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Quel triplo nesso per prevenire le guerre, anche in Sudan

Al Peacebuilding Forum di Bologna riflessioni e proposte. Guardando oltre l’Ucraina

Prevenire è meglio che curare. Come dire, in geopolitica: darsi da fare per evitare la guerra costa molto meno, in termini umani, sociali ed economici, che essere costretti a intervenire per farla finire. Un discorso, questo, nei giorni del conflitto in Sudan, con vittime quotidiane e già centinaia di migliaia di persone in fuga, che riguarda anche la cooperazione allo sviluppo. Se n’è parlato a Bologna, al Peacebuilding Forum, una tre giorni di riflessioni e proposte con un orizzonte che va oltre l’Europa.

In primo piano il “triplo nesso”, cioè i collegamenti tra le dimensioni dell’intervento umanitario, dei programmi di sviluppo e dell’azione per la pace. “Sono ambiti di lavoro che in passato erano considerati in modo separato, ciascuno con i suoi principi e le sue peculiarità”, ci spiega Bernardo Venturi, direttore e co-fondatore dell’Agenzia per il peacebuilding (Ap), organizzazione non-profit ideatrice e promotrice del Forum. “Con il tempo si è però capito il nesso tra l’intervento per far fronte all’emergenza umanitaria e quello di più lungo periodo, centrato sullo sviluppo; l’ultimo passaggio, che oggi pare decisivo, riguarda un terzo pilastro: quello della prevenzione dei conflitti e della costruzione della pace”.

Un riferimento è Pathways for Peace, un rapporto presentato dagli esperti dell’Onu e della Banca mondiale cinque anni fa: evidenziano che la prevenzione delle crisi è vantaggiosa anche da un punto di vista economico, non solo perché salva le vite. Raccomandazioni sul “triplo nesso” sono formulate poi dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, in particolare dal suo Comitato per l’aiuto allo sviluppo (Ocse-Dac), del quale fanno parte sia l’Unione Europea che l’Italia. “Su queste basi nel 2019 è nato un gruppo di lavoro in Farnesina, con l’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo, le principali ong e le università, che ha proposto linee guida ormai pronte per l’approvazione”, ricorda Venturi. “Si è trattato di un percorso partecipativo e inclusivo che ora è importante concludere; nei mesi scorsi l’istituzione presso il ministero degli Esteri di un focal point sulle capacità di mediazione dell’Italia è stato un passo nella giusta direzione”.

Altri aspetti, evidenziati in un rapporto presentato al Forum, riguardano la programmazione congiunta e la flessibilità dei fondi. “Tutti gli attori”, sottolinea Venturi, “devono confrontarsi e ragionare insieme su come collegare aspetti emergenziali con dinamiche a lungo termine, anche sul piano delle risorse, che non possono essere indirizzate su ambiti separati perché non si creino poi difficoltà sul piano operativo da parte delle ong”.

Il contesto a livello “macro” è pieno di criticità.  A oltre un anno dall’offensiva russa in Ucraina del 24 febbraio 2022 e a quasi due dallo scacco afghano, con il ritiro americano e della Nato, conflitti tra eserciti e gruppi ribelli continuano ad attraversare il Sahel. E a quattro golpe militari in meno di due anni in Mali e Burkina Faso si sono aggiunti i combattimenti per il potere in Sudan tra reparti dell’esercito e unità paramilitari, nella capitale Khartoum, dove il Nilo azzurro confluisce nel Nilo bianco. Su iniziativa americana e saudita, a Gedda sono stati organizzati colloqui tra le parti in lotta, guidate da due generali, Abdel Fattah al-Burhan e Mohamed Hamdan Dagalo, detto Hemetti. I costi della crisi intanto si aggravano: secondo l’Onu, sono già più di 100.000 le persone che hanno dovuto lasciare il Paese cercando salvezza oltreconfine, in particolare in Ciad, Sud Sudan, Repubblica centrafricana, Egitto ed Etiopia.

Con Oltremare ne parla Michele Morana, a capo dell’ufficio di Aics a Khartoum. “Il contesto sudanese è stato segnato da golpe militari e instabilità politica e sociale ben prima dell’inizio degli scontri armati il 15 aprile scorso” spiega. “Sin dal colpo di Stato dell’ottobre 2021 non abbiamo più avuto contatti con il governo”.

Il “triplo nesso” è rimasto un riferimento per Aics. “C’era però un Paese che stava andando indietro” riprende Morana: “Invece di passare da progetti di emergenza a interventi di sviluppo il percorso era inverso, non avendo una controparte governativa”. Secondo il dirigente, come altri suoi colleghi costretto per motivi di sicurezza a seguire l’evolversi della situazione dall’Italia e non più da Khartoum, il conflitto è deflagrato in una situazione di disagio sociale, nonostante il Sudan disponga di risorse naturali e sia in particolare uno dei primi esportatori di oro al mondo. “In tanti vivono in condizioni di povertà, mancano strade e molte infrastrutture risalgono al tempo degli inglesi”, sottolinea Morana. Convinto che con le nuove violenze, intense non solo nell’area di Khartoum ma anche nella regione occidentale del Darfur, i costi da sostenere saranno inevitabilmente alti. “Il bisogno di investire ora è triplicato”, calcola il dirigente. “Già nel periodo precedente i combattimenti i prezzi erano aumentati del 400% e un litro di olio di semi costava l’equivalente di 15 euro, mentre la popolazione aveva un reddito pro capite pari a soli 150 euro”.

Il contesto internazionale, con le contrapposizioni geopolitiche aggravate dal conflitto armato in Ucraina, non aiuta. Al Forum, intitolato quest’anno Peace in Europe and Beyond, è un punto che ritorna: la crisi tra la Russia e gli alleati di Kiev della Nato ha distolto attenzione e distratto risorse da altri focolai, determinando una riduzione degli investimenti nella pace in alcune delle aree più vulnerabili del pianeta.

Lo confermano gli ultimi dati Ocse sull’Aiuto pubblico allo sviluppo (Aps). “Emerge che l’attenzione ai Paesi poveri è sempre minore”, denuncia Venturi. “Verso l’Ucraina è reindirizzato l’8% dei fondi, mentre è addirittura il 14,4 % la quota che resta nei Paesi donatori, spesso per l’accoglienza dei richiedenti asilo; gli stanziamenti per l’Africa subsahariana calano invece in modo drastico, nonostante si senta spesso parlare di questo continente come di una priorità”.

Biografia
Vincenzo Giardina
Nato a Padova, laureato in storia contemporanea, è un giornalista professionista. Coordina il notiziario internazionale dell’agenzia di stampa Dire. Tra le sue collaborazioni Il Venerdì di Repubblica, Internazionale, l’Espresso e Nigrizia. Già redattore dell’agenzia di stampa missionaria Misna, si è specializzato sull’Africa e sui temi dei diritti umani e della lotta contro le disuguaglianze. Scrive su Oltremare, magazine dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo, e interviene come esperto o inviato su Radio Rai, Radio Vaticana e altre emittenti. Suoi articoli e reportage sono pubblicati anche da La Stampa e Vanity Fair. Parla più lingue, tra le quali il russo.
www.vincenzogiardina.org
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