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La “crisi delle tre C” è globale e richiede una centralità della cooperazione

Samuel Freije-Rodríguez, lead economist di Banca Mondiale e co-autore del rapporto Poverty and Shared prosperity 2020: Reversals of Fortune, parla di conflitti, cambiamenti climatici e Covid come sfide globali. Che richiedono risposte globali e coordinate

La chiama la Crisi delle tre C – conflitti, cambiamenti climatici, Covid-19 – una tempesta quasi perfetta che segnerà la vita di oltre cento milioni di persone nell’arco di due anni, spingendoli nella povertà estrema, e che se non affrontata con gli strumenti più adeguati porterà a un mondo ancora molto lontano dagli obiettivi di sviluppo sostenibile fissati dalla comunità internazionale nell’Agenda 2030. Co-autore insieme a Michael Woolcock del rapporto Poverty and Shared prosperity 2020: Reversals of Fortune (qui l’articolo sul rapporto pubblicato da Oltremare), Samuel Freije-Rodríguez, è lead economist di Banca Mondiale nell’ambito della Poverty and Equity Global Practice, e dal suo osservatorio guarda con preoccupazione quanto sta avvenendo.

Conflitti, cambiamenti climatici e Covid-19… ci troviamo di fronte a una tempesta perfetta?

Possiamo dire che si tratta di una sorta di tempesta perfetta nel senso che quelle che noi chiamiamo le ‘tre C’ hanno effetti che sono aggravanti l’una dell’altra. Inoltre, questi tre elementi quest’anno si stanno mostrando in contemporanea ma hanno orizzonti temporali differenti.
La questione dei conflitti armati è ricorrente e, come si evince dai nostri rapporti in Nord Africa e Medio Oriente, il livello di prosperità ha fatto passi indietro negli ultimi cinque anni. La pandemia è cominciata quest’anno, è ancora una situazione in evoluzione, adesso siamo di fronte alla seconda ondata. Avremo pesanti conseguenze sul piano economico e su quello sanitario. Il terzo elemento, che si sta muovendo lentamente ma progressivamente, è quello dei cambiamenti climatici: esso impatterà sul prossimo decennio.
La gestione dei rischi – il rischio dei conflitti, il rischio dei cambiamenti climatici e i rischi legati alla salute come quelli della pandemia che era stata da tempo ipotizzata – è un pezzo fondamentale delle politiche di sviluppo.

Quali strumenti abbiamo a disposizione per far fronte a questa situazione?

Nel nostro rapporto abbiamo fornito una chiave di strategia generale. Forse lo strumento più importante è la cooperazione sia interna che internazionale. Questi tre fenomeni sono fenomeni globali e di conseguenza hanno caratteristiche (che in economia chiamiamo externalities) che devono essere affrontate da vari stakeholders. È molto difficile per una singola regione o per un singolo Paese affrontare in solitudine questi fenomeni. Prendiamo i conflitti, questi spesso hanno effetti collaterali nei Paesi vicini. O ancora i cambiamenti climatici, che sono per antonomasia una questione globale. E così la pandemia, che è a sua volta una questione globale. Crediamo quindi che la cooperazione internazionale e la cooperazione tra le regioni siano molto importanti per rispondere a queste sfide.

La seconda principale strategia riguarda la necessità di dover imparare rapidamente: molti di questi fattori sono nuovi, la pandemia è nuova… di conseguenza abbiamo bisogno di dati migliori, dobbiamo avere a bordo e senza vincoli la comunità scientifica (sociologi, economisti, statistici…). Abbiamo bisogno di ogni possibile insegnamento e di ogni possibile dato per rispondere a questioni che sono globali e che necessitano di risposte complesse.

La terza strategia è avere una migliore implementazione sul campo. A volte abbiamo piani molto buoni e altrettanto buone intenzioni, e c’è anche un grande sforzo di progettazione e pianificazione, ma poi l’implementazione sul campo risulta molto difficile e questo avviene per molte ragioni: a volte perché i fondi non sono sufficienti, a volte perché non ci sono politiche adeguate. E dato che le politiche economiche possono essere complesse, abbiamo bisogno di capire meglio come implementare le raccomandazioni dei ricercatori, le raccomandazioni dei policy makers, così che possano funzionare.

