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Donne, le prime vittime del cambiamento climatico

Intervista con Mariama Williams, economista femminista sul ruolo delle donne nella lotta per il cambiamento climatico. «La finanza climatica deve supportare il ruolo delle donne nella mitigazione e adattamento al global warming».

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Vittime e salvatrici del pianeta, le donne nei paesi in via di sviluppo giocano un ruolo fondamentale per fermare il cambiamento climatico, ma sono anche i soggetti più esposti agli effetti nefasti del clima impazzito. OLTREMARE ha intervistato Meriama Williams, economista femminista, collaboratrice del South Center, organizzazione intergovernativa dei paesi in via di sviluppo finalizzata a rafforzare azioni congiunte e promuovere interessi comuni sulla scena internazionale dei LCDs (Least Developed Countries). Meriama Williams ha pubblicato il libro Gender and Climate Change Financing per illustrare il rapporto tra genere, clima e il sostengo a comunità resilienti di donne; lavora da anni su questo tema per rafforzare il ruolo femminile nell’adattamento al cambiamento climatico.

«Le donne sono una chiave importante per fermare il global warming», inizia Williams. «Le ricerche più recenti, incluse quelle dell’IPCC, il pannello intergovernativo sul clima, e della London School of Economics mostrano che i disastri collegati al cambiamento climatico colpiscono le donne (e i bambini) con una probabilità quattro volte superiore rispetto agli uomini. Basta vedere i dati dello tsunami nell’Oceano indiano nel 2004 o l’ondata di caldo in Europa nel 2003. Non solo: le donne sono anche i soggetti con i maggiori oneri derivanti dagli impatti climatici».

Perché le donne sono più esposte?

«Questo è dovuto i ruoli sociali tradizionali e al fatto di essere soggetti deboli dal punto di vista economico. Basta pensare che le donne sono spesso coloro che procurano legna e acqua nelle società rurali in Asia e Africa. Siccità e deforestazione costringono le donne a procacciare acqua e carburanti sempre più lontano dai villaggi, esponendole a numerosi rischi, dalle violenze sessuali agli omicidi. In Asia numerose ricerche mostrano che le donne avendo un ruolo domestico non sanno nuotare, al contrario dei mariti pescatori, e quindi rischiano di morire con maggiore probabilità nei grandi eventi catastrofici. Inoltre svolgendo un ruolo di responsabilità su bambini e anziani durante le emergenze hanno maggiore probabilità di rimanere indietro nei salvataggi. Infine anche l’educazione in un caso recente, si è scoperto che durante un early warming per un tifone di classe quattro, la maggior parte delle donne non sapessero di cosa si trattasse, e quindi non hanno adottato nessuna precauzione».

Dunque è la discriminazione di genere esistente che predispone le donne ad essere influenzate negativamente dall’impatto dei cambiamenti climatici. Che ruolo positivo però possono giocare le donne nella sfida dell’adattamento e mitigazione?

«Non possiamo davvero risolvere la questione climatica senza lavorare con gruppi di donne, sia che si tratti di tutela delle foreste, gestione intelligente delle risorse agricole, o preservazione dei saperi e delle tecnologie tradizionali. Anche a livello professionale nei paesi in via di sviluppo vediamo un ruolo crescente nel lavorare con tecnologie ambientali e energie rinnovabili. Sempre più donne in Africa vanno in college per imparare a installare e riparare pannelli solari. Inoltre sono molto proattive nella comunità, lavorando in associazioni che discutono su come affrontare l’impatto del clima sulle vite dei membri del villaggio. Cercano un ruolo attivo per decarbonizzare e rendere resiliente il proprio territorio».

Nel suo libro però denuncia il fatto che i meccanismi di finanziamento per progetti legati al clima spesso non raggiungono queste iniziative. Come nella leadership per il clima c’è una predominanza maschile anche nella finanza climatica non c’è sufficiente equità di genere?

«Purtroppo si. Però se gli studi mostrano un ruolo fondamentale delle donne quindi anche i meccanismi di finanza climatica devono essere indirizzati al loro sostengo. Per la mitigazione molti fondi sono orientati a progetti di grande scala. Eppure sostenere il gender empowerment attraverso la finanza climatica e i soldi della cooperazione può costare meno ed avere effetti altrettanto importanti, lavorando sulla diffusione di colture resilienti al cambiamento climatico, sulla diffusione di saperi di gestione dell’acqua, sull’uso intelligente delle energie rinnovabili e delle risorse. Un progetto classico come le pentole ad energia solare ha impatti di mitigazione, di resilienza alimentare ma anche funge come molla per l’imprenditoria femminile. La finanza climatica deve guardare alle PMI di donne per favorire un’imprenditoria green e resiliente. I nostri dati mostrano che le donne hanno maggiore successo in questo tipo di progetti. Lo abbiamo visto recentemente in Sud Africa in un’iniziativa sull’allevamento di polli e l’uso di energie rinnovabili».

Che peso hanno le donne all’interno del negoziato sul clima?

«Gli Stati membri alla Conferenza delle parti (COP) hanno adottato nel 2017 una nuova tabella di marcia per integrare la parità di genere e l’emancipazione femminile nei discorsi e nelle azioni sul cambiamento climatico. Per questo scopo verrà creato un “Piano d’azione per le pari opportunità” (GAP) per rafforzare il ruolo delle donne nell’azione per il clima.

L’obiettivo del GAP sulle questioni di genere è garantire che le donne possano influenzare le decisioni in materia di cambiamenti climatici e che donne e uomini siano rappresentati ugualmente in tutti gli aspetti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), come modo per aumentarne l’efficacia. Inoltre dobbiamo fare in modo che le donne siano quanto più presenti possibile all’interno dell’implementazione dell’accordo di Parigi (che sarà discussa a Dicembre a Katowice, nda)».

Serviranno nuove strategie per una finanza climatica gender-balanced?

«Per i piani di adattamento nazionali ha un ruolo centrale il Green Climate Fund. Per questo esistono delle linee-guida messe insieme dai LDCs per includere la componente di genere nelle strategie di finanziamento dei piani di adattamento nazionali. Quindi tutti gli enti accreditati dal GCF dovranno includere nelle loro proposal la questione di genere. Sarà importante monitorare come i paesi risponderanno a questa sfida e lavorino sul GAP. Servirà per formare esperte e generare progetti di cooperazione climatica anche di medie e piccole dimensioni».

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