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“Toscana e Cooperazione. Da sviluppo locale a opportunità globale”. Conferenza regionale della Cooperazione a Firenze: una sfida ambiziosa che vede insieme Enti territoriali e AICS

Il titolo dell’intensa e fruttuosa conferenza organizzata, il 22 novembre scorso a Firenze, dalla Regione Toscana, il FAIT (Forum delle attività internazionali della Toscana) e l’AICS è anche il quadro entro cui si è sviluppata un’azione profonda, articolata, che ha visto protagonisti i territori, con gli Enti Locali, le associazioni della società civile, le ONG, nel campo della cooperazione internazionale e dell’inclusione. Con un fine dichiarato e, soprattutto, praticato: integrare e valorizzare le risorse per un mondo più equo, stabile ed economicamente sostenibile per tutti. Un fine ambizioso che le Regioni e gli Enti Locali condividono e sviluppano assieme all’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo, rappresentata alla conferenza di Firenze dal suo direttore Luca Maestripieri. Nelle tavole rotonde così come nei gruppi tematici di lavoro, si sono confrontati soggetti istituzionali e protagonisti della società civile organizzata; periferia e centro si sono “fusi” in una visione d’insieme che non fa della “periferia” il terminale operativo di una progettazione centralistica, ma protagonista essa stessa di visione e programmi condivisi. L’alta partecipazione registrata, la qualità degli interventi, lo spessore delle proposte emerse, un confronto serrato, che non ha nascosto problematicità e punti di vista diversi ma sempre in uno spirito costruttivo, fanno della giornata di Firenze non solo un evento riuscito ma anche un modello da replicare.

Oltremare ha intervistato alcuni dei protagonisti regionali:

 

Monica Barni, Vice Presidente della Regione Toscana

Qual è stato il segno di questo evento e quale bilancio la Regione Toscana trae del lavoro svolto nel campo della Cooperazione internazionale?

Barni: “La Regione Toscana è impegnata da sempre e continua ad esserlo anche se, purtroppo, con risorse molto minori rispetto al passato. Quello che però abbiamo cercato di fare in questi anni è costruire reti, collaborazioni e dare un senso di coerenza alle nostre azioni. In questo sforzo abbiamo trovato la collaborazione sia degli Enti Locali sia delle associazioni e delle ONG territoriali, ma anche delle piccole e medie imprese. Io sono convinta che solo se ci si muove tutti insieme, con scelte e obiettivi precisi si riescono a ottenere quelle ricadute che sono necessarie per la Cooperazione, evitando piccoli interventi frammentati e, soprattutto non duraturi, di singole istituzioni”.

Questi sono tempi di bilanci, oltre che d’impegni per il futuro. Se lei dovesse ricordare alcune esperienze significative che dimostrano che si possono cambiare le cose, quali citerebbe?

Barni: “Innanzitutto, quello che abbiamo fatto negli anni in Libano nel settore socio-sanitario. Ci siamo portati dietro le aziende e una grandissima esperienza per quel che concerne la medicina di base. E poi il progetto in Tunisia, anch’esso fondamentale. Anche lì, ci muoviamo tutti insieme: si muove la cooperazione, si muove la cooperazione sanitaria con un rapporto strettissimo con gli Enti Locali e territoriali per un vero processo di democratizzazione e di servizi per tutti i cittadini”.

Nella sua introduzione ai lavori della Conferenza, lei ha parlato anche della necessità di contrastare il “virus” di una narrazione distorta, improntata alla paura e all’insicurezza, per ciò che concerne la cooperazione internazionale e l’inclusione. Lei ritiene che l’opinione pubblica toscana abbia compreso i vostri sforzi?

Barni: “Io spero di sì. Quello che abbiamo cercato di fare è unire le politiche: la politica di cooperazione non può essere slegata dalle politiche sulla cittadinanza globale e da quelle sui diritti, sulle pari opportunità. Insomma, il tema dei diritti non può essere trattato in modo parcellizzato ma si deve svolgere in una visione complessiva”.

