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Volatilità e ricchezza ‘ridistribuita’, il turismo in Africa e la sfida della sicurezza

Storia di un comparto che sta dando molto al continente ma che deve fare i conti con le sacche di instabilità ancora presenti in diverse zone

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Nonostante le crisi internazionali, le aree di insicurezza e un tam tam mediatico e social che amplifica alcune criticità del continente, il turismo in Africa cresce e crescono le opportunità anche per le economie dei Paesi in via di sviluppo. In termini generali, secondo i dati diffusi lo scorso giugno nell’ultimo World Tourism Barometer – la pubblicazione dell’Organizzazione mondiale del turismo (Unwto) che tiene il polso del mercato – i flussi turistici in Africa sono cresciuti del 6% nei primi quattro mesi del 2018, dando continuità a un trend che già lo scorso anno era forte e che anzi aveva visto l’Africa primeggiare (con un +9% finale).

In questo primo scorcio dell’anno, l’Africa risulta la terza regione del mondo per ritmi di crescita dopo Asia-Pacifico (+8%) ed Europa (+7%). Per numero di presenze, sia l’Africa subsahariana che l’Africa del nord sono però molto lontane dai movimenti che il resto del mondo riesce a generare. Tornando al 2017 (elaborazione ancora Unwto su dati del Fondo monetario internazionale), il continente africano nel suo complesso ha attratto il 4,8% dei turisti globali, che lo scorso anno sono stati un miliardo e 323 milioni; a scegliere destinazioni africane sono state 63 milioni di persone ripartite in 41,3 milioni per la regione subsahariana e in 21,7 milioni per la zona nord del continente. Nella classificazione dell’Unwto a fare peggio è stato soltanto il Medio Oriente, che ha rappresentato una destinazione turistica per il 4,4% del totale globale.
La lettura dei dati deve quindi tener conto di questi due piani: da una parte i trend di crescita che vedono l’Africa ai primi posti, dall’altra parte i valori assoluti che invece relegano l’Africa in coda alla classifica.

 

 

Quella che è cambiata è la geografia degli arrivi, in particolare a partire dal 2011 ovvero dalla stagione delle cosiddette Primavere arabe e dalla reazione a catena determinata dal conflitto in Libia con ripercussioni immediate su alcuni Paesi in cui il turismo era una delle prime voci dell’economia.
È questo, per esempio, il caso del Mali, Paese che nel giro di pochi anni è passato da fragile modello di democrazia continentale (come veniva presentato almeno per il primo decennio di questo secolo) a esempio lampante di contraddizioni che hanno fatto la storia recente del continente: dopo la guerra in Libia, si assiste infatti al rientro di uomini armati che fino ad allora avevano ingrossato le fila dell’esercito di Muammar Gheddafi, alla spaccatura del Paese con il nord poi passato sotto il controllo di gruppi estremisti, a pronunciamenti militari e all’intervento della comunità internazionale.

“Per il Mali il turismo rappresentava la terza risorsa nazionale dopo l’oro e il cotone, con un contributo molto importante in termini di rimesse e posti di lavoro, ma oggi purtroppo non è più così” racconta Leonardo Francesco Paoluzzi, fondatore e amministratore di Kanaga, tour operator italiano che nonostante tutto ha mantenuto i suoi uffici a Bamako. “Siamo tra i pochi rimasti a Bamako – aggiunge – ma di fatto abbiamo esteso le nostre attività in altri Paesi e se prima del 2011 il Mali rappresentava il 95% delle nostre attività oggi non conta più dell’1% anche perché il clima di sicurezza, nonostante l’intervento della comunità internazionale, in realtà è andato progressivamente peggiorando toccando il culmine lo scorso febbraio con la chiusura delle ultime località di interesse turistico. Se a Timbuktú non si poteva più andare dal 2012, anche Djenné e altre città sono considerate poco sicure per il turismo”.

 

 

Traducendo questa situazione in numeri si ha la drammaticità del quadro e delle conseguenze per l’economia: secondo stime correnti, fino al 2011 in Mali operavano 500 imprese turistiche (anche se di queste 300 erano irregolari); oggi sono 12 le imprese turistiche regolari, ma solo tre lavorano ancora e una di queste è Kanaga. Se poi, come dice lo stesso Paoluzzi, si considera che una comitiva di 16 turisti occidentali consentiva di creare un stipendio dignitoso per 50/60 famiglie maliane si ha la misura dell’impatto che il crollo del turismo ha avuto sulla popolazione locale.
Su questa volatilità del turismo come risorsa economica – evidente negli ultimi anni in tutti quei Paesi attraversati da crisi come la Tunisia e l’Egitto – si sofferma Alfredo Luis Somoza, presidente dell’Istituto cooperazione economica internazionale (Icei) di Milano, tra i primi ad interessarsi di turismo responsabile tanto da essere stato tra i fondatori e primo presidente dell’Associazione italiana turismo responsabile (Aitr): “Nei nostri progetti condotti in collaborazione anche con l’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo partiamo dall’assunto che il turismo è una risorsa molto volatile e per questo motivo non conduciamo mai progetti di sostituzione ma progetti complementari. È evidente allo stesso tempo come il turismo sia una risorsa ridistributiva, in grado cioè di ridistribuire all’interno di una comunità una serie di vantaggi economici ma anche elementi di miglioramento infrastrutturali: realizzare servizi per i turisti come la raccolta dei rifiuti o la costruzione di un acquedotto diventa infatti una ricchezza che resta poi a disposizione del territorio”.

Volatilità e ricchezza ‘ridistribuita’ sono dunque elementi che contraddistinguono in genere il turismo, in particolare quello dell’Africa, anche al netto degli interessi delle grandi catene alberghiere, delle grandi società di servizi e delle stesse compagnie aeree che stanno assistendo a una crescita della domanda di voli per le destinazioni africane (con alcuni scali che hanno fatto segnare aumenti a tripla cifra).

E in Africa, poi, è cambiato rispetto ad alcuni anni fa anche il modo di fare turismo sulla base di diversi fattori: oltre agli equilibri socio-politici che, come si è detto, influenzano la scelta delle destinazioni, è aumentato l’impatto della nuova era digitale sull’approccio al ‘prodotto’, sulla modalità di fruizione, sul tipo di consulenza richiesto, ed è aumentata anche l’attenzione alle tematiche di sostenibilità e alla ricerca di esperienze autentiche ed emozionanti. “In un mondo sempre più omologato e urbanizzato per effetto della globalizzazione, dove spesso siamo travolti dai ritmi vorticosi che caratterizzano l’era digitale – sottolinea Maurizio Levi, fondatore de ‘I viaggi di Maurizio Levi’, tour operator esperto di deserti e specializzato in viaggi con un contenuto culturale ampio – sta crescendo il desiderio di ridare valore al nostro tempo e di vivere esperienze autentiche di conoscenza delle diversità culturali e di contatto con la natura, da riscoprire a passo d’uomo”.