La quarta strategia è qualcosa di chiaro e molto importante ma che allo stesso tempo viene lasciata indietro: la prevenzione, il tenersi pronti. Prestiamo grande attenzione e sforzo in occasione di catastrofi, ma in termini economici prevenire un problema è molto meglio. Occorre investire di più nella prevenzione di fenomeni che sappiamo e vediamo arrivare: la possibilità di trovarci di fronte a una pandemia era nota ormai da molti anni, gli scienziati hanno più volte fatto suonare un campanello d’allarme e invitato ad affrontare le questioni legate ai cambiamenti climatici. Investire di più in prevenzione e preparazione è un principio generale che nel rapporto proponiamo come strategia per affrontare queste tre C: Covid-19, cambiamenti climatici, conflitti armati.

Cooperazione italiana a Loumbila, Burkina Faso ©TAMAT

Pensa che l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite e gli obiettivi fissati dalla comunità internazionale siano a rischio?

Nel rapporto abbiamo riferito che raggiungere quegli obiettivi sarà quanto mai difficile. Ma se ci sarà uno sforzo sostenuto e la consapevolezza che bisogna fare di più, la cooperazione internazionale potrà giocare un ruolo importante nel dire che se vogliamo raggiungere gli obiettivi dell’Agenda 2030 dobbiamo raddoppiare i nostri sforzi. Dobbiamo avere la cooperazione che si siede a tavolino per pensare a questi obiettivi, agli sforzi supplementari da mettere in atto al fine di raggiungere gli obiettivi prefissati.

Le previsioni delineate nel rapporto appaiono particolarmente preoccupanti per l’Africa, un continente che vedrà raddoppiare la propria popolazione in pochi decenni.

Nel rapporto viene sottolineato il ruolo centrale dell’Africa e in particolare della regione subsahariana in termini di eradicazione della povertà entro il 2030. Già i precedenti rapporti avevano invitato all’azione, prima ancora dello scoppio della pandemia. E già prima della pandemia gli obiettivi fissati per il 2030 apparivano difficili da raggiungere. Negli ultimi 10 anni il livello medio della povertà in Africa è stato di circa il 40%, non ci sono stati cali significativi. Raddoppiare gli sforzi per l’Africa è quindi quanto mai importante per ridurre i livelli di povertà estrema. Per gli obiettivi che la Banca ha fissato, è altrettanto importante l’Asia orientale e così anche altre zone del mondo. Ma in termini di povertà estrema la principale area è l’Africa subsahariana.
Nel combattere la povertà estrema saranno decisivi gli sforzi per ridurre i rischi legati ai cambiamenti climatici, per mettere fine ai conflitti, per aumentare la produttività agricola, per migliorare le condizioni di vita nelle aree urbane.

Pensa che la tempesta di cui parliamo interesserà più le zone urbane o quelle rurali?

Nel rapporto sottolineiamo che la pandemia sta creando quelli che abbiamo definito i nuovi poveri. Nel senso che a causa delle caratteristiche della pandemia, le aree più densamente popolate sono quelle maggiormente colpite; la pandemia sta di fatto creando nuove forme di povertà tra persone che vivono in aree urbane, che hanno migliori standard educativi, che non lavorano in agricoltura. Ma allo stesso tempo sottolineiamo che la maggioranza dei poveri vive in ambiente rurale, che sono bambini che frequentano al massimo le scuole primarie o non vengono educati. La pandemia ci chiama ad agire nelle città, allo stesso tempo la maggioranza dei poveri resta però nelle zone rurali dove si vive di agricoltura. Per questo motivo aumentare la produttività agricola è un elemento fondamentale perfino rispetto a queste nuove condizioni dettate dalla pandemia e dalle nuove forme di povertà urbana.

Viviamo in un momento in cui la pandemia costringe i Paesi a chiudere le frontiere, le comunità a separarsi a vicenda.

Ancora una volta la cooperazione internazionale è fondamentale. I rischi menzionati sono globali, è molto difficile per i singoli Paesi agire. Abbiamo anche degli esempi positivi: come il sistema di prevenzione internazionale messo su per gli tsunami nel Pacifico, nell’Oceano indiano e adesso anche nel Mediterraneo e nel mar dei Caraibi. Queste sono forme di cooperazione internazionale organizzate per affrontare alcuni specifici rischi, di inondazioni, di disastri naturali.

