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Se il green diventa opportunità di sviluppo, cooperazione e business

Intervista a Inhee Chung, Country Representative del Global Green Growth Institute a Kigali: i sistemi economici a forte impatto ambientale non sono più compatibili con il vivere quotidiano

“Un sistema economico a forte impatto ambientale non è più compatibile con il sistema di vita attuale, tantomeno con quello futuro. Lo dimostrano sempre di più la ricerca scientifica e i disastri dovuti ai cambiamenti climatici, che in molti Paesi vulnerabili dell’Africa potranno solo peggiorare. Quindi lavorare per uno sviluppo verde e a bassa emissione di carbonio è un obbligo per il continente e non una semplice, per quanto preferibile, opzione”. Dal suo ufficio di Kigali, in Rwanda, Inhee Chung non usa mezzi termini e snocciola dati che richiedono azioni. D’altra parte, “questo percorso porterà con sé una nuova crescita economica e nuove opportunità di lavoro” sottolinea la Country Representative del Global Green Growth Institute (Gggi), organizzazione intergovernativa per la promozione di un’economia verde e sostenibile tra i Paesi in via di sviluppo attualmente presieduta dall’ex segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon.

Dal vostro osservatorio, quindi, il passaggio a un’economia verde e a bassa emissione di carbonio può contribuire allo sviluppo dell’Africa.

“Certo. Pensiamo soltanto agli spazi che si apriranno con l’utilizzo delle energie rinnovabili e delle tecnologie a basse emissioni. Al beneficio economico, oltre tutto, si andranno a sommare i benefici per la salute collettiva e un forte contributo alla costruzione di una sostenibilità sul lungo termine”.
Una crescita inclusiva e sostenibile rientra tra gli obiettivi dell’Agenda 2030 e dell’Agenda 2063, in che modo però può essere ottenuta?
“Non esiste un solo modo. Penso che debba essere il risultato di sforzi condotti su più linee d’azione. Prima di tutto, le strategie nazionali a lungo termine devono essere elaborate secondo gli orientamenti dell’Agenda 2030 e dell’Agenda 2063, in altre parole, tali orientamenti devono essere tradotti nelle politiche e nei quadri legali nazionali e settoriali. Anche le pratiche di buon governo e trasparenza sono elementi chiave, così come il rafforzamento istituzionale, lo sviluppo delle capacità e politiche specifiche volte alla costruzione di una crescita verde e inclusiva e all’attrazione di investimenti. Tutto ciò è necessario per trasformare indirizzi politici in progetti concreti con impatti positivi sul terreno”.
In Rwanda, per esempio, il Global Green Growth Institute sta appoggiando lo sviluppo di città verdi e inclusive dal momento che il fenomeno dell’urbanizzazione è considerato uno degli elementi cruciali per la trasformazione economica del Paese. L’attenzione alle città è cioè funzionale al raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile fissati a livello nazionale, regionale e globale; la realizzazione di città verdi può fornire soluzioni alle sfide poste dall’urbanizzazione perché in grado di promuovere modelli urbani resilienti ai cambiamenti climatici combinando qualità della vita, energia e un positivo impatto economico e ambientale”.

Il Rwanda è un Paese piccolo ma all’avanguardia nella transizione verso un’economia verde, tanto che voi stessi proprio qui avete uno dei vostri uffici più grandi. Cosa ci può insegnare in questo particolare ambito?

“In questo caso, tra gli elementi che maggiormente contribuiscono a distinguere il Rwanda da altri Paesi, si annoverano un buon impianto della governance e delle misure anti-corruzione, che includono la promozione della partecipazione attiva delle donne nella politica e nell’economia, e poi investimenti nello sviluppo di competenze e nella formazione, e una visione nazionale chiara e in linea con gli obiettivi di sviluppo sostenibile e di impatto ambientale”.

Cosa, invece, può ostacolare il cammino verso un futuro più verde in Africa?

