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A Mogadiscio una mostra riapre il Libro della Storia

Inaugurata in città l’esposizione frutto del lavoro comune di studiosi italiani e somali. Ecco le voci per una nuova Mogadiscio che si riappropri del suo patrimonio.

Mogadiscio e la sua evoluzione storico-urbanistica: pagine di storia della città è il titolo di una mostra, con la ricostruzione di quartieri e luoghi storici com’erano prima della guerra civile, inaugurata nei giorni scorsi nella capitale africana sulla base di una collaborazione tra studiosi somali e italiani.

Di “grande commozione” dopo aver partecipato alla cerimonia ha detto il viceministro degli Esteri e della cooperazione internazionale Emanuela Claudia Del Re: “Ho inaugurato la mostra, la prima dopo tantissimi anni, in una città semi-distrutta, in una situazione di sicurezza molto complessa”. E il segno dell’esposizione, organizzata dall’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (Aics), rappresentata dal direttore della sede locale Guglielmo Giordano, è anzitutto la condivisione di intenti e competenze scientifiche. A pannelli, testi e ricostruzioni hanno lavorato le curatrici Maria Spina e Gabriella Restaino con esperti sia italiani sia somali. Tra questi il deputato Khalid Maou Abdulkadir, l’ingegnere Nuredin Hagi Scikei e i professori Lucio Carbonara, della Sapienza di Roma, e Piergiorgio Massaretti, dell’Università di Bologna.

Ma cosa resta oggi, dopo il conflitto civile divampato nel 1991, della vecchia Mogadiscio? “La maggior parte di ciò che aveva un’importanza storica è stato distrutto oppure, come nel caso dei manoscritti privati e delle collezioni del Museo nazionale, è stato trafugato e rivenduto all’estero” risponde a Oltremare Hagi Scikei. “Mogadiscio aveva due quartieri storici, Shingaani e Hamarweyne, dove era concentrata la quasi totalità di costruzioni medievali e del periodo italiano. Shingaani è stata rasa al suolo durante la guerra, mentre buona parte delle costruzioni di Hamarweyne si sono miracolosamente salvate”. Secondo l’esperto, “ora che i profughi stanno rientrando e la capitale è in piena ricostruzione stanno nascendo altri problemi come quello degli speculatori che vorrebbero impadronirsi di Shingaani e di qualsiasi altra ‘area non costruita’, come per esempio i giardini, che ormai non esistono più a Mogadiscio”.

 

 

La mostra è stata inaugurata da Del Re, insieme con l’ambasciatore Carlo Campanile e il sindaco locale Abdirahman Osman Yarisow. Secondo fonti dell’agenzia di stampa Dire a Mogadiscio, “la mostra è stata un grande successo di pubblico” e la speranza è che contribuisca a “sensibilizzare chiunque sia in grado di fare qualcosa per il patrimonio storico della città” dopo le devastazioni del conflitto. Proprio per garantire la massima diffusione dei contenuti e coinvolgere il più possibile pubblico e giovani locali, tutti i pannelli sono stati tradotti in somalo.

E l’Italia cosa potrà fare ancora? “In passato fece gravi errori”, evidenzia Hagi Scikei, “come quando dette l’avvio a progetti edilizi in uno dei cimiteri medievali più antichi dell’Africa, che è poi quello dove sorge l’attuale villa presidenziale”. Nell’area c’erano lapidi medievali con date, nomi di persone e di città: era un libro aperto sui secoli di storia della Somalia. Interventi con conseguenze simili riguardarono il quartiere di Hamar Jab Jab. Nell’area dove fu costruita la sede dell’aviazione italiana c’erano quasi tre ettari di resti archeologici, che non furono protetti.

Quella di oggi, grazie alla collaborazione tra l’Università nazionale somala, l’Accademia delle arti e delle scienze di Mogadiscio, Roma Tre, La Sapienza, l’Università di Bologna, il Politecnico di Torino, l’Università di Camerino e il Politecnico di Milano, può essere un’altra storia. Secondo Hagi Scikei, “l’Italia ha interesse a salvaguardare il patrimonio storico di Mogadiscio perché fa parte dei suoi ricordi e delle sue attività in Somalia, che coprono un arco temporale di oltre mezzo secolo”. Quello dello studioso, però, è anche un appello: “Credo che un Paese di così antica e splendida civiltà, di provata capacità nel valorizzare il suo patrimonio culturale, debba sentire l’obbligo morale di aiutare la Somalia iniziando a creare un vero centro di ricerca per il recupero del passato e delle ricchezze di Mogadiscio”.

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