (IDPs) dal 2012, quando le violenze tra buddisti di etnia Rakhine e musulmani hanno causato la morte di oltre 200 persone e creato circa 140 mila sfollati, in maggioranza Rohingya. Ai residenti nei campi per IDPs si aggiungono più di 720 mila profughi che hanno trovato rifugio in Bangladesh dopo le campagne militari del Tatmadaw nel 2016 e 2017.

Circa 1 milione di Rohingya stanno ancora aspettando giustizia e di potere decidere del loro futuro, due anni dopo essere scappati dalle loro case a causa delle atrocità di massa perpetrate in Birmania, e stanno lottando per avere sicurezza e dignità in Bangladesh come rifugiati. In un appello congiunto, 61 Ong a livello locale, nazionale e internazionale, che operano nei due Paesi, hanno chiesto che siano riconosciuti diritti umani per tutti nello Stato Rakhine, in Birmania, e hanno chiesto che i rifugiati Rohingya abbiano un ruolo nel prendere decisioni che riguardano le loro vite, comprese le condizioni per il loro ritorno in Birmania, spiega il Danish Refugee Council. Le Ong hanno espresso molta preoccupazione per la sicurezza di tutte le famiglie colpite dall’emergenza nello Stato Rakhine, inclusi i Rohingya, dal momento che il conflitto si intensifica e l’intervento umanitario rimane limitato. Negli ultimi due anni, le ong hanno aiutato il governo del Bangladesh e le agenzie Onu a fornire un supporto che ha consentito la sopravvivenza delle persone all’interno del più grande campo profughi del mondo. I loro sforzi collettivi hanno permesso di rendere più stabili le condizioni nei campi, e hanno aiutato a impedire epidemie di malattie. Ma i rifugiati hanno bisogno di dignità– non solo di sopravvivenza. Le agenzie hanno chiesto alla comunità internazionale di aumentare i finanziamenti per la risposta umanitaria in Bangladesh e Birmania per migliorare la vita dei rifugiati e delle comunità ospitanti, così come le vite dei  rifugiati all’interno del Paese.

I rifugiati Rohingya in Bangladesh vivono in un ambiente sicuramente non protetto, né sostenibile, ed è fondamentale che vengano consultati in tutte le decisioni che li riguardano- inclusi i rimpatri. E che non ritornino prematuramente a una situazione dove i loro diritti e la loro sicurezza non possano essere garantiti”, afferma Mikkel Trolle, direttore regionale del Danish Refugee Council: “Attraverso il nostro lavoro nei campi profughi e nelle comunità ospitanti a Cox’s Bazar, abbiamo riscontrato come gli sforzi congiunti del governo del Bangladesh, delle agenzie Onu e delle Ong abbiano salvato delle vite, ma ora è tempo di assicurare che queste persone vivano una vita dignitosa e che siano autosufficienti. Soluzioni di medio e lungo termine sono necessarie urgentemente per proteggere i rifugiati e le comunità ospitanti. Educazione, skills building e mezzi di sussistenza sono essenziali per qualunque soluzione durevole di successo, incluso il reinserimento”.Le operazioni di rastrellamento dei Rohingya condotte nell’estate del 2017 a fini di rappresaglia contro gli attacchi terroristici orditi dall’organizzazione Arakan Rohingya Salvation Army (ARSA) ai danni delle forze armate nazionali, conosciute anche con l’appellativo di Tatmadaw, hanno dato adito ad una spirale di indicibili orrori – rimarca il professor Andrea Passeri dell’Università di Bologna in un dettagliato report per l’Ispi -. Secondo le stime internazionali più accreditate, ad un mese dallo scoppio delle violenze le vittime ammontavano già ad oltre 6.000 civili inermi, liquidati nella maggior parte dei casi con pratiche barbare che hanno contemplato anche il ricorso ad esecuzioni sommarie e stupri su vasta scala, come dimostrato poi dal rinvenimento di numerose fosse comuni e di interi villaggi dati alle fiamme allo scopo di cancellare qualsiasi evidenza dei crimini perpetrati dal Tatmadaw. Gli oltre 600.000 Rohingya che nel frattempo erano riusciti a sottrarsi ai pogrom antimusulmani, invece, avevano trovato rifugio al di là della frontiera fra il Myanmar e il Bangladesh, conducendo rapidamente al collasso i campi profughi allestiti dal governo di Dhaka. Di lì a poco, peraltro, le atrocità a cui si sono abbandonate tanto le truppe birmane, quanto le porzioni della popolazione imbevute di un’ideologia etno-nazionalista e xenofoba, sono state ampiamente documentate da un’indagine dell’Onu pubblicata nel settembre del 2018, ovvero ad un anno esatto dall’escalation di violenze.

