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Scienziate, un ruolo centrale per lo sviluppo africano

In Africa meno del 28% degli scienziati sono donna. Maschilismo, scarsa mobilità, patriarcato, infrastrutture e fondi insufficienti alla base del gap di genere.

Le scienziate svolgono un ruolo cruciale nello sviluppo dell’Africa, sia per rendere più sostenibile, green e equa la crescita delle nazioni africane, sia per raggiungere l’uguaglianza di genere, uno dei 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs). Come sanno molte giovani donne che intraprendono una carriera scientifica, però, il persistere della disuguaglianza di genere le limita fortemente a raggiungere il loro potenziale e contribuire efficacemente alle sfide dello sviluppo.

 

 

Sebbene a livello continentale siano stati compiuti progressi significativi nel colmare il gender gap nelle iscrizioni alla scuola primaria, la disparità di accesso prevale nell’istruzione superiore. Ciò include la ricerca scientifica, dove il mondo femminile rimane fortemente sottorappresentato. Dati recenti dell’UNESCO indicano che solo il 28% dei ricercatori impiegati nella ricerca e sviluppo (R&S) a livello globale sono donne (ma in Asia Occidentale e nel Pacifico sono meno del 19%). «Sono soprattutto le scienze come la matematica e la fisica quelle dove la presenza è minore», spiega a Oltremare Tonya Blowers, coordinatrice dell’Organization for Women in Science for the Developing World (OWSD), organizzazione con sede a Trieste che da 27 anni si occupa di erogare supporto a giovani scienziate nei PVS. «Meno del 2% delle domande sono per borse di studio in ricerca matematica. Tante scelgono agronomia o medicina». Posizioni che spesso si limitano al settore pubblico, dove sono meno pagate rispetto al settore privato, mostrano i dati UNESCO

Una situazione da invertire

Secondo la ricercatrice informatica Aderonke Busayo Sakpere, University of Ibadan, in Nigeria «La scienza è e rimarrà fondamentale nello sviluppo dell’Africa. Creare opportunità affinché le donne diventino scienziate è una situazione vantaggiosa per tutti». Concorda la scienziata Francine Ntoumi (si veda intervista LINK), considerata una delle ricercatrici più note del continente. «Il futuro dell’Africa e della leadership africana passa dalle donne nella scienza. Senza non potremo mai primeggiare». E in generale l’Aics continua ad investire nella formazione delle donne. «Eguaglianza di genere, empowerment delle donne e lotta alla violenza sessuale hanno trovato uno spazio particolare nella programmazione 2019, in linea con gli impegni assunti dalla Cooperazione italiana a livello internazionale per il raggiungimento dell’obiettivo sostenibile 5 dell’Agenda 2030», spiega Marta Collu dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo.
Eppure ancora non basta. Le ragioni che ostacolano tante ragazze nel diventare novelle Marie Curie o Francine Ntoumi sono molteplici. Innanzitutto culturali. Come l’attitudine degli uomini a non considerare come pari le colleghe, retaggio di un patriarcato che persiste anche nelle classi medie colte. «C’è poi il tema della libertà di movimento» – spiega Blowers – «una caratteristica necessaria per un ricercatore in carriera. In tanti casi i mariti non lasciano partire le mogli per un seminario o un periodo di ricerca all’estero. In alcuni paesi le donne hanno bisogno della firma del padre o del marito o addirittura di essere accompagnate»

Per le giovani studentesse perdura il problema delle gravidanze in giovane età che possono rallentare il percorso di studi e rendere ulteriormente problematico l’accesso ai dottorati di ricerca. Per Francine Ntoumi,. «In casi come questi sono importanti borse di studio per l’estero che includano anche i mariti, dando la possibilità alla famiglia di vivere insieme fuori dal proprio paese, con programmi di accompagnamento famigliare. Sono pochi i mariti che rifiutano la possibilità di viaggiare e magari esplorare nuove opportunità di formazione». Altrettanto importante è una migliore pianificazione famigliare che consenta alle giovani donne di ultimare il corso di studi e poter scegliere di fare figli quando già si è raggiunta una posizione da ricercatrici.

 

C’è poi la questione delle infrastrutture carenti e della mancanza di risorse. In alcune università non ci sono nemmeno i bagni per le donne, in altre i laboratori sono inesistenti o mal funzionanti. «Capita spesso che scienziate originarie di paesi in via di sviluppo, con un dottorato internazionale) e dunque formatesi all’estero, tornino nel paese di origine dove si ritrovano in una condizione di “vuoto scientifico”, senza mezzi per fare ricerca né la possibilità di creare contatti», spiega Jennifer Thomson, presidente di OWSD e professore emerito di microbiologia all’Università di Cape Town, Sud Africa.

Una nuova sfida

Per cercare di contrastare questa disparità organizzazioni come OWSD hanno messo in campo programmi di borse di studio per formare le scienziate del futuro. Owsd, oggi sostenuta dalla Sida — Swedish International Development Cooperation Agency (del Governo Svedese) e dal Idrc — International Development Research Centre (del Governo Canadese), raccoglie oltre 9000 scienziate provenienti da 133 Paesi, articolati in 28 “capitoli” regionali. Investe direttamente sulle persone, ovvero nel capitale umano, spostando il focus della cooperazione allo sviluppo dai programmi per le Istituzioni ai programmi per le persone, promuovendo per le donne prima il conseguimento di qualificazioni a livello di dottorati e poi nell’avvio delle carriere professionali. «Le borse sostengono soprattutto la mobilità Sud-Sud per contenere l’emigrazione delle scienziate e delle professionalità verso il Nord, nella convinzione che le risorse umane qualificate siano cruciali per lo sviluppo dei Paesi del sud», spiega la Blowers.

Un ruolo importante lo svolgono anche i premi per le scienziate, che aiutano a creare popolarità mediatica intorno a queste figure. «Vincere un premio, soprattutto all’estero, fa si che i media locali diano rilievo alle scienziate. Questo è di ispirazione per tante bambine e ragazze che in quel momento decidono di aspirare ad essere scienziate, per la fama, l’attenzione, ma anche gli impatti positivi del loro lavoro su tutta la comunità». Al ritorno in patria spesso vengono organizzati tour nelle scuole per far incontrare le studentesse con le loro beniamine.

 

 

Gli astri nascenti non mancano. Come Pendo Bigambo, della University of Dar es Saalam, Tanzania, ingegnere di nano tecnologie, la cui ricerca si concentra sull’uso di nanoprocessi per sviluppare un nuovo modo di produrre nanofibre a base di cotone derivato tessuti di scarto, offrendo un’alternativa green allo smaltimento in discarica di rifiuti tessili. «Pendo è un esempio di come le donne facciano ricerca spesso tu temi con un impatto positivo non solo per le imprese ma sulla salute collettiva e sull’ambiente», spiega Tonya Blowers. Altre scienziate premiate da OWSD sono: Judith Georgette Makombu-Ngueguim, dell’Università di Buea in Cameroon, studia il modo di aumentare la produzione larvale in popolazioni di gamberetti fluviali in Africa; Nimanthi Jayathilaka, dell’ Università di Kelaniya in Sri Lanka, vuole migliorare i test per l’individuazione precoce della febbre dengue, Maryse Dadina Nkoua Ngavouka, fisica congolese, sta mettendo a punto un sistema di produzione di energia che impiega biocarburanti prodotti con energia solare e da biomassa.

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