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pesci nell'oceano

Oceani, la nuova sfida per la cooperazione  

L'8 giugno è la giornata mondiale per gli oceani: mappatura e pianificazione dei mari, ricerca ecologica e cooperazione ambientale fondamentali per conservare un serbatoio alimentare fondamentale

Fino al 2030 il mondo della cooperazione internazionale, della scienza, dell’economia e della società civile è chiamato per dare priorità agli ecosistemi dell’oceano. La Commissione Oceanografica Intergovernativa dell’Unesco (Ioc-Unesco) ha ideato il Decennio per tutelare gli oceani e rivoluzionare l’uso delle scienze oceaniche in linea con l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile. E come ogni anno l’8 giugno si celebra la giornata mondiale degli oceani.

Le motivazioni di tutta questa attenzione al mondo blu non mancano. D’altronde il nostro pianeta vive sulla terraferma solo grazie al mondo marino: la metà dell’ossigeno che consumiamo viene dal mare, il 90% della biosfera è negli oceani che ricoprono per più di due terzi la superficie terrestre. Sono l’ultimo baluardo contro il cambiamento climatico date che da soli assorbono la metà della CO2 e trattengono una quota di calore.

Ma nonostante la centralità dei mari nelle nostre vite rimane uno spazio geografico poco conosciuto: solo il 5% del fondo oceanico è stato esplorato e solo il 7% viene custodito grazie alle riserve e alle aree marine protette. Senza una chiara conoscenza geografica, biologica, ecologica degli oceani non possiamo agire per tutelare e monitorare questa immensa risorsa che solo al livello economico rappresenta più del 5% del Prodotto interno lordo (Pil) il globale ma il cui valore ecosistemico è incalcolabile.

Sono numerose le sfide che il mondo della cooperazione allo sviluppo, delle organizzazioni intergovernative e della diplomazia ambientale hanno davanti. Innanzitutto la questione alimentare dato che un miliardo e 200 milioni di persone vivono utilizzando esclusivamente le risorse marine. Pesca e acquacoltura danno reddito a più di 58 milioni di lavoratori in tutto il mondo e contribuiscono per un terzo al fabbisogno proteico della nostra dieta. “Ma il vero tema è che l’oceano giocherà un ruolo chiave per garantire la sicurezza alimentare globale quando il pianeta a metà secolo raggiungerà il picco di popolazione oltre i 9 miliardi”, illustrano in un editoriale su Materia Rinnovabile Franco Fassio, professore dell’Università di Scienze Gastronomiche e Silvestro Greco, vicepresidente della Stazione Zoologica Anton Dohrn. “Secondo dati Fao (agenzia Onu per l’alimentazione e l’agricoltura, Ndr), infatti, nel 2030 il consumo pro capite di pesce salirà a 21,5 chilogrammi rendendo necessaria una riflessione sull’utilizzo di questa risorsa in chiave circolare e rigenerativa».

Una strategia di tutela ambientale

Molti dei problemi del mare vengono dalla terra. Dall’utilizzo dei pesticidi in agricoltura alla dispersione della plastica nell’ambiente, spesso gli impatti delle attività terrestri sono più devastanti di quelle marine: sversamenti illeciti, overfishing e pesca illegale. Basti pesare alle ripercussioni pesantissime del cambiamento climatico che vedono una deossigenazione dell’acqua, aumento della temperatura ed acidificazione, con impatti imprevedibili sulle specie marine (incluse quelle pescate) e sugli ecosistemi. Per la diplomazia ambientale la crescente inclusione del tema oceani nei negoziati per l’implementazione dell’Accordo di Parigi, l’High Seas Treaty e la firma del Accordo di Montreal-Kunming sulla biodiversità vede porre una crescente attenzione su strategie di sviluppo umano ed economico finalizzate a trovare soluzioni durature per la tutela dei mari. Per questo nei piani futuri dei progetti di sviluppo bi- e multilaterali la tematica della tutela della biodiversità (come dimostrano i progetti Aics).

Per agevolare i progetti marini Unesco e la Commissione europea hanno lanciato una tabella di marcia per lo sviluppo di una pianificazione dello spazio marittimo ‘intelligente’ dal punto di vista climatico. Spiega Roberto Danovaro, professore ordinario di Biologia marina ed Ecologia dell’Università Politecnica delle Marche: “A terra conosciamo la collocazione delle aree geografiche. Sappiamo dove sono situate una foresta, una pianura, una montagna, e quindi sappiamo dove andare a sciare o dove sviluppare l’agricoltura, per esempio. Nell’oceano invece no, perché ha una dimensione tridimensionale che non riusciamo a esplorare con i satelliti e che non abbiamo ancora finito di cartografare. Conosciamo solo la profondità approssimativa di circa un terzo dell’oceano. Fino a pochi anni fa neanche conoscevamo la topografia subacquea di tutto il Mediterraneo”.

Investire sia in studi di batimetria che nella ricerca su habitat e ecologia marina permette di capire vulnerabilità e potenzialità, differenziando chiaramente tra aree di estrazione, pesca, rotta commerciale, turismo, protezione. Sempre secondo Danovaro poi serve lavorare per ridurre i livelli di inquinamento, sulla terraferma, soprattutto per ridurre le molecole disciolte di nuovi inquinanti. “Il primo motivo è che plastica, metalli pesanti e composti cancerogeni entrano nella carne di pesce e nelle cozze e noi ce li mangiamo. Quindi abbiamo un problema One Health: come l’aria inquinata ci ruba tre anni di vita media, il pesce inquinato potrebbe fare altrettanto. Il secondo motivo si lega ai cambiamenti climatici e alla crisi idrica: quando avremo bisogno di acqua andremo a desalinizzare quella del mare, ma se l’acqua che resta è piena di contaminanti, berremo e irrigheremo con acqua contaminata. Molti pensano che l’inquinamento del mare non ci riguardi direttamente, invece ci riguarda da vicino”.

Biografia
Emanuele Bompan
Giornalista ambientale e geografo. Si occupa di economia circolare, cambiamenti climatici, green-economy, politica americana. E’ Direttore della rivista Materia Rinnovabile, collabora con testate come La Stampa, Nuova Ecologia e Oltremare. Ha scritto l’Atlante geopolitico dell’Acqua (2019),Water Grabbing – le guerre nascoste per l’acqua nel XXI secolo (2018) “Che cosa è l’economia circolare” (2017). Ha vinto per quattro volte l’European Journalism Center IDR Grant, una volta la Middlebury Environmental Journalism Fellowship, una volta la Google DNI Initiative ed è stato nominato Giornalista per la Terra nel 2015.
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