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Integrazione sociale per fare di El Salvador una terra che nutre, anche per i minori migranti

La storia di Miguel, paradigma di alcune delle situazioni che caratterizzano il Paese. Dove c'è anche l'impegno di Aics.

Un’alba caliginosa, densa di promesse di pioggia e aspettative. Un’alba come tante, la spessa cappa di umidità rotta solo dal canto dei galli che si rincorrono tra le quebradas, un’atmosfera di attesa, una chiamata che non arriva, la preoccupazione negli occhi di una madre, di un fratello, di una famiglia separata. Una frattura dolorosa riempita di speranze. Speranza di una vita migliore, di una fuga dalla criminalità, dal ricatto delle pandillas. Una nuova vita fondata sul dolore, sulla separazione, sulla speranza di sfuggire alle leggi non scritte della mara, della povertà, del circolo vizioso che queste due innescano. Una spirale senza fine, interrotta dalle rassicurazioni del coyote, promesse da marinaio.

I giorni di viaggio affastellati in camion, carrette, i piedi dolenti, la fatica della polvere e la sete, le spalle rotte dai legacci del fardello che sega le spalle. I confini aggirati, le pattuglie compiacenti, il prezzo della libertà, della speranza. La paura che questa si sciolga di fronte a un funzionario doganale, davanti al tradimento del coyote per il quale il migrante è solo una merce da vendere al miglior offerente. Lo spettro del rifiuto, del ritorno forzato. Lo spettro di un futuro negato.

Ma oggi a casa di Miguel è festa, il coyote non ha tradito, la polizia non si è vista e Miguel ha attraversato, come non si sa, nessuno lo vuole dire, la frontiera con gli Stati Uniti. È l’inizio di un futuro incerto da clandestino ma lontano dalla violenza del suo Paese, lontano dalla legge non scritta delle maras, una legge che non da valore alla vita, una legge i cui articoli coniugano solo violenza e morte. Oggi è festa a casa di Miguel, la famiglia, gli amici si riuniscono intorno al vitello sacrificato, alla birra, ai liquori casalinghi, si festeggia una tenue speranza, non una certezza. Ma la speranza vale più delle certezze. Le certezze di un percorso fatto di povertà, un sentiero i cui bivi, le svolte potrebbero portare alla galera. Bivi difficile da scegliere, da dipanare per giovani non ancora maggiorenni, che potrebbero finire all’interno di un centro di detenzione con condanne anche superiori alla loro stessa età. Fuggire, emigrare ma perché’? Dalla violenza, da un cancro incurabile ma che è solo un aspetto di una società e non una malattia. Una società incapace di intendere, di analizzare. Uno struzzo che nasconde la testa, incapace di capire le diseguaglianze e non solo sociali. Un ambiente che muta, una società cristallizzata incapace di cogliere i cambiamenti.

La combinazione di concetti come “minorenne”, “straniero”, “non accompagnato” e marero alimenta un immaginario collettivo che vede solo pericoli e che focalizza il dibattito sulle paure che abbiamo come società. La quasi totalità di chi decide di emigrare per migliorare le proprie condizioni di vita, cerca principalmente un futuro migliore perché non ha le stesse opportunità nei suoi Paesi di origine, è niente più niente meno che una vittima di una violenza sociale la cui origine non si vuole investigare perché’ troppo scomoda sarebbe la risposta. Troppo semplice rispondere: la povertà, ma quali le cause di questa povertà? Le diseguaglianze, il mancato accesso alle opportunità, alla terra, al lavoro, ai diritti. Piaghe ereditate dalla Colonia e rese più dure dalla globalizzazione. Il sogno americano, che respinge e non accoglie. Rifiuta, respinge, incarcera. Sogno che si trasforma in incubo tanto più angoscioso quanto più giovane il migrante. I minori continuano ad essere detenuti in “stazioni di immigrazione”, edifici con torri di guardia e polizia armata. Per entrare, i bambini migranti superano una porta sbarrata e un arco di metal detector. Gli verrà assegnata una delle stanze con letti a castello in cemento e materasso, ed imposte condizioni di vita che non rispettano le condizioni minime di salute.

Per questo motivo, la Sede dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (Aics) di San Salvador ha deciso di continuare il cammino iniziato con Minori e Giustizia e Scuole e Comunità Inclusive, ed allo stesso tempo di rafforzare questi processi mettendo le basi per la realizzazione di un programma che possa attivare un ecosistema di integrazione sociale, il cui obiettivo è quello di strutturare un sistema di protezione sociale integrato per i minori che si trovano, o potranno trovarsi, in una situazione di vulnerabilità. L’attivazione di un sistema di protezione sociale potrebbe delineare un territorio in cui si garantisce che il processo di ricostruzione del tessuto sociale, oltre ad avere un luogo, abbia uno scopo e che questo scopo sia a favore di quello che la società primariamente vede come il suo futuro, ovvero la possibilità di dare ai giovani opportunità di crescita e di vita libere dalla violenza e dal rischio di dover lasciare tutto e partire verso l’ignoto. Ma non solo, la cooperazione italiana guarda oltre, vede nell’ambiente, nella green economy una possibilità di riscatto, un’opportunità. Vede il territorio nel suo insieme, un sistema sociale ed ecologico le cui potenzialità possono ridurre la migrazione, creando migliori possibilità, restituire alla società il suo ruolo. Ambiente, economia, istruzione, giustizia; in poche parole, inclusione sociale e opportunità. Una cooperazione capace di promuovere il lavoro sfruttando i vantaggi della cultura, la promozione dell’economia arancione svincolandosi dagli stereotipi della formazione professionale ma lasciando spazio alla libertà dell’immagine, del pensiero. Fuori dagli schemi dei processi produttivi, dando valore all’individuo promuovendo il suo ruolo sociale. Ambiente e non solo, un ambiente in cui la persona è agente e ricettore. Persona che si riconosce con il suo ambiente. Natura non più matrigna ma nutrice.
Nel frattempo, a casa di Miguel i suoi famigliari festeggiano, il festeggiato si trova ad oltre 4.000 chilometri di distanza con la speranza che ci resti il più tempo possibile e che realizzi tutto quello che nel suo Paese, il suo territorio non gli ha mai concesso.

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