Il report dell’Onu, redatto al termine di una lunga attività investigativa condotta nel paese che ha scontato l’aperta opposizione dei vertici politici birmani, descrive la rappresaglia innescata dal Tatmadaw come un ‘esempio da manuale’ di campagna di pulizia etnica sprigionata con spirito sistematico e implacabile, contro quella che appare oggi come una minoranza di apolidi spogliata di qualsivoglia diritto o tutela di base all’interno dell’ordinamento nazionale…”. Cicr  e Pam sono le due uniche organizzazioni internazionali autorizzate dal Governo del Myanmar ad operare senza restrizioni temporali/geografiche nel nord del Rakhine; i due attori umanitari hanno suddiviso il proprio lavoro per aree al fine di massimizzare il proprio intervento ed evitare duplicazioni. Episodi di violenza mirata, il frenato sviluppo socio-economico e le tensioni storiche, etniche, religiose esistenti tra la popolazione di etnia Rakhine (tradizionalmente buddhista), le comunità musulmane (Rohingya) e altre comunità minoritarie, rendono la situazione nel Rakhine e nel vicino Bangladesh una delle crisi umanitarie più gravi al mondo.

Nel Rakhine, lo stato più povero del Myanmar con un tasso di povertà pari al 78%, si registrano un totale di 1,1 milioni di persone senza cittadinanza (apolidi), prevalentemente musulmani di etnia Rohingya, sistematicamente soggetti a discriminazioni istituzionali e restrizioni alla libertà di movimento. Inoltre, l’azione repressiva delle forze di sicurezza birmane ha provocato, dal 2016 in poi, un esodo di 688.000 persone, prevalentemente appartenenti all’etnia Rohingya, in fuga dalle tre township di Maungdaw, Buthidaung e Rathedaung verso il Bangladesh. Il Myanmar è anche uno dei paesi più esposti al rischio di disastri naturali dell’Asia, è il secondo su 187 paesi nel Global Climate Risk Index ed è dodicesimo su 191 paesi nell’Index of Risk Management. I contributi a PAM e CICR si inseriscono quindi in un contesto caratterizzato da una crisi protratta aggravata dalla costante violazione dei diritti umani, dal mancato o parziale accesso alle aree di crisi da parte delle organizzazioni umanitarie e da un ambiente altamente esposto ai disastri naturali. L’ Humanitarian Response Plan 2018 riporta come siano 691.000 le persone che necessitano di aiuto umanitario nello Stato di Rakhine.  L’iniziativa  “Contributo al Comitato Internazionale della Croce Rossa per la risposta umanitaria alla crisi nel Rakhine (Myanmar)”AID 011690 –  Delibera n. 78 del 13 dicembre 2018.con un budget di 1 milione di Euro ha permesso  di contribuire alle attività di CICR: i) promozione del rispetto del Diritto Umanitario Internazionale, ii) sviluppo di strategie di autoprotezione rispetto al conflitto per le comunità più vulnerabili, iii) prima emergenza (assistenza ai feriti e malati, fornitura di cibo, attrezzi per la coltivazione e l’allevamento, attrezzature e medicinali per i centri sanitari, riabilitazione di impianti idrici e fognari), iv) miglioramento della vita dei detenuti.

