Ultimi articoli

  /  Articoli   /  Pace   /  Non solo Ucraina. Ecco le guerre nel mondo da non dimenticare

Non solo Ucraina. Ecco le guerre nel mondo da non dimenticare

Il conflitto in Europa orientale ha spinto milioni di persone a lasciare le proprie case e il proprio Paese. Ma si combatte anche altrove. Dall’Asia all’Africa, anche se ai tg se ne parla poco

Uno vale uno. Non è uno slogan politico ma uno sguardo sul mondo. Che provi a prendere le misure e misurare le distanze, per avere una prospettiva d’insieme del mondo. Parliamo di guerre, che sono tante, sempre troppe. In apertura dei telegiornali c’è l’Ucraina, un Paese alle porte dell’Europa, vicino e anche per questo più raccontato, perché la prossimità è un valore anche per il giornalismo. È recente la denuncia dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms): dal 24 febbraio, il giorno di inizio del conflitto, bombardamenti o raid contro ospedali sono stati più di 70 e sono in crescita “di giorno in giorno”. Altri numeri aiutano a capire cosa sta accadendo: le persone costrette a lasciare l’Ucraina sono già più di quattro milioni, giunte perlopiù in Polonia, ma anche in Romania, Moldavia e altri Paesi dell’Unione Europea. Secondo Filippo Grandi, Alto commissario dell’Onu per i rifugiati, quella deflagrata il 24 febbraio è la crisi “che si aggrava più rapidamente in Europa dalla Seconda guerra mondiale”.

Purtroppo, il conflitto è solo uno fra tanti. In Italia e non solo, il confronto politico atlantico, europeo e nazionale, alimentato dalle voci di una diaspora ucraina sul territorio di oltre 230mila persone, ha messo tra parentesi o fatto dimenticare altre crisi. Dal Myanmar all’Afghanistan, dallo Yemen all’Etiopia. Passando dalla Siria, dove a 11 anni dall’inizio della guerra civile le persone costrette a lasciare le proprie case sono state oltre sei milioni e 700mila, allo stesso tempo un record e una quota importante di quei 90 milioni di profughi censiti dall’Onu a livello mondiale.

Gli impegni necessari, per la Siria come per l’Ucraina, riguardano sia l’emergenza che l’accoglienza. Da pensare in prospettiva, come conferma il via libera a Bruxelles il mese scorso della direttiva europea per la protezione temporanea in caso di afflusso massiccio di sfollati, pensata per snellire le procedure burocratiche e garantire subito possibilità di vita e di lavoro.

Nel frattempo, dal mondo, sono arrivate anche buone notizie. Prendete l’Etiopia, colosso africano da oltre cento milioni di abitanti, ostaggio di un conflitto in corso da ormai 18 mesi. Il 24 marzo il governo federale guidato da Abiy Ahmed ha proclamato una tregua unilaterale, motivandola con considerazioni di carattere umanitario. Il contesto è quello del conflitto con il Fronte popolare di liberazione del Tigray (Tplf), il partito che controlla questa regione del nord dell’Etiopia al confine con l’Eritrea. L’Onu calcola che dall’inizio dei combattimenti solo nel Tigray le persone costrette a lasciare le proprie case siano state più di 400mila, mentre nella stessa area quelle colpite da “una mancanza di cibo grave” sarebbero otto su dieci. Anche perché, dal 15 dicembre scorso, per oltre tre mesi, è stata bloccata la consegna di generi alimentari e altri beni essenziali per la popolazione.

La tregua è un passo significativo, anche se solo un primo passo. In Etiopia un accordo di pace resta da immaginare. Come da immaginare è la fine del conflitto in Yemen, un Paese che alcuni giorni fa è stato menzionato nei telegiornali, anche se solo per motivi legati all’industria sportiva. È accaduto che un missile lanciato dalle forze delle comunità houthi che controllano la capitale Sana’a abbia colpito un deposito petrolifero a circa 20 chilometri dal circuito di Formula uno di Gedda, in Arabia Saudita. Il raid è avvenuto alla vigilia del gran premio ed è forse soprattutto per questo che i media hanno ricordato lo Yemen. Non una crisi di poco conto ma la più grave al mondo, secondo l’Onu: nel Paese le persone bisognose di assistenza o protezione sono oltre 24 milioni, circa l’80 per cento della popolazione.

Negli ultimi mesi si sono intensificati gli scontri per il controllo della provincia di Marib tra le forze houthi e quelle della coalizione a guida saudita che vi si oppone. Intanto il numero dei bambini uccisi dall’inizio della guerra, sette anni fa, ha superato quota 10mila. A tenere accesa la speranza è la tregua entrata in vigore il 31 marzo, per il mese islamico del Ramadan.

L’atlante globale dei conflitti coincide con quello delle emergenze umanitarie. Accade così che tra i Paesi dai quali provengono più profughi compare il Myanmar, dove l’esercito combatte milizie regionali e chiunque continui a opporsi al golpe del 2021, o il Sud Sudan, dove ancora a fine marzo i dirigenti nazionali si contrapponevano sull’attuazione di un accordo di pace firmato quattro anni fa. Di un’altra Africa, quella del Sahel, si è parlato negli ultimi mesi per una serie di golpe guidati da ufficiali dell’esercito. Alla loro origine hanno contributo conflitti armati in corso da anni, ad esempio in Mali e in Burkina Faso. Secondo l’organizzazione non governativa Norwegian Refugee Council, in quest’ultimo Paese a causa delle incursioni di gruppi ribelli il numero degli sfollati è aumentato di 20 volte dal gennaio 2019, raggiungendo un milione e 700mila. Troppo poco, forse, per una notizia. Lo stesso principio vale per l’Afghanistan, un Paese dal quale già un anno fa erano fuggite almeno due milioni e 600 persone. Dopo il ritiro dei contingenti militari della Nato e il ritorno dei talebani a Kabul, sui media europei le notizie sono state sempre meno. A volte sono sembrate echi lontani, o forse note a piè pagina nei giorni ucraini. Come quando, a fine marzo, il governo afghano ha revocato il permesso alle ragazze di frequentare le scuole superiori.

 

Biografia
Vincenzo Giardina
Nato a Padova, laureato in storia contemporanea, è un giornalista professionista. Coordina il notiziario internazionale dell’agenzia di stampa Dire. Tra le sue collaborazioni Il Venerdì di Repubblica, Internazionale, l’Espresso e Nigrizia. Già redattore dell’agenzia di stampa missionaria Misna, si è specializzato sull’Africa e sui temi dei diritti umani e della lotta contro le disuguaglianze. Scrive su Oltremare, magazine dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo, e interviene come esperto o inviato su Radio Rai, Radio Vaticana e altre emittenti. Suoi articoli e reportage sono pubblicati anche da La Stampa e Vanity Fair. Parla più lingue, tra le quali il russo.
www.vincenzogiardina.org
You don't have permission to register