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Cooperare per l’ambiente

Negli ultimi anni, i progetti incentrati sulla protezione dell'ambiente in relazione allo sviluppo socio-economico e alla protezione dei diritti sono cresciuti in modo esponenziale. ONG italiane come Avsi, Oxfam, Cesvi, Amref stanno promuovendo un approccio integrato, nuove strategie finanziarie a lungo termine e narrazioni di comunicazione innovative.

La cooperazione ambientale è un filone della cooperazione internazionale che promuove la conservazione ambientale come motore di sviluppo culturale, sociale ed economico delle popolazioni beneficiarie. Negli ultimi anni sono cresciuti esponenzialmente i progetti che puntano sulla protezione ambientale correlata allo sviluppo socio-economico e alla tutela dei diritti, lavorando sull’uso sostenibile delle risorse naturali. Una crescita motivata: «la maggior parte delle problematiche ambientali sono di natura transfrontaliera e molte hanno una portata globale. Possono, quindi, essere affrontate in modo efficace soltanto attraverso la cooperazione internazionale», spiega Hans Bruyninckx, direttore dell’Agenzia Europea dell’Ambiente. Per Luca Maestripieri (nuovo direttore AICS) la crisi climatica è chiave. «L’agenda climatica deve essere integrata in tutta l’agenda di sviluppo sostenibile. Le tematiche ambientali, su cui è competente il Ministero dell’Ambiente, saranno sempre più inserite nei programmi operativi dell’Agenzia in un’ottica di complementarietà con tutti gli attori istituzionali», afferma il neo-direttore. Oltremare ha voluto, però, conoscere come le tante organizzazioni non governative italiane stanno affrontando la questione. Il risultato? Che in questi anni nessuno è rimasto ad aspettare. «Il tema clima sarà uno dei tre pilastri della nuova strategia di Oxfam che verrà lanciata nel 2020. Ma lavoriamo su questi temi da tantissimi anni», racconta Sorinel Ghetau, direttore Programma Oxfam Italia, ONG da sempre influente nel dibattito su climate change. «Clima e sanità sono elementi che vanno considerati insieme e per questo serve agire di conseguenza. Noi già lo facciamo da tempo», racconta Roberta Rughetti, Direttrice dei Programmi di Amref Health Africa – Italia. Secondo l’OMS il cambiamento climatico sarà infatti responsabile di un numero consistente di morti aggiuntive tra 2030 e 2050, circa 250 mila ogni anno, legate a malnutrizione, malaria, al diffondersi di malattie trasmissibili e allo stress da calore. «Organizzazioni come AVSI lavorano da decenni sui temi di sviluppo urbano, decarbonizzazione, educazione all’ambiente, resilienza agli shock. Oggi, però, stiamo iniziando ad avere una coerenza di linguaggio, dando il giusto risalto ai temi», spiega Alessandro Galimberti, focal point cambiamento climatico di AVSI. CESVI, sotto la guida del nuovo amministratore delegato, Daniele Barbone, ha posto il clima in primo piano. «Servono sempre più interventi di protezione e salvaguardia dell’ambiente che contengano interventi di valorizzazione economica». CESVI, ad esempio, ha sviluppato un progetto di coltura della noce amazzonica legandolo alla salvaguardia della foresta pluviale. «L’altro filone chiave è quello dell’economia circolare. Noi siamo presenti in Sudafrica per recuperare e valorizzare i rifiuti urbani di Capetown, creando così sviluppo. Inoltre abbiamo lanciato da poco la Fair Plastic Alliance, per trasformare la plastica a fine vita da rifiuto a risorsa economica».

Secondo vari intervistati per quest’articolo è fondamentale creare un legame sempre più stretto tra clima, ambiente e disuguaglianze, legando crisi umanitarie e sviluppo. Tanti Paesi che contribuiscono in maniera limitata alle emissioni di gas serra globali ne subiscono pesantemente le conseguenze dei cambiamenti climatici, come i Paesi dell’Africa subsahariana. «Nel corno d’Africa interveniamo sempre di più in crisi umanitarie legate alla crisi climatica», racconta Ghetau, illustrando le recenti missioni Oxfam in Etiopia e Mozambico. «Dobbiamo lavorare sull’Humanitarian Development Nexus (promosso dall’OCHA, nda), una strategia che mette insieme emergenza, sviluppo, resilienza. Ciò richiede una formazione e preparazione dei team ad hoc. Ma allo stesso tempo richiede policy specifiche che promuovano questo approccio. Così si risponde alla crisi già lavorando per mettere in sicurezza il territorio, non solo per contenere i danni». In questo modo si potrà operare affrontando gli impatti più disastrosi dei cambiamenti climatici e attivando anticorpi per casi futuri di siccità, tifoni, alluvioni, crisi idriche.