Inoltre Cicr  insieme con Myanmar Red Cross faciliterà i ricongiungimenti familiari e rafforzerà il settore nazionale della riabilitazione fisica e il sistema di referral per i fornitori di servizi, oltre a promuovere l’inclusione sociale di persone disabili.  L’iniziativa “Assistenza alimentare e in denaro alle popolazioni più vulnerabili dello Stato Rakhine nel quadro del Piano Strategico Paese del PAM (2018-2022)” AID 011737con un contributo di 0,5 milione di Euro si configura come finanziamento al Piano Strategico quadriennale del PAM per il Myanmar e risponde all’appello dell’organismo in parola di 25 milioni di USD per continuare a svolgere attività di assistenza alle popolazioni vulnerabili in Myanmar tra ottobre 2018 e marzo 2019. Il contributo permetterà la fornitura di assistenza alimentare, la riabilitazione dei mezzi di sussistenza e beni delle comunità colpite attraverso attività di cash for work alle popolazioni colpite dalla crisi nel nord dello stato di Rakhine.

Quanto al Bangladesh, va rimarcato il contributo a CICR di 1,5 milioni di euro per l’iniziativa “Contributo al Comitato Internazionale della Croce Rossa per la risposta umanitaria alla crisi della popolazione Rohingya “ (AID 011778)- Delibera n.83 del 24 dicembre 2018-  volto  all’assistenza, protezione e prevenzione dei civili provenienti dal Myanmar e delle comunità ospitanti, dei detenuti, dei feriti da armi, dei malati, dei disabili e delle autorità locali.  L’iniziativa ha previsto attività di: i) promozione del rispetto del Diritto Umanitario Internazionale, ii) protezione della popolazione civile indipendentemente dall’etnia di origine, iii) supporto – sia in termini di prima emergenza che a lungo termine –  per le persone provenienti dal Myanmar e per la comunità ospitante, iv) miglioramento della vita dei detenuti. Inoltre CICR insieme con Bangladesh Red Cross faciliterà i ricongiungimenti familiari e rafforzerà il settore nazionale della riabilitazione fisica e il sistema di referral per i fornitori di servizi, oltre a promuovere l’inclusione sociale di persone disabili. Una solidarietà concreta, fattiva per una umanità sofferente. E dimenticata.

Foto di Alessandra Puccioni

LA COOPERAZIONE ITALIANA E LA CRISI ROHINGYA 2017-2018

In occasione della Conferenza dei donatori tenutasi a Ginevra il 23 Ottobre 2017, l’Italia ha annunciato un pledge complessivo di 7 milioni di euro per la Crisi Rohingya. Nell’ambito di tale pledge, la Cooperazione Italiana ha disposto i seguenti contributi di emergenza:

2017

Myanmar

Contributo italiano pari ad 1 milione di euro  all’iniziativa UNHCR  Co-esistenza pacifica, protezione e assistenza per le persone apolidi e le comunità locali dello Stato Rakhine” (AID 011158/01/1). Delibera del VM n.31 del 31 agosto 2017. L’iniziativa è stata avviata il 1 maggio 2019 ed avrà una durata di 18 mesi.

Nell’ambito dell’iniziativa in parola l’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo intende promuovere e facilitare il dialogo intercomunale e la convivenza pacifica nello Stato del Rakhine  attraverso: i) il monitoraggio e l’ analisi dello stato di protezione per condurre un’azione di advocacy, basata sull’evidenza, a tutti i livelli del governo e le principali parti interessate per garantire la massima protezione possibile per la popolazione apolide;ii) iniziative pacifiche di convivenza a che beneficino tutte le comunità per ricostruire la fiducia reciproca. Le attività dell’iniziativa in oggetto, sono state avviate solo il 1 maggio 2019  a seguito degli attacchi compiuti da elementi dell’organizzazione Arakan Rohingya Salvation Army (ARSA) – vicina alla minoranza musulmana – contro i posti di polizia di frontiera delle township di Maungdaw, Buthidaung e Rathedaung, nel nord del Rakhine, il 25 Agosto 2017, pochi giorni prima dell’approvazione dell’iniziativa stessa.