Adesso, poi, è in corso un’altra importante iniziativa di cooperazione fra le Nazioni Unite e organizzazioni africane per garantire l’accesso ad attrezzature sanitarie e prevenire le conseguenze di queste chiusure di confini, dal momento che hanno ripercussioni sulla capacità dei Paesi più poveri di avere accesso ad attrezzature sanitarie.
Questi sono meccanismi di cooperazione internazionale che sono necessari per rispondere alle sfide dettate dai cambiamenti climatici, dai conflitti e dalla pandemia. È comprensibile che alcuni Paesi debbano adottare determinate misure ma è altrettanto importante sottolineare che la cooperazione internazionale è fondamentale per affrontare in maniera vincente le sfide che ci troviamo di fronte.

Delle tre C di cui stiamo parlando, è forse quella dei cambiamenti climatici la più insidiosa da affrontare? Se parliamo di conflitti abbiamo la misura… se parliamo della pandemia sappiamo che servirà un vaccino… ma se parliamo di cambiamenti climatici sembra che molto sia ancora legato a visioni a volte opposte tra loro.

Difficile scegliere, a dire il vero. Come diciamo anche nel rapporto, le forze dello sviluppo e della creazione di benessere nell’economia moderna contengono i semi di questi fenomeni. L’attuale consumo di energia, il tipo di energia che usiamo, è molto legato ai cambiamenti climatici. I mezzi che usiamo per il commercio e per le comunicazioni hanno favorito la rapida diffusione della pandemia. E anche i meccanismi in vigore sul commercio delle armi, in ultima analisi alimentano i conflitti. Dunque, abbiamo una serie di elementi che promuovono ricchezza e promuovono benessere, ma che allo stesso tempo hanno dei costi e sono i costi delle tre C. È dunque molto complicato, dobbiamo forse ripensare l’economia moderna in un modo che prevenga queste tre C e questo è il motivo per cui diamo molta importanza alla prevenzione nella gestione dei rischi. Ma sono d’accordo che il fattore cambiamenti climatici è tra i più complessi, soprattutto perché è un fattore che si muove lentamente, generando difficoltà tra i policy makers, per chi è chiamato a prendere decisioni.

Dobbiamo dunque ripensare le nostre economie, renderle più resilienti e sostenibili?

Esatto, il rapporto sottolinea alcuni di questi elementi e d’altra parte noi nella Banca abbiamo lavorato sulla resilienza per far fronte ai cambiamenti climatici ma anche sulla resilienza per far fronte agli shock economici, a meccanismi più estesi di sicurezza sociale e protezione sociale. Fattori che nei Paesi in via di sviluppo possono essere fondamentali.
È necessario un lavoro coordinato tra agenzie multilaterali, agenzie nazionali, governi. Non è solo una questione di finanziamenti, è anche una questione di comprendere le sfide e i bisogni, di applicare dei cambiamenti. La produttività agricola e un migliore sviluppo rurale sono elementi cruciali in Africa subsahariana. Allo stesso tempo dobbiamo pensare alle nuove tecnologie che possono creare forme di occupazione per i giovani. La difficoltà è che bisogna fare bene diverse cose, nello stesso momento e per un lungo periodo di tempo. Insisto, è una questione di cooperazione internazionale: mettiamo insieme la comunità scientifica, i policy makers, i Paesi in via di sviluppo e quelli sviluppati e facciamoli lavorare insieme per sradicare la povertà entro il 2030.

 

Biografia
Gianfranco Belgrano
Nato a Palermo nel 1973, Gianfranco Belgrano è un giornalista e si occupa soprattutto di esteri con una predilezione per l’Africa e il Medio Oriente. È direttore editoriale del mensile Africa e Affari e dell’agenzia di stampa InfoAfrica, per i quali si sposta spesso nel continente africano. Ha studiato Storia e Lingua dei Paesi arabi e vissuto per alcuni anni tra Tunisia, Siria e Inghilterra prima di trasferirsi a Roma. Ha lavorato o collaborato con varie testate (tra cui L’Ora ed EPolis) e si è avvicinato all’Africa con l’agenzia di stampa Misna, lasciata nel 2013 per fondare con alcuni amici e colleghi il gruppo editoriale Internationalia.
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