 


 

Marco Sechi, Regione Sardegna

Quali sfide ha affrontato la Regione Sardegna sui temi della cooperazione e dell’inclusione e quali sono le priorità per il prossimo futuro?

Sechi: “Le sfide sono state un po’ quelle comuni a tutti i territori regionali. Dopo un primo periodo in cui ci si è dedicati molto all’accoglienza adesso l’attenzione è rivolta verso la gestione dei centri d’accoglienza e le sfide per il futuro che riguardano soprattutto progetti di cooperazione in alcuni Paesi da cui provengono i maggiori flussi migratori che interessano la nostra Regione, come il Senegal, e anche a supporto di altri Paesi, come l’Uganda, nei quali in questo momento vi è un numero altissimo di profughi. La Regione Sardegna, già da due anni, ha deciso di sostenere le autorità locali. A questi progetti si sta lavorando, con azioni concrete. Questa è la nostra principale iniziativa nel campo della cooperazione internazionale”.

Nei lavori di questa Conferenza, le Regioni hanno rivendicato un loro protagonismo progettuale. Insomma, il ruolo di terminali territoriali di progetti elaborati dal centro, vi sta stretto.

Sechi: “Direi proprio di sì. Da anni rivendichiamo questo ruolo per il sistema regionale, ma non per togliere spazio o per andare contro qualcuno. A volte questa nostra rivendicazione viene fraintesa, anche se, da parte nostra, cerchiamo sempre di rendere più chiare le nostre posizioni. Noi riteniamo che il sistema regionale sia effettivamente un valore aggiunto per il sistema-Italia, nella misura in cui siamo messi nelle condizioni. di poter svolgere questo ruolo. Un ruolo di collante tra il livello centrale e quello locale. Molte iniziative in Italia – penso ad esempio al Forum delle diaspore – potrebbero funzionare ancora meglio di quanto sia già oggi, se le Regioni venissero messe in grado di poter svolgere le attività di coordinamento del proprio territorio. Noi abbiamo una conoscenza diretta e dunque siamo in grado di identificare i soggetti qualificati, di coinvolgerli, coordinarli e non ultimo di assicurare una sostenibilità futura delle iniziative che spesso non c’è. Le Regioni auspicano di poter svolgere concretamente questo ruolo anche se ci rendiamo conto che la strada da percorrere è ancora lunga”.

 


 

Giorgio Garelli, Regione Piemonte

La Regione Piemonte è all’avanguardia per quanto riguarda la cooperazione, il co-sviluppo e i processi di inclusione. Quali sono le sfide più importanti che avete affrontato e quali sono le priorità strategiche che vi ponete per il prossimo anno?

Garelli: “Noi abbiamo un’esperienza trentennale in cooperazione che ci aiuta ad inquadrare il processo e soprattutto ad essere consapevoli di quali possono essere i valori aggiunti che questo tipo di cooperazione può dare in termini di inclusione sociale, partecipazione e protagonismo delle realtà. Non è un caso che noi insistiamo sempre nell’ambito dei nostri progetti e di quelli che finanziamo ai nostri Comuni sul fatto che ciascuno possa partecipare nell’organizzazione e nella progettazione delle attività: le varie componenti della società civile ivi comprese i rappresentanti della diaspora, le imprese, gli altri attori della cooperazione in una logica di inclusione, in cui ciascuno porta la sua competenza, il suo contributo. Anche per la diaspora, ad esempio, ci muoviamo in una logica del portare la conoscenza del territorio dal quale le persone provengono per rafforzare il loro ruolo anche sul territorio ed essere maggiormente inclusi all’interno del processo, divenendo anzi loro stessi protagonisti del percorso che la comunità fa nella cooperazione decentrata. Su questo percorso insisto molto, e anche le imprese, in questo contesto, possono diventare un tassello importantissimo se incluse nella comunità. È la comunità, con tutte le sue competenze e con tutti i suoi attori, che si muove facendo cooperazione in un altro Paese. Questo è il senso di una cooperazione davvero inclusiva”.

