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Davos: Globalizzazione…anche delle diseguaglianze

Il Rapporto di Oxfam racconta di una faglia sociale, e di genere sempre più grande che mina il futuro del pianeta. Amartya Sen: istruzione e sanità universali i migliori antidoti alle disuguaglianze. E a una globalizzazione senza diritti.

La globalizzazione delle disuguaglianze. Non è un’affermazione ideologica, è la fotografia della realtà.

Globalizzazione dei mercati ma non dei diritti sociali a tutela minima dei lavoratori. Globalizzazione che alimenta la faglia tra il Nord e i Sud del mondo. Globalizzazione che rafforza il discrimine di genere.

Le fortune dei super-ricchi sono aumentate del 12% lo scorso anno, al ritmo di 2,5 miliardi di dollari al giorno, mentre 3,8 miliardi di persone, che costituiscono la metà più povera dell’umanità, hanno visto decrescere quel che avevano dell’11%.

L’anno scorso, da soli, 26 ultramiliardari possedevano l’equivalente ricchezza della metà più povera del pianeta. Una concentrazione di enormi fortune nelle mani di pochi, che evidenzia l’iniquità sociale e l’insostenibilità dell’attuale sistema economico.

 

 

Un dato, quello sull’“Olimpo della ricchezza”, che è la rappresentazione estrema del divario patrimoniale registrato lo scorso anno: a metà 2018 l’1% più ricco deteneva infatti poco meno della metà (47,2%) della ricchezza aggregata netta, contro un magro 0,4% assegnato alla metà più povera della popolazione mondiale, 3,8 miliardi di persone.

In Italia il 20% più ricco dei nostri connazionali possedeva, nello stesso periodo, circa il 72% dell’intera ricchezza nazionale. Il 5% più ricco degli italiani era titolare da solo della stessa quota di ricchezza posseduta dal 90% più povero. Allo stesso tempo, se la quota della ricchezza globale nelle mani dell’1% più ricco è in crescita dal 2011, un trend opposto caratterizza la riduzione della povertà estrema.

Dopo una drastica diminuzione, tra il 1990 e il 2015, del numero di persone che vivono con un reddito di meno di 1,90 dollari al giorno, ad allarmare è il calo del 40% del tasso annuo di riduzione della povertà estrema (che secondo le stime è rallentato ulteriormente tra il 2015 e il 2018). Un aumento della povertà estrema che colpisce in primis i contesti più vulnerabili del globo, come l’Africa subsahariana.

Di fronte a tutto questo il nuovo rapporto di Oxfam, diffuso alla vigilia del meeting annuale del Forum economico mondiale di Davos, rivela come il persistente divario tra ricchi e poveri comprometta i progressi nella lotta alla povertà, danneggi le nostre economie e alimenti la rabbia sociale in tutto il mondo.

Lo studio mette inoltre in evidenza le responsabilità dei governi, in ritardo nell’adottare misure efficaci per contrastare questa galoppante disuguaglianza. Servizi essenziali come sanità e istruzione infatti continuano a essere sotto-finanziati, la lotta all’elusione fiscale ristagna, mentre le grandi corporation e i super-ricchi contribuiscono fiscalmente meno di quanto potrebbero.

L’enorme disuguaglianza che caratterizza il nostro tempo, inoltre, colpisce soprattutto donne e ragazze. “Non dovrebbe essere il conto in banca a decidere per quanto tempo si potrà andare a scuola o quanto a lungo si vivrà –rimarca Winnie Byanyima, direttrice di Oxfam International – Eppure è proprio questa la realtà di oggi in gran parte del mondo.

Mentre multinazionali e super-ricchi accrescono le loro fortune a dismisura, spesso anche grazie a trattamenti fiscali privilegiati, milioni di ragazzi – soprattutto ragazze – non hanno accesso a un’istruzione decente e le donne continuano a morire di parto”. “Bene pubblico o ricchezza privata?” manda un messaggio molto netto: per potenziare il finanziamento dei sistemi di welfare nazionali, è necessario rendere più equo il fisco.

