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Palestina, donna cucina pane in un forno

Un pizzico di sale e zucchero nella valle del Giordano

Nei Territori palestinesi un cambiamento è possibile. Anche grazie al contributo della Cooperazione italiana. Reportage

La cucina con la porta sulla valle del Giordano è uno scrigno di spezie. Sana Salawta, madre della piccolina che fa la terza e le gira attorno, sta preparando il “kibbeh”. “Sono piccoli ripieni di carne macinata e cipolle” ci spiega: “Adesso li friggiamo insieme”. Il marito versa acqua nell’impasto di grano spezzato e osserva in silenzio. L’impresa di famiglia si chiama “Rashet maleh e sukar”, che in arabo vuol dire “un pizzico di sale e zucchero”. La cucina è tutt’attorno a un grande tavolo, il forno accanto e alle pareti pentole, zuppiere e quel che serve: è stata costruita grazie a una donazione di 8mila shekel, circa 2mila euro, prevista da un programma di sostegno all’imprenditoria femminile denominato “We Change”. “Vuol dire ‘noi cambiamo’” spiega Fadi Arouri, dell’organizzazione non governativa italiana WeWorld Gvc: “L’idea è fare un passo in più, andando oltre l’aiuto umanitario di emergenza, creando opportunità e ponendo basi per un percorso di sviluppo”.

Sana Salawta mentre prepara i “kibbeh”, piccoli ripieni di carne macinata e cipolle. © Albert Saleh / Aics Gerusalemme

Sana Salawta mentre prepara i “kibbeh”, piccoli ripieni di carne macinata e cipolle. © Albert Saleh / Aics Gerusalemme

 

I “kibbeh”, piccoli ripieni di carne macinata e cipolle. © Albert Saleh / Aics Gerusalemme

I “kibbeh”. © Albert Saleh / Aics Gerusalemme

Orti sulle colline

Siamo a Bardala, orti sulle colline che digradano verso la valle del Giordano. Da un punto di vista amministrativo è zona “C” della Cisgiordania: un territorio parte del futuro Stato di Palestina ma dove, a 20 anni dagli Accordi di Oslo, Israele gestisce ancora sia la sicurezza sia le autorizzazioni per gli interventi di valore economico-sociale. Non solo. In Cisgiordania aumentano gli insediamenti dei coloni, secondo l’Onu ormai oltre 475mila persone senza contare Gerusalemme est, spesso protette dall’esercito israeliano in zone contigue a villaggi e comunità palestinesi.

Colline che digradano verso la valle del Giordano

La vista da Bardala, sulle colline della Cisgiordanaia che digradano verso la valle del Giordano. © Albert Saleh / Aics Gerusalemme

Yogurt al formaggio e olio d’oliva

Ma dimentichiamo per un attimo la politica. A nord del mar Morto e di Gerico, superati uliveti e piantagioni di palme da dattero, nei villaggi palestinesi le difficoltà sono più d’una. Lo racconta Maleqa Foqha, apicoltrice, che con il marito è a capo di una famiglia di otto persone. Ci accoglie con un vassoio colmo di melanzane, pomodori e pita, il pane mediorientale, da inzuppare in yogurt al formaggio e olio d’oliva. “Avevamo già svolto quest’attività e sapevamo come fare ma per via di una serie di difficoltà economiche non avremmo potuto ricominciare senza le risorse necessarie all’acquisto delle gabbie e delle api” spiega Maleqa. “Ora vendiamo a clienti selezionati, nella città di Tubas ma anche più lontano, a Ramallah e Nablus: prenotano il miele con mesi di anticipo”.

L’apicoltore Maleqa Foqha. © Albert Saleh / Aics Gerusalemme

 

Un vassoio con pomodoro, melanzane, olio, olive e pita. © Albert Saleh / Aics Gerusalemme

Piccole imprenditrici crescono

Nel caso di Maleqa il contributo è stato equivalente a 5mila euro, ma il punto non è solo l’ammontare dell’assegno. Lo conferma Kifaya Frehat, una donna di 55 anni, mostrando un cesto di saponi realizzati con olio d’oliva a freddo. “Oltre a ricevere la donazione ho potuto partecipare a un corso di formazione intensivo di due settimane” racconta: “Mi hanno insegnato come prevedere costi e ricavi e a pubblicizzare i prodotti attraverso pagine dedicate sui social network”.

Saponi

I saponi all’olio d’oliva. © Albert Saleh / Aics Gerusalemme

Il contributo della Cooperazione italiana

Le lezioni sono state organizzate da un’ong palestinese che si chiama Business Women Forum e che è partner di WeWorld Gvc e dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (Aics). Grazie a questa alleanza, nell’area di Tubas, in particolare nei villaggi di Ein Bida, Kardala e Bardala, sono state fatte donazioni per permettere a piccole imprenditrici di realizzare progetti di valore sociale. Tra gli interventi con fondi di Aics a beneficio della comunità c’è poi un bacino idrico, che dà acqua potabile e alimenta un sistema di irrigazione indispensabile per le coltivazioni e i consumi di decine di famiglie. Secondo Mohammed Foqha, animatore di una cooperativa locale, l’amministrazione israeliana autorizza infatti al massimo cinque metri di cubi di acqua all’ora, troppo poco per le palme e gli orti. È proprio Mohammed a guidarci in un uliveto al confine di una zona recintata qualche tempo fa, dopo l’arrivo dei coloni. “Gli interventi di ripristino dei suoli”, dice, “mi hanno permesso di produrre solo lo scorso anno 450 chilogrammi di olio, moltiplicando i guadagni fino a 9.500 shekel”.

Il progetto Turbo

Mohammed è uno dei beneficiari del progetto “Turbo”, un acronimo che richiama opportunità di impresa e innovazione rurale nella regione di Tubas. Nei giorni di raccolta, nel suo uliveto lavorano anche 30 persone. E i risultati, sostiene Mohammed, incoraggiano i vicini affinché coltivino i propri terreni: “Se ciò non avviene per tre anni consecutivi per i funzionari israeliani sono di fatto abbandonati e dunque rischiano di essere confiscati”.

Energia per restare

Più a valle incontriamo Abdel Akim, un contadino sulla cinquantina. È arrivato a Ein Bida ai tempi della guerra del 1967, quando Israele occupò Gerusalemme est e la Cisgiordania. Non parla di politica ma sottolinea di amare la sua terra e di non avere alcuna intenzione di andarsene di nuovo. Orgoglioso, ci mostra pannelli solari installati per la sua e per altre sette famiglie di coltivatori grazie al supporto della Cooperazione italiana. “Fanno funzionare l’autopompa permettendoci di risparmiare diesel per circa 300 shekel al giorno” spiega Abdel allargando il volto in un sorriso. “Abbiamo risorse in più da investire e poi, guarda qui: che peperoni e che melanzane”.

Biografia
Vincenzo Giardina
Nato a Padova, laureato in storia contemporanea, è un giornalista professionista. Coordina il notiziario internazionale dell’agenzia di stampa Dire. Tra le sue collaborazioni Il Venerdì di Repubblica, Internazionale, l’Espresso e Nigrizia. Già redattore dell’agenzia di stampa missionaria Misna, si è specializzato sull’Africa e sui temi dei diritti umani e della lotta contro le disuguaglianze. Scrive su Oltremare, magazine dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo, e interviene come esperto o inviato su Radio Rai, Radio Vaticana e altre emittenti. Suoi articoli e reportage sono pubblicati anche da La Stampa e Vanity Fair. Parla più lingue, tra le quali il russo.
www.vincenzogiardina.org
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