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Da profilo Twitter Unmas

Nella lotta contro le mine antipersona l’Italia c’è. Con una legge di civilità

Dopo quasi 12 anni di dibattito in parlamento, saranno vietati gli investimenti nelle aziende produttrici. Ma nel mondo la strada da percorrere è ancora lunga. E pericolosa.

Il 2020 è stato peggio del 2019. Non solo perché anno di pandemia ma perché le vittime sono state ancora di più. Circa 7mila, uccise, ferite o menomate dall’esplosione di mine antipersona. I numeri sono contenuti nell’ultimo studio Landmine Report, che documenta un aumento degli incidenti del 20%in un solo anno. Con l’aggravante che nel 44% dei casi, quasi uno su due, le vittime sono stati bambini. Il 2021 si chiude però in modo differente. Non c’entrano qui le preoccupazioni per il Covid-19, con la “quarta ondata” che minaccia l’Europa mentre altrove i vaccini non sono ancora arrivati, ad esempio in Africa, dove il tasso di immunizzazione resta al 7 per cento. Parliamo di mine. Di quello che si può fare e di quello che, finalmente, dopo un dibattito parlamentare durato quasi 12 anni, l’Italia promette di fare.

La data da ricordare è il 2 dicembre 2021. Con un voto all’unanimità, 383 “sì” su 383, la Camera dei deputati ha approvato in via definitiva la legge che introduce “misure per contrastare il finanziamento delle imprese produttrici di mine antipersona, di munizioni e submunizioni a grappolo”. In Italia queste armi erano bandite grazie al Trattato di Ottawa del 1997 e alla Convenzione di Oslo sulle “cluster” del 2010, ma mancava uno strumento che vietasse in modo esplicito gli investimenti nelle aziende che le producono.

Sminatori sostenuti da Un Norway in Colombia, dal profilo Twitter Un Norway

I soldi, prima e dopo che nel 2017 la legge fosse rinviata alle Camera per un vizio di costituzionalità, sono così continuati ad arrivare. Secondo gli ultimi dati, gli investimenti nel settore a livello mondiale da parte di 88 istituti finanziari ammontano a nove miliardi di dollari.
La legge italiana si compone di sette articoli. Il primo, il principale, introduce il “divieto totale di finanziamento di qualunque società” che, in modo diretto o indiretto, svolga “attività di costruzione, produzione, sviluppo, assemblaggio, riparazione, conservazione, impiego, utilizzo, immagazzinaggio, stoccaggio, detenzione, promozione, vendita, distribuzione, importazione, esportazione, trasferimento o trasporto” di queste armi o anche solo di sue componenti.

L’esito del voto è stato salutato come un passo importante sia da esponenti politici che da rappresentanti della società civile. “Il Parlamento ha recuperato la sua centralità”, ha commentato Giuseppe Schiavello, presidente della Campagna italiana contro le mine, da anni in prima linea a sostegno della legge. “Festeggiamo il coraggio, la costanza e la caparbietà con i quali i deputati hanno rivendicato il loro ruolo, riscrivendo una pagina di virtù e orgoglio politico”. Sulla stessa linea Rossella Miccio, presidente di Emergency, che ha ricordato il titolo di un libro-testimonianza che riferiva di mine simili a giocattoli pronte a uccidere: “Sono passati oltre 20 anni da quando Gino Strada ha parlato degli effetti di questi Pappagalli verdi sui bambini in Afghanistan e noi ancora ne vediamo le conseguenze”. Lo sguardo è però rivolto già oltre, agli impegni da assolvere e al lavoro di sensibilizzazione e pressione da fare. “Dodici Paesi, tra i quali Stati Uniti, Cina e Russia, non hanno ancora ripudiato la futura fabbricazione di mine” ha ricordato Miccio. “Disincentivare i finanziamenti per la produzione è cruciale”. Secondo il Landmine Report, a livello internazionale i produttori di mine antipersona restano almeno sette, in Brasile, India, Cina e Corea del sud.

Massimo Ungaro, deputato di Italia viva, relatore della legge, ha parlato di “norma di civiltà” e sottolineato, rispetto al divieto di investimento, che funzioni di monitoraggio sono attribuite alla Banca d’Italia, all’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni (Ivass) e alla Commissione di vigilanza sui fondi pensione (Covip).

 

Biografia
Vincenzo Giardina
Nato a Padova, laureato in storia contemporanea, è un giornalista professionista. Coordina il notiziario internazionale dell’agenzia di stampa Dire. Tra le sue collaborazioni Il Venerdì di Repubblica, Internazionale, l’Espresso e Nigrizia. Già redattore dell’agenzia di stampa missionaria Misna, si è specializzato sull’Africa e sui temi dei diritti umani e della lotta contro le disuguaglianze. Scrive su Oltremare, magazine dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo, e interviene come esperto o inviato su Radio Rai, Radio Vaticana e altre emittenti. Suoi articoli e reportage sono pubblicati anche da La Stampa e Vanity Fair. Parla più lingue, tra le quali il russo.
www.vincenzogiardina.org
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