La massiccia risposta da parte delle forze di sicurezza birmane ha portato alla quasi totale cessazione delle attività di cooperazione internazionale (sia emergenza che sviluppo) nelle 3 township settentrionali, che includono l’area target prescelta per l’implementazione dell’iniziativa; a questo si aggiunge l’esodo di oltre 700.000 persone provenienti appunto delle suddette aree verso il Bangladesh. L’attuazione di interventi di emergenza nell’area  è stata inizialmente concessa a due soli attori umanitari: il Comitato della Croce Rossa Internazionale (CICR) ed Programma Alimentare Mondiale (PAM).Tutte le altre agenzie onusiane sono state impossibilitate ad operare nell’area, compresa UNHCR. Soltanto dopo lunghi e faticosi negoziati si è giunti, il 6 giugno 2018 alla firma di un Memorandum of Understanding tripartito (MoU) tra il Ministro birmano dell’Immigrazione, del Lavoro e della Popolazione, UNHCR e UNDP, volto alla creazione di condizioni sul terreno che facilitino il rimpatrio volontario e sicuro delle persone fuggite in Bangladesh nella loro zona di origine/ altra destinazione scelta in maniera libera. Nella fattispecie, UNHCR è incaricata dello svolgimento di attività di protezione, monitoraggio, condizione di consultazioni comunitarie e supporto alla coesistenza pacifica. In seguito agli incidenti. Nonostante l’area target non sia (più) limitata al solo nord Rakhine, l’iniziativa in corso di realizzazione risponde anche ai bisogni – soprattutto in termini di protezione – degli abitanti del Rakhine centrale: si stima infatti che tra Rakhine settentrionale e centrale si trovino 474.000 apolidi, a cui si aggiungono 126.000 sfollati, anche essi apolidi. Le township del Rakhine target – Buthidaung, Maungdaw, Rathedaung, Kyauktaw, Pauktaw, Minbya, Sittwe e Mrauk U- si annoverano tra le aree meno sviluppate del Myanmar, composite dal punto di vista etnico e difficili da raggiungere, dove il supporto del Governo è minimo. Le aree target includono le tre township settentrionali di Maungdaw, Buthidaung e Rathedaung, che sono state mantenute al fine di mobilitare le operazioni previste non appena ottenuto l’accesso da parte delle autorità, in conformità con il Memorandu of Understanding tripartito.

L’ONU stima che tra 200.000 e 240.000 Rohingya senza cittadinanza siano rimasti nelle aree settentrionali dello stato di Rakhine dopo la crisi del 2017. Per quanto riguarda il Rakhine centrale, invece, circa 825.794 persone vivono nelle cinque township designate, con una media di 165.515 persone per township, secondo il censimento della popolazione condotto dal Governo nel 2014 (e a cui l’Italia ha contribuito attraverso l’AID 10207 con un importo pari ad Euro 650.000,00). Questa cifra non include la comunità dei Rohingya – priva di cittadinanza- che comprende circa 216.690 persone, prevalentemente collocate nei villaggi delle 5 township.

Myanmar e Bangladesh

Tre contributi attivati nel 2017  a valere sui Fondi Bilaterali di Emergenza in essere presso IOM, PAM e CICR. Il  contributo a CICR  del valore di 1,5 Milioni di euro per attività di assistenza sanitaria alla popolazione Rohingya in Myanmar, fornitura di generi alimentari e di prima necessità ed attività di protezione. Il contributo ad OIM pari ad  1 Milione di euro per le attività previste dal piano di risposta dell’ONU in favore della popolazione vulnerabile in Bangladesh (Cox’s Bazar). Il contributo pari a 0,5 milioni di euro a PAM in Bangladesh per il sostegno degli interventi di prima assistenza e distribuzione di aiuti alimentari a favore delle popolazioni Rohingya in fuga dal Myanmar.

2018

Myanmar

CICR e PAM sono le due uniche organizzazioni internazionali autorizzate dal Governo del Myanmar ad operare senza restrizioni temporali/geografiche nel nord del Rakhine; i due attori umanitari hanno suddiviso il proprio lavoro per aree al fine di massimizzare il proprio intervento ed evitare duplicazioni.

