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©Demba Diop/Sunu Nataal

In viaggio da Ziguinchor a Kolda: “la Casamance può rinascere”

Un conflitto armato mai davvero concluso. Il contrabbando di legname e le elezioni in Senegal. Ma anche un nuovo impegno per costruire un futuro di pace. Al femminile.

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“Lo dobbiamo alle mogli, alle madri e alle sorelle, quel po’ di pace che abbiamo”. Aminata Kebé ha lo sguardo serio, gli occhi neri sotto un caschetto di capelli ancora più neri. Il cucchiaio sembra cercar qualcosa sotto un pugno di riso, ma forse sono i ricordi a portarla lontano. È sulla trentina. Da qualche anno lavora per l’Alto commissariato dell’Onu per i diritti umani (Ohchr) ma non ha mai dimenticato le imboscate, le rappresaglie, la paura; le sono rimaste impresse dentro, da quando era bambina. Siamo a Ziguinchor, il capoluogo della Casamance, una regione del sud del Senegal in guerra o comunque mai davvero in pace dal 1982. Sono stati firmati accordi, annunciati negoziati, promessi investimenti e sviluppo. Di certo, con centinaia di morti e migliaia di profughi, sono state le donne a decidere che così non si sarebbe più potuto andare avanti. “Dopo aver perso i mariti e i figli hanno detto basta” scandisce Aminata. Se oggi si può percorrere la strada che taglia verso Sedhiou e la Guinea non sarebbe allora merito solo del governo del Senegal, né dei ribelli del Mouvement des Forces Democratiques de Casamance (Mfdc). “L’impegno delle donne è divenuto anno dopo anno più forte” sottolinea Aminata. La sua è una voce tra tante nella Casamance in cerca di pace. “Promettono investimenti ma poi si limitano a distribuire qualche automobile agli ex combattenti” protesta Aissatou Sonko, che ha una bancarella a Ziguinchor e parla del programma per il disarmo e reinserimento.

 

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Eppure a pochi mesi dalle elezioni, previste a febbraio, il governo di Macky Sall appare deciso a rilanciare. Il piano Sénégal émérgent, fiore all’occhiello della campagna del presidente, promette di trasformare la Casamance in “hub di sviluppo”. Il problema però non sarebbe più, o non solo, la tenuta della tregua tra esercito e ribelli. Lo ha confermato nel gennaio scorso l’esecuzione di 14 giovani che stavano disboscando un’area di foresta: nella Casamance è in corso una lotta criminale per lo sfruttamento delle risorse. Perché il tesoro della regione, produttrice di riso e noci di acagiù, ha mille tonalità di verde. Secondo Pierre Goudiaby Atepa, un architetto originario della Casamance noto anche all’estero, negli ultimi dieci anni è cresciuta “una mafia del legno” con intermediari in Gambia e Guinea Bissau e mercati di sbocco anche in Cina. “Le foreste sono state depredate e la loro estensione è stata di fatto dimezzata” denuncia Goudiaby. Che con i tronchi di veneziana, una delle qualità di legno più pregiate, vede minacciata ancora e sempre la pace. È questo il contesto dell’ultimo annuncio del governo: la Casamance sarà “libera” dalle mine antipersona entro nel 2021. Per riprendere e portare a termine questo impegno servirebbero almeno 700 milioni di dollari, calcolano la stampa e le ong di Dakar. Caute non solo sulla possibilità di raggiungere il traguardo nei tempi prefissati. “Il completamento della bonifica è un obiettivo irrealistico” sottolinea Seydi Gassama, direttore della sezione senegalese di Amnesty International: “Le basi dei ribelli e le ‘linee rosse’ non valicabili si trovano ad appena 20 chilometri da Ziguinchor”. Militari ed esperti governativi, questa la tesi, non avrebbero la possibilità di operare nelle aree ancora sotto il controllo dei ribelli.

 

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E però ci sono segnali incoraggianti: dicono che da Ziguinchor al confine con la Guinea è possibile unire, bypassando traffici di legname, conflitti politici e schermaglie militari. A Sedhiou, per esempio. Oggi fanno festa per una bottega dai muri scrostati, appena dipinta d’arancione. Sembra un negozietto di telefonia ma l’insegna in alto spiega che non è così: è la Boutique de droit, la bottega dei diritti, da oggi aperta a tutti. Per l’inaugurazione sono arrivati il governatore del distretto, i dirigenti del ministero della Donna e i rappresentanti dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (Aics) che sostiene e finanzia il progetto. Al microfono dicono che, dopo Koalack, Kolda, Pikine e Thies, anche Sedhiou potrà contare su un servizio di aiuto per chi ha meno difese. “La Boutique de droit offrirà consulenze psicologiche, mediche e legali gratis” spiega Josephine Ndao, dell’Association des juristes senegalaises (Ajs). “Vogliamo sostenere anzitutto le donne e le ragazze vittime di discriminazioni e di violenze: quasi sempre non hanno né i mezzi né le informazioni necessarie per rivolgersi a un tribunale”. La prima Boutique è stata inaugurata nel quadro di Sénégal émergent, che promette anche diritti e parità di genere. Da Koalack a Thies, lo scorso anno le consulenze sono state 2.157, nell’88 per cento dei casi richieste da donne. Vittime di violenza, dipendenti economicamente, spinte al silenzio dal peso della tradizione e dalle loro stesse famiglie, mogli e madri stanno trovando sostegno e coraggio. “La Boutique interviene su casi di stupro e violenza o in contenziosi su successioni, matrimoni e lavoro” sottolinea Ndao. “Sempre più denunce riguardano però la proprietà della terra, che la legge riconosce come diritto di tutti ma che di fatto è concessa solo agli uomini, riconosciuti come ‘capi’ dal Codice di famiglia”. Nel distretto di Sedhiou si vive solo di riso e anacardi e, allora, le ingiustizie fanno ancora più male. “Gli uomini possiedono la terra ma poi non la coltivano” accusa l’attivista Khady Manè, ex deputata del Parti Socialiste, in prima fila all’inaugurazione della Boutique. “La proprietà invece deve essere di chi vuole lavorare: dobbiamo rimboccarci le maniche e lottare per ciò che ci spetta”. L’assunto è che il problema sia soprattutto culturale e che, allora, sia necessario informare e sensibilizzare. “Sentiamo ogni giorno storie di donne ripudiate, private dei diritti di successione riconosciuti dalla legge e abbandonate in povertà” riprende Ndao, dell’Association des juristes sénégalaises: “Il problema va al di là della tradizione islamica, ancora radicata, che stabilisce come l’eredità alle mogli vada sempre divisa a metà”. E le donne di Sedhiou, cosa si aspettano dalla Boutique? “Un aiuto per trovare la forza di denunciare” risponde Ami Sall, 30 anni, quattro figli a carico e neanche una casa: “Se padri e mariti se ne infischiano dei loro doveri è giusto che ne rendano conto”. La Casamance può rinascere anche così.

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