I progetti portati avanti sono molteplici, dalla riforestazione all’efficientamento energetico nelle aree urbane, dai progetti di micro assicurazioni (come l’interessante progetto 4R di Oxfam), alle stufe a basse emissioni, passando per l’agricoltura resiliente e le infrastrutture idriche e igienico-sanitarie, raggiungendo ambiti apparentemente lontani, come la pianificazione familiare. «Ridurre il carico di figli rende le donne attori chiave nel ridurre la vulnerabilità delle famiglie e delle comunità ai cambiamenti climatici», spiega Rughetti.

 

Cambia il clima, mutano i finanziamenti

Come si sono trasformati i progetti di cooperazione, così debbono cambiare anche le modalità e fonti di finanziamento. «Se vogliamo lavorare su tematiche climatiche, sulla resilienza sull’adattamento, data la complessità e i tempi lunghi, bisogna passare dal progetto al programma, con evidenti ricadute sulla raccolta fondi», spiega Sorinel Ghetau. «Per affrontare programmi di adattamento o mitigazione servono investimenti consistenti e continui. Lavorare su un arco di due-tre anni è insufficiente. Oggi si parla di programmi di medio-lungo periodo, anche dieci anni, per cui l’intervento pubblico non basta e serve allargare la piattaforma di donatori». Per Barboni «La nuova frontiera è mettere a sistema risorse pubbliche, private, istituzionali, nell’ottica del social impact. I progetti devono avere al loro interno dei razionali economici, che attirino investimenti terzi. Ma è una frontiera che in Italia manca». Gli interventi devono diventare olistici, spiega Roberta Rughetti. «Se mettiamo vari elementi di sviluppo insieme – clima, genere, diritti, sviluppo economico, sanità, è meglio non prevedere linee di finanziamento strettamente mono-argomento, troppo limitanti».

Cambiano così anche le professioni nella cooperazione. C’è una convergenza di professionalità che vengono dall’ambientalismo, dove esistono competenze scientifiche e di policy, e dal settore privato, dove è importante la visione imprenditoriale, ma senza dimenticare il ruolo degli esperti di cooperazione che, ribadiscono tutti, hanno le capacità di attivare territori e comunità e contenere la visione prettamente utilitaristica delle imprese. «La sfida del clima è la sfida del nostro secolo», ci tiene ad aggiungere Barbone. Questa sfida, richiede le migliori competenze da tutti i settori, senza barriere».

 

Raccontare la sfida planetaria

Creare consapevolezza sui problemi ambientali è centrale, e dunque le ONG stanno sperimentando nuovi modi di comunicazione. «Comunicare correttamente serve a valorizzare i progetti», spiega Alessandro Galimberti. «Parlare di crisi climatica, ambiente e sviluppo non serve solo ad avvicinare le persone, ma può servire anche per raggiungere i donatori e per rafforzare la posizione del Paese alle conferenze internazionali, agevolando il conteggio degli impegni di mitigazione e adattamento per accordi quadro, come quello di Parigi».
Altrettanto importante è, però, fare informazione verso i cittadini. Se i progetti raggiungono nuovi livelli di complessità diviene anche più difficile spiegarli e tradurli al pubblico e ai donors. Storytelling, collaborazioni con il mondo del giornalismo, innovazione nei linguaggi, sono tante le soluzioni intraprese. «La sfida per tutti è comunicare i temi in modo innovativo», spiega Daniele Barbone. Ad esempio, legato ai nostri progetti nella foresta amazzonica, CESVI ha lanciato il progetto Run 4 Amazonas, una corsa tra la foresta amazzonica, che è servita per avvicinare il mondo dello sport a temi ambientali e di sviluppo, sfruttando un canale inusuale e una forma di comunicazione alternativa». Sensibilizzare è fondamentale. «I comportamenti di ciascuno a livello globale influenzano il tutto. Amref ha lanciato ad esempio una petizione sull’’accesso all’acqua e risorse idriche, una delle principali cause di conflitto in Africa», aggiunge Rughetti. Ognuno deve fare la sua parte in questa grande sfida globale per garantire un futuro alle generazioni che verranno, in qualsiasi angolo del pianeta.

 

Foto Credit: OXFAM

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