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Ucraina, l’8 marzo di Bucha

Testimonianze dal Centro di supporto psicologico finanziato dal progetto Aics di primissima emergenza  

Arriviamo a Bucha in una splendida giornata di sole. La cittadina, ora associata a ricordi di orrore e paura, si presenta di fronte a noi per quello che era prima della guerra: una località accogliente alle porte di Kiev, con viali alberati, pieno di vita e bambini e bambine che giocano per le strade. È l‘8 marzo, e tante donne sono riunite nel Centro di supporto psicologico, dove si tiene un evento organizzato da Cesvi, “Celebration of Spring and Women’s Resilience”.

Proprio qui, dopo i terribili 33 giorni di occupazione russa, l’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (Aics) ha finanziato un’iniziativa dell’organizzazione umanitaria italiana con l’obiettivo di fornire beni e servizi essenziali di protezione, con particolare attenzione al supporto psico-sociale per le donne e i bambini vittime di traumi.

Il Centro, in occasione della Giornata Internazionale della Donna, è animato dal personale di Cesvi e dalle psicologhe, educatrici, operatrici formate grazie al progetto. Tra loro, c’è anche Nataliia Levchenko, presidente del consiglio amministrativo dell’organizzazione Ya Buchanez, partner locale di Cesvi.

Prima del 27 febbraio 2022, la vita qui scorreva tranquilla – ci racconta Nataliia – Bucha era il posto dove le giovani coppie si trasferivano per trovare un po’ di calma dal trambusto della città. Era conosciuto come il paese dei bambini“. La cittadina, con i suoi 40.000 abitanti, accoglieva moltissime famiglie provenienti dalla capitale e numerosi ucraini fuggiti dalla Crimea, Donetsk e Lugansk, sfollati interni dal 2014 in cerca di rifugio: “Nessuno era preparato per quello che sarebbe accaduto quel giorno: svegliarsi una mattina con i carri armati alle porte della città e le sirene di guerra”.

La battaglia è durata fino al 21 marzo e, solo ad aprile, con la liberazione e il ritiro delle forze russe, si è rivelato l’orrore consumatosi durante l’occupazione: le immagini della città, con i suoi cadaveri e le sue fosse comuni, hanno fatto il giro del mondo. Secondo le autorità di Kiev, in quello che è stato definito il “massacro di Bucha” i morti furono 1.400, tra cui 37 bambini. Chi è sopravvissuto porta ancora le cicatrici di atrocità, torture, abusi e crimini di guerra, perpetrati con particolare sistematicità nei confronti delle donne.

“Quando siamo tornati – prosegue Nataliia – la città era irriconoscibile. Centinaia di persone avevano bisogno di immediato supporto umanitario; chi non era riuscito o non aveva potuto scappare dall’occupazione era rimasto completamente isolato per più di un mese in un campo di battaglia aperto, sottoposto a violenze e privazioni. Il progetto finanziato dalla Cooperazione italiana è iniziato ad agosto 2022, a quattro mesi dall’occupazione. Insieme a Cesvi, la mia organizzazione ha iniziato distribuendo fondi alle famiglie più vulnerabili e attivando i servizi di assistenza psicologica qui al Centro”.

Quello che oggi è il Centro di supporto psicologico di Bucha prima della guerra era un luogo di ritrovo per famiglie e bambini, immaginato come spazio di aggregazione per la cittadinanza dall’associazione di Nataliia. E oggi, in occasione della giornata della donna, è tornato a esserlo: i bambini realizzano fiori di stoffa, le donne si confrontano parlando di salute mentale, e non solo.

Tra loro c’è l’artista locale Valentyna Tarasevych, nominata per l’occasione “Donna del giorno”. Valentyna, 82 anni, nel 2016 è stata costretta a fuggire dalla sua casa a Sivash nella regione di Kherson a causa della guerra, trasferendosi con la sua famiglia a Bucha in cerca di pace e sicurezza: “È una delle numerose vittime di ciò che definiamo doppio trauma – spiega Nataliia – lei è rimasta a Bucha durante l’occupazione. Si è salvata fingendo di essere in sedia a rotelle. Dopo quei giorni di gelo, senza acqua, elettricità e gas, tra bombardamenti, sparatorie e morte tutt’intorno, il trauma era così devastante da avere effettivamente invalidato le sue capacità motorie: Valentyna non riusciva più ad alzarsi dalla sua sedia. Quando qualcuno vive un’esperienza così dura e intensa, il suo cervello può rispondere generando sintomi fisici, come la paralisi, anche se non ci sono cause fisiche evidenti”.

Valentyna ha intrapreso un percorso terapeutico attraverso l’arte per elaborare il suo trauma. “Iniziando a dipingere – racconta Nataliia – ha trovato nell’espressione artistica un modo per elaborare le sue emozioni. Col tempo, ha perfezionato le sue abilità, esponendo le opere e condividendo la sua storia. È uno dei molteplici esempi di quanto sia cruciale un percorso terapeutico per curare le ferite invisibili della guerra”. Oggi la donna partecipa alle attività del Centro di supporto psicologico di Bucha, portando le sue competenze ed esperienze a beneficio delle donne e dei bambini che vi accedono.

Il progetto finanziato da Aics a Bucha ha fornito sostegno economico a 4.000 persone e supporto psicologico a 300 individui, principalmente donne, attraverso oltre mille sessioni di consulenza facilitate da un’unità mobile operativa anche nei villaggi circostanti. Educatori, psicologi e operatori sociali sono stati formati per specializzarsi nel trattamento del disturbo da stress post traumatico, contribuendo a potenziare le competenze professionali necessarie per affrontare efficacemente le sfide legate alle conseguenze dell’occupazione.

“L’inverno scorso è stato un periodo incredibilmente difficile – spiega Nataliia – anche dopo la fine dell’occupazione, i continui bombardamenti e le sirene incessanti hanno continuato a tormentarci, causando blackout frequenti. Il progetto è stato molto importante perché ha costituito un fondamentale passo in avanti verso la guarigione e la rigenerazione della comunità. Il supporto psicologico fornito alle vittime ha contribuito a mitigare i traumi della guerra, consentendo loro di affrontare il duro presente con maggiore forza emotiva”.

Mentre nel centro le attività volgono al termine, il sole inizia a tramontare. Qualche ora dopo un allarme antiaereo inizia a suonare rompendo la calma della città; Bucha è ancora in guerra ma la resilienza della comunità si fa sentire: “Le donne si sostengono a vicenda, affrontando i traumi degli abusi e dei lutti, e insieme tentano di ricostruire non solo le loro vite, ma anche il tessuto frantumato della città. E presto – conclude Nataliia – sarà di nuovo primavera”.

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