
La direttrice di UNAIDS Winnie Byanyima: “Attenti, rischiamo il contagio”
Le conseguenze dei tagli all’assistenza internazionale decisi dagli Stati Uniti e il mondo che sarà. L’intervista a Winnie Byanyima, direttrice esecutiva dell’Agenzia dell’Onu per la lotta contro l’Aids (Unaids).
Migliaia di operatori sanitari sono stati licenziati in Paesi ancora vulnerabili, come Etiopia, Camerun o Kenya. E milioni di pazienti restano ora abbandonati a se stessi, a rischio della vita. È anche una questione di promesse tradite: come quella di archiviare l’Aids come minaccia alla salute pubblica entro il 2030. Perché con i tagli all’assistenza internazionale degli Stati Uniti decisi dal presidente Donald Trump solo tra il 2025 e il 2029 si prevedono quasi nove milioni di nuove infezioni in più. Numeri e allarmi condivisi in un’intervista con Winnie Byanyima, direttrice esecutiva dell’Agenzia dell’Onu per la lotta contro l’Aids (Unaids). Ex guerrigliera, ingegnere aeronautico e femminista, questa dirigente ugandese parla di Africa e non solo.
“L’effetto della sospensione dei finanziamenti all’estero voluta da Trump sta avendo un effetto devastante” la sua denuncia. “Ci sono Paesi, come Tanzania, Costa d’Avorio o Haiti, che dipendono dal supporto americano per il 90 per cento; altri, come Zambia o Nigeria, per l’80; e altri dieci, tra i quali il mio, l’Uganda, in misura compresa tra il 51 e il 70”. Non è bastata una moratoria introdotta alcune settimane fa dal dipartimento di Stato: “Riguarda solo i test e i trattamenti per le donne incinte e in allattamento”, sottolinea la direttrice, “mentre i servizi di prevenzione per le ragazze e nelle comunità marginalizzate non sono coperti, pur essendo di fatto salvavita”.
E cosa può fare l’Europa? “Dovrebbe avere un ruolo, anche con fondazioni e privati, anche se non sarebbe comunque in grado di compensare un ammanco che vale il 70 per cento del totale dei fondi” risponde Byanyima. “Noto piuttosto che ci sono Paesi, tra i più fragili al mondo, che ce la stanno mettendo tutta: ad esempio il Malawi, che sta trasferendo nelle strutture statali i pazienti dei centri che sono stati chiusi, o il Camerun, dove agli operatori pubblici è stato chiesto di sostituirsi ai 2mila sanitari che hanno perso il lavoro per i tagli americani”.
Alla cancellazione di circa 10mila linee di finanziamento, spina dorsale dell’assistenza americana all’estero, negli Stati Uniti si sono accompagnati ricorsi in tribunale e parziali nuovi via libera, in particolare per progetti ritenuti salvavita. “È fondamentale impedire che nascano ancora bambini con il virus dell’Hiv” sottolinea Byanyima: “Se non fossero in cura, uno su due morirebbe prima di compiere i due anni e addirittura l’80 prima dei cinque anni”. Ci sono però interventi non più finanziati. “Penso ai servizi di prevenzione per le giovani donne e le ragazze nelle comunità marginalizzate, che pure sono interventi salvavita” denuncia la direttrice. “I tagli in questo settore porteranno a un incremento delle infezioni: stimiamo che, se i finanziamenti americani non saranno rimpiazzati da altri contributi, entro il 2029 i casi di contagio aggiuntivi possano essere otto milioni e 700mila”.
Tra i Paesi più esposti ai fondi americani c’è l’Etiopia, con oltre 120 milioni di abitanti il secondo Paese più popoloso dell’Africa. “A livello nazionale gli Stati Uniti garantiscono il 53 per cento dei contributi per la lotta contro l’Aids” evidenzia Byanyima. “Secondo le nostre stime, nel 2023 su oltre 610mila persone sieropositive circa 510mila avevano accesso ai farmaci antiretrovirali”. La situazione è difficile anche in Sudafrica. Nel Paese si calcola che le persone sieropositive siano quasi otto milioni. E il 27 febbraio scorso all’Anova Health Institute di Johannesburg e alle altre organizzazioni locali impegnate nella lotta contro l’Aids è stato notificato lo stop delle sovvenzioni fino ad allora erogate attraverso Usaid, l’Agenzia degli Stati Uniti per lo sviluppo internazionale, e un programma specifico denominato Pepfar. Secondo il quotidiano “Financial Times”, solo per l’anno in corso erano previsti finanziamenti per 440 milioni di dollari. Ogni mese, si legge sul giornale, lo stop significherà che quasi 230 neonati nasceranno con l’Hiv perché le madri avranno perso l’accesso ai farmaci antiretrovirali.
I provvedimenti di Washington, già contestati in sede giudiziaria da parte di chi si è visto sospendere pagamenti per servizi già prestati, alimentano incertezza sul futuro. “La comunicazione tra i fornitori e i politici è spesso inadeguata e non chiara” denuncia Byanyima. “Ciò crea preoccupazione e ansia, mentre gli operatori sanitari e prestatori di servizi sono licenziati”. L’intervista è però anche occasione per un appello. “Questo deve essere il momento della solidarietà globale, da parte dei governi nazionali, delle fondazioni e del settore privato” sottolinea la direttrice: “Si facciano avanti, perché siano garantite le cure e salvate le vite”.
Vincenzo Giardina
Nato a Padova, laureato in storia contemporanea, è un giornalista professionista. Coordina il notiziario internazionale dell’agenzia di stampa Dire. Tra le sue collaborazioni Il Venerdì di Repubblica, Internazionale, l’Espresso e Nigrizia. Già redattore dell’agenzia di stampa missionaria Misna, si è specializzato sull’Africa e sui temi dei diritti umani e della lotta contro le disuguaglianze. Scrive su Oltremare, magazine dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo, e interviene come esperto o inviato su Radio Rai, Radio Vaticana e altre emittenti. Suoi articoli e reportage sono pubblicati anche da La Stampa e Vanity Fair. Parla più lingue, tra le quali il russo.
www.vincenzogiardina.org
