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Pesca artigianale, biodiversità e sviluppo: un 2022 anche all’insegna della Somalia

Il 2022 è stato dichiarato dalla Fao l’anno della pesca artigianale e dell'acquacoltura, un settore da cui dipendono 120 milioni di persone, quasi tutte in Paesi in via di sviluppo. Aics c’è e in Somalia con Federpesca e Unido sta lavorando al masterplan di un settore potenzialmente nevralgico.


Un intero anno centrato sulla pesca artigianale e sull’acquacoltura. La Fao ha voluto dedicare il 2022 a un tema che rientra fra gli obiettivi di sviluppo sostenibile (Sdgs) occupando la casella 14: Life below water. Qualche numero significativo può aiutare a delimitare il perimetro. Su oltre 120 milioni di persone che nel mondo dipendono dalla pesca, 116 milioni vivono in Paesi in via di sviluppo. Di questi, più del 90% lavorano nell’ambito della pesca su piccola scala, con il 50% della forza lavoro composto da donne. I dati più affidabili sono contenuti in uno studio di Banca Mondiale (Hidden Harvest) in cui si sottolinea che la pesca su piccola scala registra, per tonnellata di pescato, un’occupazione diverse volte più alta della pesca su larga scala: in altre parole, più si entra nella sfera dell’artigianato più aumenta il numero di persone coinvolte nella filiera.

Nel celebrare questo anno, la Fao ha identificato sette messaggi chiave che sintetizzano le sfide ambientali, economiche e sociali di cui tener conto. Primo messaggio (Aware and prepared): aumentare la preparazione e la capacità di adattamento della pesca artigianale e dell’acquacoltura su piccola scala al degrado ambientale, agli shock, ai disastri e al cambiamento climatico. Secondo (Resource stewards): utilizzare la biodiversità in modo sostenibile per la longevità della pesca artigianale e dell’acquacoltura su piccola scala. Terzo (Value for all): sostenere catene di valore inclusive per la pesca artigianale e l’acquacoltura su piccola scala. Quarto (Living well): garantire l’inclusione sociale e il benessere della pesca artigianale e dell’acquacoltura su piccola scala. Quinto (Nothing about us without us): garantire l’effettiva partecipazione della pesca artigianale e dell’acquacoltura su piccola scala nella costruzione e nel rafforzamento di ambienti politici favorevoli. Sesto (Women and a changing tide): riconoscere che le donne e gli uomini nella pesca artigianale e nell’acquacoltura sono uguali. Settimo (Nourishing nations): promuovere il contributo della pesca artigianale e dell’acquacoltura alle diete sane in sistemi alimentari sostenibili.
Sono sfide che riportano ai concetti di biodiversità e sostenibilità e alle vie da seguire per inserire tali concetti lungo percorsi di sviluppo.

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Facile a dirsi, ma molto più complesso da concretizzare e calare nelle realtà spesso difficili in cui la Cooperazione va ad agire. Un esempio che dà la misura di capacità di adattamento e concretezza di azione in un contesto complesso ci viene dalla Somalia. Qui la Cooperazione italiana ha varato tra gli altri un importante progetto implementato sul campo – come capofila – dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Industriale (Unido). Una delle componenti del progetto riguarda la realizzazione di un masterplan della pesca su cui dal 2018 sta lavorando Federpesca, la Federazione nazionale delle imprese di pesca. “Siamo partiti su sollecitazione dello stesso governo somalo – racconta ad Oltremare Stefania Valentini, responsabile dell’Ufficio di Federpesca a Bruxelles – che ha dimostrato una particolare coscienza ambientale sulla gestione degli stock ittici. Ovviamente non è semplice far quadrare sostenibilità ambientale, esigenze occupazionali e politiche di gestione e in Somalia ci siamo trovati di fronte a sfide, anche relative alla sicurezza, che spingono a trovare soluzioni di volta in volta diverse e rispondenti alla realtà del posto”. Questo significa, per esempio, che il masterplan – a cui Federpesca sta lavorando in collaborazione con la Fao e con la Fondazione Hope – deve fare i conti con il contesto di insicurezza locale, ma anche con il fenomeno della pirateria e ancor di più con la presenza nelle pescose acque antistanti il Paese di pescherecci stranieri che operano in regime di illegalità. “Al tempo stesso – sottolinea ancora Valentini – le autorità somale sono ben consapevoli di questa ricchezza, che se ben gestita può essere un volano di sviluppo per un Paese che ha una linea costiera di oltre tremila chilometri”.
Grazie alla collaborazione con l’ufficio italiano di Unido, l’Investment and Technology Promotion Office (Itpo) con sede a Roma, il progetto ha avuto modo di coinvolgere diverse aziende italiane impegnate nella catena del freddo, nella costruzione di strumenti da pesca e motori per imbarcazioni, nonché nella progettazione di impianti per la lavorazione del pescato. Attraverso seminari tecnici o piattaforme per BtoB, molte aziende somale hanno avuto modo di discutere potenziali partenariati internazionali con aziende italiane, al fine di migliorare le proprie produzioni grazie a maggiori conoscenze tecnologiche, incrementando così il proprio reddito e andando anche ad accrescere l’impatto sulla sicurezza alimentare della regione.

La posizione strategica della Somalia (si pensi solo che buona parte del pescato venduto in Italia arriva proprio dall’Oceano Indiano) è dunque ancora oggi un valore solo in potenza. Il masterplan è però il punto di partenza per una possibile svolta in grado di favorire sia i piccoli pescatori sia l’eventuale sviluppo di una pesca industriale. “Certo, resta quella grande sfida della sicurezza che di fatto impone scelte che magari non sarebbe necessario fare in altri Paesi” prosegue Valentini, ricordando come per le piccole imbarcazioni siano stati ipotizzati punti di sbarco e approdi con stoccaggio dei prodotti nelle vicinanze della costa così da attivare filiere a partire da luoghi più sicuri da cui raggiungere i mercati locali. Una necessità legata alla presenza di gruppi armati che rendono difficile se non impossibile creare dei canali commerciali sicuri, dal mare ai mercati cittadini. Federpesca sta affrontando anche il tema della parità di genere; nelle prossime settimane organizzerà un workshop a Mogadiscio (dove le varie operazioni stanno usufruendo del sostegno dell’Ambasciata italiana e del locale ufficio Aics) e conta di completare entro quest’anno il masterplan da consegnare alle autorità somale: “La pesca somala – conclude la responsabile di Federpesca – ha il potenziale per sviluppare e sostenere la sicurezza alimentare e del reddito in tutta la regione. Gli investimenti nell’economia somala della pesca, in particolare nelle infrastrutture, a loro volta sosterrebbero altri settori, contribuirebbero positivamente alla prosperità a lungo termine e, in ultima analisi, migliorerebbero anche la sicurezza nazionale”.

Biografia
Gianfranco Belgrano
Nato a Palermo nel 1973, Gianfranco Belgrano è un giornalista e si occupa soprattutto di esteri con una predilezione per l’Africa e il Medio Oriente. È direttore editoriale del mensile Africa e Affari e dell’agenzia di stampa InfoAfrica, per i quali si sposta spesso nel continente africano. Ha studiato Storia e Lingua dei Paesi arabi e vissuto per alcuni anni tra Tunisia, Siria e Inghilterra prima di trasferirsi a Roma. Ha lavorato o collaborato con varie testate (tra cui L’Ora ed EPolis) e si è avvicinato all’Africa con l’agenzia di stampa Misna, lasciata nel 2013 per fondare con alcuni amici e colleghi il gruppo editoriale Internationalia.
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