Invertendo la tendenza pluridecennale, che ha portato alla graduale erosione di progressività dei sistemi fiscali e a un marcato spostamento del carico fiscale dalla tassazione della ricchezza e dei redditi da capitale, a quella sui redditi da lavoro e sui consumi.

Una proposta che parte da alcune evidenze, che fotografano l’ingiustizia fiscale di cui inevitabilmente fanno le spese i più poveri: Globalmente nel 2015 solo 4 centesimi per ogni dollaro raccolto dal fisco proveniva dalle imposte sul patrimonio, come quelle immobiliari, fondiarie o di successione. Questo genere di imposte ha subito una riduzione – o è stato eliminato del tutto – in molti paesi ricchi e viene a malapena reso operante nei paesi in via di sviluppo.

 

 

L’imposizione fiscale a carico dei percettori di redditi più elevati e delle grandi imprese si è significativamente ridotta negli ultimi decenni. Nei paesi ricchi, per esempio, in media, l’aliquota massima dell’imposta sui redditi delle persone fisiche è passata dal 62% nel 1970 al 38% nel 2013.

Nei paesi in via di sviluppo questa aliquota è ora in media al 28%.    Per 90 grandi corporation l’aliquota effettiva versata sui redditi d’impresa ha visto un forte calo tra il 2000 e il 2016, passando dal 34% al 24%. Tenendo conto di imposte dirette e indirette, in paesi come il Brasile o il Regno Unito, il 10% dei più poveri paga, in proporzione al reddito, più tasse rispetto al 10% più ricco.

Se I’1% dei più ricchi pagasse appena lo 0,5% in più in imposte sul proprio patrimonio, si avrebbero risorse sufficienti per mandare a scuola 262 milioni di bambini e salvare la vita a 100 milioni di persone nel prossimo decennio. Nel mondo 10 mila persone al giorno muoiono per il costo delle cure. I servizi pubblici sono sistematicamente sotto-finanziati o vengono esternalizzati ad attori privati, con la conseguenza che spesso i più poveri ne vengano esclusi.

Ecco perché in molti paesi un’istruzione e una sanità di qualità sono diventate un lusso che solo i più abbienti possono permettersi. Basti pensare che ogni giorno 10 mila persone muoiono nel mondo, perché non hanno accesso a cure mediche, per il semplice fatto che non le possono pagare. Nei paesi in via di sviluppo un bambino di una famiglia povera ha il doppio delle possibilità di morire entro i 5 anni, rispetto a un suo coetaneo benestante.

In un paese come il Kenya, un bambino di una famiglia ricca frequenterà la scuola per il doppio degli anni rispetto a un bambino proveniente da una famiglia senza mezzi. Altro dato strutturale: vi è una forte correlazione tra disuguaglianza economica e disuguaglianza di genere. Società più eque registrano anche condizioni di maggiore parità tra uomini e donne. A livello globale gli uomini possiedono però oggi il 50% in più della ricchezza netta delle donne e controllano oltre l’86% delle aziende. Anche il divario retributivo di genere, pari al 23%, vede le donne in posizione arretrata.

Un dato che per di più non tiene conto del contributo gratuito delle donne al lavoro di cura. Secondo le stime di Oxfam, se tutto il lavoro di cura non retribuito, non contabilizzato oggi dalle statistiche ufficiali, svolto dalle donne nel mondo fosse appaltato ad una sola azienda, questa realizzerebbe un fatturato di 10 mila miliardi di dollari all’anno, ossia 43 volte quello di Apple, la più grande azienda al mondo.

