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Mohamed Hassan Mohamud, un rifugiato somalo a Davos

Fuggito dalla Somalia, vive in un campo keniano. Ma la notte sogna di andarsene. Così si è messo a studiare. Ha vinto una borsa in America ed è arrivato a Davos. Da co-presidente

 

Dal campo profughi di Kakuma al centro congressi di Davos. Per mettere in guardia i guru del capitalismo e della “globalizzazione 4.0” dal rischio di credere così tanto nella tecnologia da dimenticarsi delle persone. È la storia di un ventenne, nato in Somalia nel 1991, quando cadde il presidente Siad Barre e cominciò la guerra civile. Lui si chiama Mohamed Hassan Mohamud e nel campo profughi non è rimasto con le mani in mano. Ha cominciato a lavorare con la Federazione mondiale luterana, per la “peacebuilding unit”, un gruppo che monitora strategie e progetti con l’obiettivo di scongiurare contrasti e conflitti nei campi rifugiati. Sempre a Kakuma, nell’estremità nord-occidentale del Kenya, non lontano dai confini con l’Uganda e il Sud Sudan, Mohamed è stato eletto “presidente di zona”. È diventato una sorta di ambasciatore dei diritti dei profughi e si è iscritto ai corsi online della Regis University: dimostrandosi tanto in gamba da conquistarsi una borsa di studio per un altro ateneo americano, non meno prestigioso, quello di Princeton. Al Forum economico mondiale è arrivato così, con un invito forse inatteso, addirittura con la carica di co-presidente. Stralci del suo discorso sono stati rilanciati, anche in video, dall’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati (Unhcr). “I campi per i profughi non sono etici” ha detto. “Si mettono le persone in luoghi lontani da tutto, facendo finta che non esistano. Uccidono le persone e i loro spiriti. La domanda che mi tiene sveglio la notte è questa: trascorrerò i prossimi 20 anni nel campo? I miei fratelli e le mie sorelle resteranno lì?”. Interrogativi posti a una platea che aveva appena ascoltato Satya Nadella, l’amministratore delegato di Microsoft. Il tema del Forum era Globalizzazione 4.0: definire un’architettura globale nell’età della Quarta rivoluzione industriale. Secondo un resoconto di Mustafa Alrawi, pubblicato dal quotidiano The National e rilanciato in Italia dall’agenzia di stampa Dire, l’intervento di Mohamud, centrato sui diritti umani, è sembrato contraddire in parte quello di Nadella, orientato perlopiù sull’innovazione tecnologica. Di certo, il giovane co-presidente del Forum ha invitato non già i governi ma le società transnazionali private a fornire ai rifugiati gli strumenti e la formazione necessaria perché possano diventare protagonisti e offrire il loro contributo. “Non chiedo molto, chiedo solo opportunità eque” ha detto Mohamud. Sconcertato del fatto che “i capitali possono circolare nel mondo molto più facilmente rispetto a quanto accade con gli esseri umani”. E convinto che bisognerebbe considerare i rifugiati “persone vere”.

 

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