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Anche El Salvador alle prese con l’emergenza Covid-19

L’impatto del virus viene rafforzato dalla disuguaglianze sociali, in un Paese dove oltre due milioni di persone vivono sotto la soglia di povertà

È come quando si attende che qualcosa di terribile accada, senza sapere quando, dove e come accadrà. È la calma prima della tempesta. In questi momenti si accende un meccanismo di attesa, di sospensione e timore. Poi l’attesa finisce. “Abbiamo fatto il test a due casi sospetti. Uno è risultato negativo e l’altro, positivo. Ufficialmente abbiamo il primo caso di Covid-19 in El Salvador”. Con queste parole il presidente Nayib Bukele ha iniziato la sua dichiarazione durante la conferenza stampa di mercoledì 18 marzo. Esattamente una settimana dopo aver dichiarato lo stato di quarantena del Paese come misura preventiva, il presidente avvisa la popolazione che la tanto temuta minaccia è arrivata. La tensione lo tradisce e durante il discorso le sue mani tremano lievemente, la voce si rompe, la preoccupazione traspare dal volto stanco. Le misure preventive così care al governo di El Salvador sono servite a prendere tempo.

Tempo per mettersi in moto, per organizzarsi e farsi trovare pronti. Ora il tempo è finito. Ora si cambia strategia: si tenta a tutti i costi di limitare i contagi. La preoccupazione e le conseguenti decisioni politiche del capo di stato derivano dalla consapevolezza della precarietà del sistema sanitario salvadoregno. Non solo: le importanti problematiche sociali preesistenti porterebbero, nel caso in cui il virus si diffondesse, al collasso totale del Paese. Non ci si può nascondere. In El Salvador non ci sono i mezzi per affrontare la pandemia. Il sistema sanitario è solo uno, il più importante senz’altro, dei problemi da affrontare ora. L’impossibilità della popolazione di seguire le indicazioni di prevenzione più basiche è senz’altro il secondo. Lavarsi le mani con frequenza è un consiglio del tutto inutile per le 600 mila persone che in El Salvador non hanno accesso all’acqua. Il distanziamento sociale e l’isolamento sono misure tanto necessarie quanto di difficile applicazione per chi non riceve uno stipendio tutti mesi. “Uscite solamente se è strettamente necessario” ha dichiarato il presidente il 18 marzo. Tutti i lavoratori del settore informale si sono trovati davanti a un bivio: rischiare di ammalarsi o morire di fame.

E Il 21 marzo è stata annunciata dallo stesso Bukele la quarantena totale in tutta la Repubblica, con durata 30 giorni, come misura preventiva al contagio massivo. Così i più ricchi sono passati dall’affollare le spiagge a fare razzia di prodotti – di cui probabilmente non avevano bisogno – nei supermercati. Mentre le fasce di popolazione più povere sono state costrette a smettere di lavorare e di guadagnare per chiudersi in casa. Un lusso che non possono permettersi. In El Salvador 2 milioni di persone vivono sotto la soglia di povertà. Ciò significa che un terzo della popolazione non ha i mezzi per tutelarsi, per affrontare l’emergenza sanitaria e per accedere ai beni di prima necessità.

 

Il presidente Nayib Bukele © Reuters

Abbiamo chiesto al Programma Alimentare Mondiale (World Food Programme, Wfp), l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di assistenza alimentare in 78 paesi del mondo, tra cui El Salvador, in che modo la diffusione del virus può incidere sulla sicurezza alimentare del Paese, chi sono i soggetti maggiormente a rischio e che misure si stanno adottando.
“A livello globale – rende noto l’agenzia delle Nazioni Unite – il Wfp è in prima linea, rispondendo alle esigenze delle persone più vulnerabili che vivono in paesi con risorse e attrezzature insufficienti per rispondere alla pandemia di Covid-19. L’emergenza sanitaria sta colpendo molti paesi in modi diversi. La carenza di cibo, le eventuali interruzioni delle catene di approvvigionamento alimentare, le restrizioni commerciali come la chiusura delle frontiere, la riduzione dell’accesso al mercato e le misure di quarantena necessarie per prevenire il diffondersi della pandemia hanno colpito i mezzi di sussistenza di molte persone, riducendo il loro potere d’acquisto di beni di prima necessità. Le fasce più vulnerabili da questo punto di vista sono le persone isolate, senza accesso al cibo che si trovano in comunità, città o regioni in quarantena. Analizzando i mercati e le catene di approvvigionamento alimentare, è possibile ottenere rapidamente informazioni su dove vivono le persone più vulnerabili, sui loro bisogni più urgenti per cercare di soddisfare al meglio le loro esigenze. Per rispondere alla minaccia posta dalla pandemia di Covid-19, siamo pronti a mettere a disposizione dell’intera comunità umanitaria le competenze in materia di logistica, di gestione della catena di approvvigionamento e telecomunicazioni di emergenza. Gestiamo una rete di basi logistiche di risposta umanitaria da cui vengono stoccate e consegnate le forniture in tutto il mondo. Queste basi, situate in posizione strategica, sono pronte a fornire materiali in risposta alla pandemia, come letti e infrastrutture per la creazione di centri di trattamento medico e ospedali. In El Salvador, la nostra priorità è garantire le risorse necessarie a soddisfare le esigenze alimentari e nutrizionali delle popolazioni più vulnerabili identificate assieme al governo. Attualmente stiamo fornendo supporto tecnico e finanziario per la creazione di magazzini per conservare le donazioni ricevute al fine di servire gli individui e le comunità in quarantena. C’è bisogno di assistenza immediata alle comunità isolate per questo motivo stiamo lavorando a stretto contatto con i partner per garantire che queste persone abbiano accesso al cibo. Inoltre stiamo lavorando a un piano di risposta economica e di soccorso che si rivolge ai gruppi più vulnerabili e mira a ridurre l’impatto economico per non mettere a repentaglio la sicurezza alimentare. Con l’evolversi della pandemia Covid-19, prevediamo di creare una struttura di stoccaggio di cibo e denaro per fornire almeno tre mesi di assistenza alimentare alle fasce di popolazione più vulnerabili nei paesi prioritari.”

L’obiettivo principale è sempre stato essere preparati e accrescere il livello di accettazione e di sensibilizzazione delle persone nei confronti della pandemia. Allo stesso modo risultano fondamentali gli interventi di tutela delle fasce più vulnerabili della popolazione per combattere le disuguaglianze, la povertà e la fame. Perché la tempesta passerà, come passa sempre. È quello che lascerà dietro di lei che deve preoccuparci. Non possiamo, però, nascondere che la ridotta mobilità e le strette misure di controllo territoriale ci obbligano ad un complesso lavoro di coordinamento con gli altri partner. Coordinamento tanto più importante in una situazione di emergenza che ha messo in evidenza la fragilità del sistema sanitario e della struttura sociale del Paese. Evitare le duplicazioni, rispondere alle esigenze immediate ma prevedere quelle future, articolare una risposta comune: tutte cose che adesso facciamo tramite piattaforme di teleconferenza che tolgono però al confronto la dimensione umana, sterilizzando quei contatti che fanno da collante tra partner. Avviare un dialogo, individuare e assegnare responsabilità:tutto passa tramite i freddi contatti di internet, unico canale di comunicazione rimasto in questa fase di distanziamento sociale.

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