 

 

“Le persone in tutto il mondo sono arrabbiate e frustrate. – annota Elisa Bacciotti, direttrice delle campagne di Oxfam Italia – Ma i governi possono apportare cambiamenti reali per la vita delle persone assicurandosi che le grandi aziende e le persone più ricche paghino la loro giusta quota di tasse, e che il ricavato venga investito in sistemi sanitari e di istruzione a cui tutti i cittadini possano accedere gratuitamente. A cominciare dai milioni di donne e ragazze che ne sono tagliate fuori. I governi possono ancora costruire un futuro migliore per tutti, non solo per pochi privilegiati. È una loro responsabilità”.

Una responsabilità non o mal esercitata. “la globalizzazione porta il dominio economico e culturale del pensiero unico rappresentato attualmente dal profitto sui Paesi poveri. Occorre rispettare le culture delle nazioni e dei popoli con la cooperazione favorendo la globalizzazione dell’amore e impedendo che tanti giovani africani emigrino per cercare una vita migliore nei paesi ricchi dominanti. Questo avviene anche perché sono espulsi dall’agricoltura per effetto dell’accaparramento delle terre”, sottolinea in proposito Jean Mbarga, arcivescovo di Yaoundé, in Camerun. E la sua è una delle tante voci che si sono levate in questi anni per denunciare la “globalizzazione delle ingiustizie”.

Metteva in guardia Luciano Gallino, uno dei più autorevoli sociologi italiani, scomparso l’8 novembre 2015: “Quando affermano che i ricchi stanno diventando sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri, come abbastanza spesso accade, i critici della globalizzazione scelgono il terreno di scontro sbagliato. Sebbene la situazione di una parte consistente dei poveri nel mondo sia peggiorata (per ragioni diverse, di ordine sia locale sia internazionale), è difficile stabilire una tendenza generale e netta. Molto dipende dagli indicatori scelti e dalle variabili in funzione delle quali vengono valutate povertà e disuguaglianza. Questo dibattito, tuttavia, non dovrebbe essere posto come una precondizione per occuparsi del tema davvero centrale, vale a dire degli enormi livelli di disuguaglianza e povertà nel mondo. La preoccupazione principale è legata ai livelli di disuguaglianza e povertà, non alla loro variazione agli estremi.

Se anche i sostenitori dell’ordine economico contemporaneo avessero ragione affermando che, in linea di massima, i poveri hanno fatto dei piccoli passi avanti (il che, di fatto, non è generalmente vero), l’urgenza di rivolgere immediatamente e completamente l’attenzione alle terribili privazioni e alle sconvolgenti disuguaglianze mondiali non verrebbe meno”. Oggi più che mai. Così come oggi più che mai, vale la riflessione del premio Nobel per l’Economia Amartia Sen.

 

 

Una riflessione che è anche un programma d’azione: Istruzione e sanità universali sono l’antidoto alle disuguaglianze. “Oggi, ci sono 1,8 miliardi di giovani tra i 10 e i 24 anni – il più grande gruppo di giovani di sempre. Ogni mese, 10 milioni di ragazzi raggiungono l’età lavorativa e riscontrano che le conoscenze di ieri non sono più adatte ai lavori richiesti oggi”, rimarca Henrietta Fore, Direttore generale dell’UNICEF. Nel mondo ci sono 71 milioni di giovani disoccupati. Oltre 150 milioni di giovani lavorano, ma vivono con meno di 3 dollari al giorno.

A livello globale, 6 bambini e adolescenti su 10 non raggiungono i livelli minimi di competenze nella lettura e in matematica e 200 milioni di adolescenti sono fuori dalla scuola. Quelli colpiti maggiormente sono coloro che hanno più bisogno di istruzione e competenze, per lo più ragazze, giovani donne, bambini e adolescenti che vivono in zone di conflitto e coloro con disabilità. Migliaia di giovani hanno un semplice messaggio per i leader che partecipano al World Economic Forum di Davos: ‘Abbiamo bisogno di più lavoro e di un’istruzione migliore’”. Un doppio investimento sul futuro. E su una globalizzazione dal volto umano.

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