COP16, successo mancato al negoziato Onu sulla biodiversità
Si è conclusa a Cali, in Colombia la COP16, il negoziato sulla biodiversità riunito per l’implementazione del Global Biodiversity Framework, in un misto di disillusione e alcuni risultati storici, dopo una notte intera di negoziati.
L’incontro avrebbe dovuto lavorare concretamente su soluzioni e implementazioni dei 23 punti dell’Accordo Onu del 2022 per salvare la vita vegetale e animale della Terra, proteggendo il 30% del pianeta e ripristinando il 30% degli ecosistemi degradati entro il 2030. Ma la mancanza di volontà per raggiungere un compromesso ha costretto la presidenza colombiana a sospendere il negoziato, lasciando numerosi documenti negoziali in sospeso.
Uno dei principali motivi del fallimento di parte dei talks è stato dovuto alla confusione nella plenaria finale che avrebbe dovuto terminare durante la sera del venerdì 1° novembre, ma si è protratta per oltre 12 ore non-stop, dato che le delegazioni governative non riuscivano a raggiungere il consenso su questioni chiave come il finanziamento della natura e le modalità di monitoraggio degli obiettivi di questo decennio entro il Global Biodiviersity Framework (GBF). Molti sono stati costretti a lasciare i colloqui in anticipo per prendere l’aereo e i negoziati sono stati sospesi alle 8.30 del mattino, quando erano presenti meno della metà dei Paesi e la riunione ha perso il quorum.
Emblematiche le parole della negoziatrice per le Fiji, Michelle Baleikanacea: “molte nazioni in via di sviluppo – che non hanno budget per cambiare i piani di volo – sono state costrette ad abbandonare l’incontro. Purtroppo, le Fiji sono l’unico Paese insulare del Pacifico ancora presente a questa Cop – siamo venuti come una delegazione di dieci persone e io sono l’unica rimasta. Non possiamo permetterci di cambiare volo perché non abbiamo i fondi necessari”, ribadendo implicitamente una delle ragioni del ritardo nella conclusione dei negoziati, la scarsa disponibilità di risorse da parte dei Paesi sviluppati. I Paesi dovranno continuare i colloqui l’anno prossimo in un incontro intermedio a Bangkok.
Non è stato però tempo perso. Prima della sospensione della Plenaria da parte della furente presidente Colombiana, Susana Muhamad, sono stati approvati tre testi molto importanti. Il primo è stato particolarmente gradito alla presidenza colombiana e brasiliana (ma osteggiato da Indonesia e Russia) poiché sostanzia il ruolo dei popoli indigeni e comunità locali nella cooperazione e nel GBF, incluse le popolazioni afrodiscendenti, creando un organo permanente di rappresentanza, decisione che avrà importanti ripercussioni anche sulla COP-clima. Con l’approvazione dell’Articolo 8(j) popolazioni native avranno a disposizione maggiori strumenti per raccogliere risorse economiche, condividere conoscenze e proteggersi dagli attacchi continui che spesso subiscono dall’esterno.
Il secondo impegno preso è lo storico Fondo di Cali, istituito per raccogliere i contributi delle aziende private sull’utilizzo dei dati genetici digitali (DSI) derivati dalle risorse biologiche, creando di fatto un meccanismo di erogazione volontaria per sostenere progetti pubblici, nell’ambito della cooperazione o di comunità indigene. Con il DSI aziende dei settori farmaceutico, cosmetico, nutraceutico, genetico e dell’allevamento dovranno pagare volontariamente almeno l’1% dei propri profitti (o lo 0,1 per cento dei ricavi) lo sfruttamento delle risorse genetiche legate alla biodiversità per aiutare i paesi meno sviluppati a proteggere la natura.
Infine, va menzionato il testo finale sulle nuove Aree Marine di Importanza Ecologica o Biologica (EBSA), che finalmente include le acque internazionali, ampliando de iure la rete globale di zone protette. Il tema, fortemente sostenuto dalla delegazione italiana è stato menzionato anche nel discorso in plenaria del sottosegretario del Mase, Claudio Barbaro: “l’Italia conferma il suo pieno impegno nei confronti dei principali processi legati alla conservazione e alla gestione sostenibile dei nostri oceani e mari, in particolare l’accordo BBNJ (l’accordo su Biodiversty Beyond National Jurisdiction, nda)”. Ha poi ricordato l’impegno dell’adozione “durante l’attuale Presidenza del G7, di una Dichiarazione del G7 dedicata al BBNJ che, oltre a riconoscere il suo contributo fondamentale alla governance dell’alto mare e, in particolare, al raggiungimento dell’obiettivo 3 del GBF”. E così è stato, aprendo finalmente alla tutela anche in aree al di fuori dei confini nazionali, sostegno per altro importante per la pesca sostenibile italiana, contro le pratiche di overfishing dei mega pescherecci internazionali, che spesso saccheggiano aree di riproduzione e santuari marini in alto mare.
