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Alla fame zero mancano 124 milioni (con donne e bambini)

Dal 2000 sono stati ottenuti progressi ma nel mondo ci sono ancora 51 Paesi dove la situazione è “allarmante”. I numeri dell’emergenza nell’Indice globale della fame.

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Solo 29 su 79 ce la fanno. La stima riguarda i Paesi colpiti da insicurezza alimentare ma con le carte in regola per raggiungere l’obiettivo Fame zero fissato dalle Nazioni Unite per il 2030. Numeri, prospettive e problemi da affrontare e risolvere. Evidenziati nell’Indice globale della fame 2018, presentato a Milano da Cesvi con un focus sull’impatto delle migrazioni forzate.

Secondo lo studio, sono ancora 51 i Paesi dove la situazione è “grave e allarmante”. A livello globale, circa 124 milioni di persone soffrono di fame acuta, mentre 151 milioni di bambini sono affetti da arresto della crescita e 51 milioni da deperimento. I campi profughi più popolati al mondo, dove si cerca riparo chi scappa dai conflitti in Afghanistan, Myanmar, Somalia, Sud Sudan e Siria, ospitano molti più migranti forzati di quanti non ne arrivino in Europa. Il loro numero è comunque in aumento e la fame è allo stesso tempo causa e conseguenza dello sfollamento: migrazione forzata ed emergenza alimentare sono problemi correlati che colpiscono le regioni più povere del mondo e dilaniate dalla guerra.

Le criticità maggiori si concentrano in Asia meridionale e Africa subsahariana. In queste aree si registrano i tassi di denutrizione più alti e le emergenze più gravi in fatto di arresto della crescita, deperimento e mortalità infantile. A sud del Sahara è riscontrato un tasso di denutrizione del 22%, sul quale incidono condizioni climatiche avverse, instabilità politica e conflitti prolungati. Particolarmente colpiti Zimbabwe (46,6%) e Somalia (50,6%). Sempre a sud del Sahara si trovano i Paesi con il più alto tasso di mortalità infantile sotto i cinque anni: l’allarme riguarda ancora la Somalia (13,3%), ma anche il Ciad (12,7%) e la Repubblica Centrafricana (12,4%), l’unico Paese con livello di fame estremamente allarmante.

 

 

L’Indice evidenzia d’altra parte che dal 2000 fame e malnutrizione sono diminuite. Una dinamica, questa, che si sarebbe accompagnata a un miglioramento nella vita di milioni di persone. Angola, Etiopia e Ruanda, che nel 2000 avevano fatto registrare livelli di fame particolarmente allarmanti, hanno beneficiato di una riduzione dei punteggi di almeno il 50 per cento. Ventisette Paesi dell’Asia meridionale e dell’Africa subsahariana sono poi riusciti a raggiungere un livello di fame moderato: tra questi, Gabon, Ghana, Mauritius, Senegal, Sudafrica e Sri Lanka. Anche Bangladesh ed Etiopia, nonostante livelli ancora gravi, hanno visto nel tempo un declino di povertà e malnutrizione.

Nell’Indice sono definite quattro linee guida per affrontare gli effetti del nesso tra fame e migrazione forzata: sostenere politiche tese a evitare i conflitti e a costruire la pace a tutti i livelli, oltre a politiche che rafforzino l’affidabilità e la trasparenza dei governi, perché l’insicurezza alimentare è spesso effetto della loro incapacità di far fronte a disastri naturali; rispondere all’emergenza dei flussi migratori forzati con azioni umanitarie a lungo termine di contrasto all’insicurezza alimentare, promuovendo anche lo sviluppo delle comunità locali che ospitano gli sfollati; assistere le persone costrette a migrare e vittime di insicurezza alimentare nei Paesi di origine, perché queste tendono a raggiungere i Paesi limitrofi, anch’essi poveri e bisognosi di supporto; rafforzare la resilienza degli sfollati, sostenere i mercati locali e rafforzare i sistemi di sostentamento, rendendo così le persone più autosufficienti e indipendenti.

Per 13 Paesi non è stato possibile raccogliere dati completi a causa di conflitti armati o disordini politici. Sette di questi sono fonte di preoccupazione particolare per fame e malnutrizione: primo tra tutti la Somalia, dove la metà della popolazione soffre di denutrizione e il tasso di mortalità infantile è pari al 13,3%, uno dei più alti al mondo.

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