In questa Conferenza, le Regioni hanno rivendicato con forza un ruolo di soggetti di progettazione, come costruttori anche di una visione.

Garelli: “Sono due aspetti importanti. Uno è quello della programmazione e non tanto della progettazione, perché io critico molto l’approccio per progetti perché è un approccio temporaneo mentre invece parlo sempre di programmazione come di costruzione di azioni che sono tra di loro coerenti per permettere a tutti gli altri attori in realtà di sviluppare dei progetti. È esattamente questo il ruolo che rivendichiamo: tocca a noi cercare di creare le condizioni perché tutti possano lavorare nella maniera migliore possibile e magari fare un passo indietro in termini di progettazione, nel senso che non spetta a noi essere protagonisti diretti dei progetti ma far sì che tutti gli altri possano lavorare nelle migliori condizioni possibili. In questa logica la programmazione ha un senso. Dall’altro punto di vista, dobbiamo insistere perché in tutto questo percorso, attraverso ad esempio le iniziative di educazione alla cittadinanza mondiale, sia la Regione con tutti gli attori pubblici ad occuparsi dell’educazione della propria comunità, e quindi ridiventare protagonista di questi processi in modo tale da dare un valore aggiunto reale integrandoli con quelli di cooperazione, ad una visione che la comunità deve avere, molto più aperta e più attenta a quelle che sono le sfide globali che ci sono oggi, che contemplano, allo stesso tempo, i nostri diritti ma anche quelli degli africani, degli altri europei e così via…”.

In tutti gli interventi che hanno caratterizzato questa Conferenza, è emersa la possibilità, praticata in un fare quotidiano, di coniugare idealità e concretezza. Lei nel suo intervento ha insistito su un punto cruciale: è anche una battaglia culturale, e non solo un problema di risorse, non è solo un problema di programmazione.

Garelli: “Assolutamente sì. Io sono sempre stato convinto che l’autorevolezza nel ruolo dei vari attori, dalla Regione al Comune, nasce dal riconoscimento del ruolo che gli viene accordato dalla comunità. Se la comunità non riconosce l’importanza del ruolo che dobbiamo svolgere in termini di cooperazione, è difficile che noi possiamo davvero convincere i nostri amministratori e i vari eletti a destinare risorse e fare programmi. In questo senso la battaglia è culturale, nel senso che avere una visione che guardi alla cooperazione come a uno strumento importantissimo per costruire quelle competenze indispensabili per avere una visione corretta delle sfide, anche quelle dell’Agenda 2030, in una logica che parta dalle esigenze dei nostri territori ma che tenga ben conto delle sfide e delle problematiche di un mondo sempre più globalizzato”.

 


 


Mirella Orlandi
, Regione Emilia Romagna

L’Emilia Romagna è una delle Regioni che più si è impegnata nella sfida, che non è solo sociale ma anche culturale, dell’inclusione e dell’arricchimento delle comunità territoriali. Quale bilancio può trarre da questa esperienza?

Orlandi: “Il bilancio è sicuramente positivo, perché abbiamo visto crescere molto la partecipazione attiva dei cittadini e delle comunità in generale e quella, di grande importanza, degli Enti Locali. Il lavoro che noi abbiamo fatto di condivisione delle politiche, di programmazione condivisa, insieme a un grande lavoro sulla trasparenza e l’accountability, ci ha portato a procedere con una digitalizzazione totale anche per quanto riguarda tutte le domande relative ai progetti di cooperazione. È tutto online, tutto molto trasparente e visibile. Questo lavoro che può essere complesso ci ha dato, però, un grande ritorno e abbiamo registrato un aumento costante sia nei tavoli di lavoro, sia nella progettazione partecipata e anche nella partecipazione ai bandi stessi, e un grande ritorno negli Enti Locali”.