Cosa non si è approvato a COP16?
Rimandato al prossimo anno a Bangkok il documento sulla strategia finanziaria e mobilitazione di risorse per sostenere il raggiungimento degli obiettivi 2030. Secondo il GBF si devono movimentare 200 miliardi di dollari l’anno a livello globale e, per sostenere i paesi più vulnerabili, i paesi industrializzati dovrebbero movimentare almeno 20 miliardi di dollari l’anno entro il 2025, ed incrementarli a 30 miliardi entro il 2030. Nel testo si sarebbe dovuto includere iniziative come un nuovo Fondo per la biodiversità (separato dal GEF), la revisione del debito (debt-nature swap), un push per la riforma della Banche multilaterali di sviluppo legata alla natura, anche in relazione con la lotta contro il cambiamento climatico. In risposta al testo finale non approvato, Oscar Soria di Common Initiative ha dichiarato: “Mobilitare finanziamenti sufficienti per raggiungere gli obiettivi di biodiversità è un problema importante da 30 anni a questa parte. Abbiamo visto una leadership insufficiente da parte dei Paesi più ricchi: l’UE e la Francia in particolare, il Canada, la Svizzera, il Giappone, il Regno Unito, ma anche la Cina. La presidenza colombiana ha spinto per includere nelle conversazioni temi importanti, come il debito sovrano, e ha presentato un elenco piuttosto esaustivo di modi per esplorare la finanza della biodiversità”. Ma lo stato di sfiducia tra Paesi sviluppati e in via di sviluppo e le scelte del ministro Muhamad nell’organizzazione del processo hanno reso i negoziati impossibili.
Saltato anche il documento sul PMRR, il quadro di monitoraggio degli avanzamenti degli impegni presi dai paesi (solo 44 hanno presentato piani nazionali per la tutela della biodiversità), rallentando così il processo di verifica, fondamentale per capire se i paesi con i loro piani nazionali stanno andando nella giusta direzione
La Presidente, per tamponare la decisione shock, ha diramato un messaggio audio alla stampa per difendere l’organizzazione di una COP che ha visto 23mila delegati e quasi un milione di visitatori nella Zona Verde “insediando la Coalizione per la Pace con la Natura, creando la più grande campagna di educazione sulla natura che la Colombia abbia mai avuto nella sua storia e la più importante mobilitazione per la vita che abbiamo mai fatto”. Ma il collasso finale del negoziato, lo scarso peso politico dato dai governi, la poca attenzione mediatica al di fuori del Sud America e il disinteresse della comunità COP-clima hanno offerto un segnale di grave preoccupazione
Diritti indigeni
La decisione riguardante l’Articolo 8(j) è stata accolta con lunghi applausi all’interno del Convention Center Valle del Cauca, sede dei negoziati. Il testo rafforza la rappresentanza, il coordinamento e il processo decisionale inclusivo, creando un’opportunità di dialogo con le parti della COP. Non solo dà priorità al sostegno della gestione della biodiversità indigena e tradizionale del territorio, ma promuove anche gli standard internazionali sui diritti umani, come menzionato nel Quadro Globale per la Biodiversità. L’organismo sarà composto da due copresidenti eletti dalla COP: uno nominato dagli stati membri e l’altro dai rappresentanti delle popolazioni indigene e delle comunità locali. Txai Suruí, coordinatore del Movimento giovanile indigeno, ha affermato: “Ciò che è accaduto con l’Articolo 8(j) è davvero storico: abbiamo ottenuto il riconoscimento dei popoli indigeni e delle comunità afrodiscendenti come custodi della biodiversità. Il fatto che sia stato raggiunto in Amazzonia ha conferito ulteriore valore al testo. Certo, sarebbe stato preferibile non fosse un testo separato e speravamo in altre conquiste, in particolare sul fronte dei finanziamenti, ma resta comunque una vittoria significativa.”