“Stiamo parlando di un processo che si estende nel tempo, che richiede una visione di lungo termine. Pertanto, politiche che puntano a risultati immediati e provvedimenti centrati su profitti rapidi per pochi soggetti a spese di interessi più lenti da ottenere e rivolti alla maggioranza – come è appunto il caso del discorso sul rafforzamento delle infrastrutture verdi, delle risorse umane, di una società inclusiva – ecco, queste scelte possono effettivamente minare il viaggio verso un futuro più verde e sostenibile. Un atteggiamento governativo poco trasparente e irresponsabile, la corruzione costituiscono un ostacolo all’Africa che vorremmo”.

Riguardo al cambiamento climatico, in che modo la comunità internazionale può lavorare insieme all’Africa per soddisfare quanto stabilito dagli accordi di Parigi?

“Le vie di collaborazione sono varie: finanziare investimenti in progetti per basse emissioni di carbonio, per esempio, o favorire il trasferimento di tecnologie e lo sviluppo delle competenze. Il modello adottato dal Gggi consiste in una sorta di accorpamento nei nostri partner governativi in modo da lavorare fianco a fianco soprattutto su questioni legate al clima e alla crescita verde. Lo scambio di conoscenze e la condivisione che ne conseguono si riversano poi nelle politiche, nei piani, nei progetti da elaborare per una crescita verde e inclusiva”.

Quale può essere il ruolo della cooperazione internazionale?

“Penso che il contributo maggiore della cooperazione internazionale possa essere quello di aiutare i Paesi a prendere piena responsabilità e possesso della strada da intraprendere verso un’economia più verde, sostenendo il rafforzamento istituzionale, la conoscenza, lo sviluppo delle competenze e incanalando il flusso degli investimenti legati al verde. Un migliore coordinamento e una migliore collaborazione da parte dei nostri partner sono importanti per far sì che l’aiuto proposto sia davvero efficace ed efficiente”.

L’Italia è da sempre sensibile ai temi ambientali, avete forme di collaborazione attivate?

“Il Gggi ha firmato un accordo di cooperazione con il ministero italiano dell’Ambiente; la collaborazione è iniziata nel 2018 in due Paesi africani, il Rwanda e l’Etiopia. In Rwanda, stiamo sostenendo il governo negli ambiti della vulnerabilità ai cambiamenti climatici e della valutazione, adattamento e mitigazione del rischio. Viene inoltre promosso lo scambio b2b tra Italia e Rwanda per agevolare il flusso degli investimenti del settore green e le opportunità di stringere affari tra i due Paesi”.

Passiamo allora al settore privato: quale può il suo ruolo nella cornice degli accordi internazionali sul cambiamento climatico?

“Il settore privato è senza dubbio un attore cruciale all’interno di questo processo. Se il settore pubblico è responsabile della definizione del quadro normativo attraverso l’elaborazione di politiche e piani di intervento, il settore privato è quello che meglio può garantire innovazione e investimenti in dimensioni congrue, e, inoltre, è interesse del settore privato far sì che il loro valore di mercato non venga diminuito trattenendo troppe ‘obbligazioni di carbonio’ sotto forma di investimenti non recuperabili. Favorire la partecipazione del settore privato ai mercati per le basse emissioni può non solo soddisfare il bisogno di sviluppo nel breve termine ma garantire anche un accesso a questi mercati più esteso nel tempo. Ecco perché parliamo di un’opportunità unica per il settore pubblico e per quello privato per lavorare insieme in campo climatico”.

 

Biografia
Gianfranco Belgrano
Nato a Palermo nel 1973, Gianfranco Belgrano è un giornalista e si occupa soprattutto di esteri con una predilezione per l’Africa e il Medio Oriente. È direttore editoriale del mensile Africa e Affari e dell’agenzia di stampa InfoAfrica, per i quali si sposta spesso nel continente africano. Ha studiato Storia e Lingua dei Paesi arabi e vissuto per alcuni anni tra Tunisia, Siria e Inghilterra prima di trasferirsi a Roma. Ha lavorato o collaborato con varie testate (tra cui L’Ora ed EPolis) e si è avvicinato all’Africa con l’agenzia di stampa Misna, lasciata nel 2013 per fondare con alcuni amici e colleghi il gruppo editoriale Internationalia.
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