Le Regioni in questa Conferenza hanno rivendicato un ruolo di progettazione e non solo di terminali esecutivi sui territori. È questa una sfida per il futuro?

Orlandi: “Sì, ed è molto importante. Secondo me dobbiamo dividere vari aspetti: innanzitutto non ci deve essere competizione né a livello territoriale né a livello nazionale. Io non mi sentirei mai di mettermi in competizione con un nostro Comune, anzi, bisogna essere in grado di fare massa critica e anche di tirarsi indietro. Faccio un esempio: nello scorso bando Osc dell’AICS del 2017, come Regione Emilia Romagna abbiamo ampiamente favorito la partecipazione dei nostri Enti Locali e abbiamo deciso di non partecipare noi in prima linea. Abbiamo mandato avanti alcuni nostri Enti Locali, e questo come una scelta che ha varie motivazioni, e che rappresenta anche un riconoscimento del valore del lavoro che certi Enti Locali stavano portando avanti. Anche tra le Regioni dovrebbe esserci meno competizione e più collaborazione, e quindi riuscire a fare delle cose insieme. Magari una volta in prima fila c’è una Regione e la volta dopo un’altra. Questo è un aspetto su cui dobbiamo lavorare di più. Ma la cosa più importante, quella su cui insistere con forza e unitarietà, è la centralità dei territori. Su questo mi sono confrontata più volte anche con funzionari della Commissione Europea. Come le Regioni e gli Enti Locali riescono a muovere il territorio, non è possibile farlo a livello nazionale, ma c’è assoluto bisogno di un impegno sovranazionale. In questo senso, ritengo che sia un ottimo strumento quello che l’AICS metterà in campo rispetto alle safeguarding, di cui nel suo intervento ha parlato il direttore Maestripieri, proprio perché, attraverso questo strumento, si potranno intercettare anche piccole associazioni o piccoli enti che non potrebbero mai accedere ad un bando AICS ed invece, in questo modo, possono rientrare all’interno di un percorso e diventarne parte attiva. Le faccio un esempio: noi attraverso questo progetto della Commissione Europea, come Regione, abbiamo fatto il safeguarding per gli Enti Locali relativo ai progetti di comunicazione dell’Agenda 2030. Molti degli Enti Locali che hanno partecipato al nostro bando, non sarebbero mai stati in grado di gestire un progetto europeo, perché servono uno staff e un sistema molto complesso, tuttavia facendo un bando di questo tipo, abbiamo intercettato 30 Comuni del nostro territorio, e 30 sono davvero tanti. Ciò vuol dire che sul nostro territorio ci sono 30 Comuni interessati a lavorare sui temi dell’Agenda 2030. Questi 30 adesso noi li abbiamo intercettati così, ma sicuramente faremo in modo di tenerli nel nostro partenariato anche per quanto riguarda la cooperazione internazionale”.

Quando si parla di cooperazione, di condivisione, a me vengono in mente soprattutto il progettare il futuro e quindi i giovani. C’è stata una rispondenza in Emilia Romagna dei giovani?

Orlandi: “Abbiamo avuto una risposta abbastanza positiva. Su questo abbiamo iniziato a lavorare maggiormente nell’ultimo anno. Coinvolgere i giovani è uno degli obiettivi più importanti che ci prefiggiamo. Lo stiamo già facendo soprattutto con l’università: come Regione abbiamo un’ottima collaborazione con l’università, ci sono diversi docenti universitari di varie facoltà che fanno parte della nostra Consulta e che quindi portano all’interno dell’università tutte le attività che vengono realizzate a livello di cooperazione. E grazie anche alla collaborazione dell’università organizziamo dei momenti di condivisione alla cooperazione, rispetto ai progetti. Il prossimo anno faremo una International Summer School sui temi dell’Agenda 2030. In questo modo stiamo cercando di arrivare soprattutto agli studenti universitari, ma in futuro cercheremo di coinvolgere anche gli studenti più giovani, colmando una lacuna”.

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