DSI, l’oscuro meccanismo di COP16
Per la prima volta chi fa profitti grazie al codice genetico legato alle proprietà specifiche di piante e animali dovrà restituire una parte dei propri ricavi per sostenere la tutela della biodiversità. Si istituisce il “Fondo Cali” per convogliare le risorse derivanti dall’uso commerciale della natura per la conservazione della biodiversità, in particolare a favore dei paesi in via di sviluppo, delle popolazioni indigene e delle comunità locali, sostenuto da aziende e dai settori che traggono benefici commerciali dai dati digitali delle sequenze genetiche (DSI, digital sequence information). A contribuire saranno aziende del settore farmaceutico, nutraceutico (alimenti e integratori per la salute), cosmetico, dell’allevamento di animali e piante, delle biotecnologie, delle attrezzature di laboratorio associate al sequenziamento e all’uso delle informazioni di sequenza digitale sulle risorse genetiche, “che hanno un bilancio che supera almeno due su tre di queste soglie (attività totali: 20 milioni di dollari Vendite; 50 milioni di dollari; profitti: 5 milioni di dollari), calcolate sulla media dei tre anni precedenti, dovrebbero contribuire al fondo globale con l’1% dei loro profitti o con lo 0,1% delle loro entrate, come percentuale indicativa”. Il 50 per cento dei ricavi da questi meccanismi dovrà essere erogato alle popolazioni indigene. L’accordo apre a nuove interessanti collaborazioni pubblico-private, oltre che a campagne di responsabilizzazione delle imprese interessate.
La Cooperazione Italiana
Forse il vero successo di COP16 è stata la partecipazione record dei colombiani e colombiane che hanno visitato la zona Verde, dove era presente anche l’AICS con uno stand con prodotti locali e indigeni e una programmazione di incontri che hanno spesso segnato il tutto esaurito.
Oltre 900mila persone secondo il municipio di Cali hanno visitato le mostre, spazi espositivi, stand e bancarelle della zona Verde, nel cuore della città di Cali, generando oltre 11 milioni di euro di introiti. Un momento unico per avvicinare la popolazione al tema della tutela della natura.
Lo spazio italiano ha ospitato rappresentanti delle ONG italiane che operano nel Paese andino, produttori agro-ecologici e iniziative imprenditoriali eco-sostenibili. 14 gli eventi organizzati o co-organizzati dall’AICS in entrambe le zone. Tra gli happening piú importanti, la celebrazione dei 25 anni del Programma Amazzonia senza Fuoco (PASF), un’iniziativa nata nel 1999 attraverso un Accordo bilaterale tra il Governo italiano e quello brasiliano. Seguitissimo l’evento per presentare le attività dell’Agenzia per sostenere e rafforzare il legame tra conservazione dell’ambiente e sviluppo socio-economico delle comunità locali, contribuendo alla pace e alla sostenibilità ambientale a livello globale. Non sono mancati gli eventi nella Zona Blu, come la presentazione del Manifesto della Gioventù Rurale, tenutosi presso lo stand Colombia l’ultimo giorno dei negoziati. Il Manifesto, redatto da oltre 170 giovani durante il Summit pre-COP16 “Gioventù Rurale in pace con la natura“, svoltosi ad agosto a Nuquí, in Colombia, grazie alla Cooperazione Italiana, rappresenta un’importante dichiarazione d’intenti per unire e rafforzare le voci delle giovani generazioni in tema di biodiversità in un momento cruciale per la salvaguardia del nostro pianeta.
Per la cooperazione internazionale COP16 rimane una chiara indicazione di come la tutela della biodiversità sarà un tema chiave di tanti progetti del futuro. Nuove aree di conservazione, marine e terrestri, rigenerazione degli ecosistemi, supporto alla sostituzione dei sussidi ambientalmente dannosi, collaborazione con il Fondo di Cali, ma anche ai tanti progetti pubblico privati e alla finanza globale, grazie anche all’importantissimo supporto di BIOFIN, la facility UNDP di supporto ai paesi per la finanza per la biodiversità
La vera sfida della biodiversità non è solo Cali o la prossima COP17 a Yerevan in Armenia. La sfida ora è unire tutti i tre percorsi negoziali su clima, biodiversità e desertificazione e creare pressione reale a livello nazionale su queste tematiche in maniera integrata e riformare sempre di più la cooperazione internazionale. Solo così la triplice crisi ambientale potrà essere risolta.
Emanuele Bompan
Giornalista ambientale e geografo. Si occupa di economia circolare, cambiamenti climatici, green-economy, politica americana. È Direttore della rivista Materia Rinnovabile, collabora con testate come La Stampa, Nuova Ecologia e Oltremare. Ha scritto l’Atlante geopolitico dell’Acqua (2019), Water Grabbing – le guerre nascoste per l’acqua nel XXI secolo (2018), Che cosa è l’economia circolare (2017). Ha vinto per quattro volte l’European Journalism Center IDR Grant, una volta la Middlebury Environmental Journalism Fellowship, una volta la Google DNI Initiative ed è stato nominato Giornalista per la Terra nel 2015.