Episodi di violenza mirata, il frenato sviluppo socio-economico e le tensioni storiche, etniche, religiose esistenti tra la popolazione di etnia Rakhine (tradizionalmente buddhista), le comunità musulmane (Rohingya) e altre comunità minoritarie, rendono la situazione nel Rakhine e nel vicino Bangladesh una delle crisi umanitarie più gravi al mondo. Nel Rakhine, lo stato più povero del Myanmar con un tasso di povertà pari al 78%, si registrano un totale di 1,1 milioni di persone senza cittadinanza (apolidi), prevalentemente musulmani di etnia Rohingya, sistematicamente soggetti a discriminazioni istituzionali e restrizioni alla libertà di movimento. Inoltre, l’azione repressiva delle forze di sicurezza birmane ha provocato, dal 2016 in poi, un esodo di 688.000 persone, prevalentemente appartenenti all’etnia Rohingya, in fuga dalle tre township di Maungdaw, Buthidaung e Rathedaung verso il Bangladesh. Il Myanmar è anche uno dei paesi più esposti al rischio di disastri naturali dell’Asia, è il secondo su 187 paesi nel Global Climate Risk Index ed è dodicesimo su 191 paesi nell’Index of Risk Management.

I contributi a PAM e CICR, di seguito dettagliati, si inseriscono quindi in un contesto caratterizzato da una crisi protratta aggravata dalla costante violazione dei diritti umani, dal mancato o parziale accesso alle aree di crisi da parte delle organizzazioni umanitarie e da un ambiente altamente esposto ai disastri naturali. L’ Humanitarian Response Plan 2018 riporta come siano 691.000 le persone che necessitano di aiuto umanitario nello Stato di Rakhine.

L’iniziativa  “Contributo al Comitato Internazionale della Croce Rossa per la risposta umanitaria alla crisi nel Rakhine (Myanmar)”AID 011690 –  Delibera n. 78 del 13 dicembre 2018-.con un budget di 1 milione di Euro ha permesso  di contribuire alle attività di CICR: i) promozione del rispetto del Diritto Umanitario Internazionale, ii) sviluppo di strategie di autoprotezione rispetto al conflitto per le comunità più vulnerabili, iii) prima emergenza (assistenza ai feriti e malati, fornitura di cibo, attrezzi per la coltivazione e l’allevamento, attrezzature e medicinali per i centri sanitari, riabilitazione di impianti idrici e fognari), iv) miglioramento della vita dei detenuti. Inoltre CICR insieme con Myanmar Red Cross faciliterà i ricongiungimenti familiari e rafforzerà il settore nazionale della riabilitazione fisica e il sistema di referral per i fornitori di servizi, oltre a promuovere l’inclusione sociale di persone disabili.

L’iniziativa  “Assistenza alimentare e in denaro alle popolazioni più vulnerabili dello Stato Rakhine nel quadro del Piano Strategico Paese del PAM (2018-2022)” AID 011737 – Delibera n. 79 del 13 dicembre 2018 -con un  contributo di 0,5 milione di Euro si configura come finanziamento al Piano Strategico quadriennale del PAM per il Myanmar e risponde all’appello dell’organismo in parola di 25 milioni di USD per continuare a svolgere attività di assistenza alle popolazioni vulnerabili in Myanmar tra ottobre 2018 e luglio  2019. Il contributo ha permesso la fornitura di assistenza alimentare, la riabilitazione dei mezzi di sussistenza e beni delle comunità colpite attraverso attività di cash for work alle popolazioni colpite dalla crisi nel nord dello stato di Rakhine.

Bangladesh

Contributo a CICR di 1,5 milioni di euro per l’iniziativa  “Contributo al Comitato Internazionale della Croce Rossa per la risposta umanitaria alla crisi della popolazione Rohingya “ (AID 011778)- Delibera n.83 del 24 dicembre 2018-  è finalizzata all’assistenza, protezione e prevenzione dei civili provenienti dal Myanmar e delle comunità ospitanti, dei detenuti, dei feriti da armi, dei malati, dei disabili e delle autorità locali.  L’iniziativa ha previsto attività di: i) promozione del rispetto del Diritto Umanitario Internazionale, ii) protezione della popolazione civile indipendentemente dall’etnia di origine, iii) supporto – sia in termini di prima emergenza che a lungo termine –  per le persone provenienti dal Myanmar e per la comunità ospitante, iv) miglioramento della vita dei detenuti. Inoltre CICR insieme con Bangladesh Red Cross faciliterà i ricongiungimenti familiari e rafforzerà il settore nazionale della riabilitazione fisica e il sistema di referral per i fornitori di servizi, oltre a promuovere l’inclusione sociale di persone disabili.

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