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Mairead Corrigan Maguire: “Tacciano le armi. Il mondo si unisca contro il virus della violenza”

La Premio Nobel per la Pace fa suo l’appello del segretario generale dell’Onu. E lancia la sfida: “Ogni anno vengono spesi centinaia e centinai di miliardi per armamenti. Si convertano in ricerca, in una lotta per la salute e il lavoro che investa l’intero pianeta”

“Oggi, di fronte a questa catastrofe sanitaria causata dal Covid-19, e alle sue pesanti ricadute sociali, economiche, di vita, l’Onu può riscattare il passato e diventare davvero, nel senso più alto del termine, il Centro del mondo. Se siamo tutti dalla stessa parte della barricata nello sconfiggere la pandemia del coronavirus, allora non c’è modo migliore, più forte di dimostrarlo che far tacere le armi e, per usare le parole del segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, e realizzare “un immediato cessate il fuoco globale in tutti gli angoli del mondo”. Che lo si metta all’ordine del giorno del massimo organismo decisionale delle Nazioni Unite, il Consiglio di sicurezza, lì dove siedono tutte le grandi potenze mondiali. Che sia votata all’unanimità una risoluzione che imponga il cessate il fuoco. Chi siede al Consiglio di sicurezza ha gli strumenti per far rispettare una tale risoluzione. La furia del virus dimostra la follia della guerra, afferma Guterres. Ma in quella follia c’è una logica: la logica, perversa, di chi, pur di realizzare le proprie ambizioni di potenza, finanzia guerre per procura che annientano popoli, penso a quello siriano, ad esempio, e a quanti si arricchiscono con il commercio delle armi”. Ad affermarlo, in questa intervista a Oltremare, è Mairead Corrigan Maguire, Premio Nobel per la Pace 1976.

Nata a Belfast da famiglia cattolica, Maguire, decise di dedicarsi alla pace nel suo paese dopo che i tre figli della sorella furono investiti e uccisi da un’auto di cui aveva perso il controllo un membro dell’esercito repubblicano irlandese, colpito poco prima a morte da un soldato inglese. A seguito di quella tragedia la sorella si tolse la vita e Mairead fondò con Betty William, con cui ha condiviso il Nobel, il movimento “Donne per la pace”.Maguire è stata anche presidente della Nobel Women’s Initiative, la fondazione che unisce le donne insignite di questo prestigioso riconoscimento.

Il mondo è ancora alle prese con la crisi pandemica. Una crisi planetaria….

“Che porta con sé un’amara verità…”

Qual è questa verità?

“Che il virus non cancella le disuguaglianze, anzi le alimenta. Perché vi sono Paesi piagati dalla guerra in cui il sistema sanitario è andato distrutto, dove non esistono le strutture necessarie per far fronte all’emergenza in atto. Nel mondo vi sono più di 70 milioni di rifugiati, i migranti sono oltre 200 milioni. Chi si prende cura di loro? È vero, tragicamente vero: rifugiati e sfollati a causa dei conflitti sono doppiamente vulnerabili. Si dice che dopo il coronavirus niente sarà come prima. Facciamo sì che questa non rimanga un’affermazione retorica. Ogni anno vengono spesi centinaia e centinai di miliardi per armamenti. Si convertano in ricerca, in una lotta per la salute e per il lavoro che investa l’intero pianeta. Riscopriamo il valore più alto e nobile della parola “umanità”. E in questa sfida di civiltà e umanesimo, il mondo della cooperazione internazionale, con i suoi volontari, le sue associazioni, le agenzie pubbliche che lo supportano, rappresenta una risorsa preziosissima, su cui investire molto più di quanto si è fatto finora. Ogni risorsa destinata alla cooperazione è un investimento su un futuro nel quale il colore della pelle o il luogo in cui sei nato , nei tanti Sud del mondo, non siano un marchio a vita”.

Lei ha fatto riferimento alle grandi potenze e a chi le guida. Se si guarda ai loro comportamenti passati, non c’è molto da sperare.

“E invece occorre coltivare la speranza, perché l’alternativa è la rassegnazione. Ma non c’è scritto da nessuna parte che il destino dell’umanità sia quello di autodistruggersi! Le guerre non sono cataclismi naturali, ma frutto di scelte compiute dagli uomini. Si dice che la statura dei grandi politici si misuri in occasioni eccezionali. Oggi siamo di fronte ad un evento “eccezionale”, che impone una nuova visione delle relazioni sociali e umane. Chi detiene il potere è chiamato ad assumere responsabilità straordinarie. La storia li giudicherà. Una tregua umanitaria globale significa permettere la realizzazione di corridoi umanitari, di mettere in sicurezza milioni di sfollati, di portar loro cura e assistenza. Se si vuole, si può fare. Ed è venuto il momento”.

Lei parla dei potenti della Terra, ma non c’è anche una responsabilità individuale che appartiene a tutti noi?

“Assolutamente sì. Ripensare le relazioni sociali e umane comporta una riflessione su noi stessi, sul senso della vita, sul consumo sfrenato che spesso maschera un impressionante vuoto ideale. Ai tempi del coronavirus siamo chiamati tutti, nessuno escluso, a pensarci ed agire come cittadini del mondo. Occorre dare sostanza a parole come solidarietà, civismo, inclusione… E non chiudere gli occhi di fronte alla tragedia di milioni di persone costrette a fuggire dall’inferno di guerre, povertà assoluta, disastri ambientali, come se tutto ciò non ci riguardasse. E invece ci riguarda, eccome. Perché un mondo diseguale produce catastrofi che non possono essere fermate da muri o fili spinati”.

Pensare ai più indifesi, sfollati, rifugiati, migranti, porta inevitabilmente alla memoria ciò che è avvenuto, e in parte continua ancora ad accadere, tra Grecia e Turchia, e nelle isole greche come Lesbo, con decine di migliaia di esseri umani ammassati in campi sempre più affollati

“È una condizione angosciante. Io ho avuto modo di visitare altri campi di accoglienza, e ne sono uscita scioccata. Nessuno, e mi riferisco in particolare a chi detiene il potere politico, può dire di non sapere ciò che le associazioni umanitarie denunciano ormai da tempo: le condizioni di vita nei centri di detenzione, perché di detenzione si tratta, si stanno rapidamente deteriorando e migliaia di persone vivono in condizioni indecenti. E in molti casi, si tratta di bambini, di donne incinte, di persone con disabilità. Gli esseri umani che sono ammassati in quei campi sono i più indifesi tra gli indifesi: hanno dovuto subire violenze indicibili, che hanno indebolito i loro corpi, abbassato le loro difese immunitarie. E questo vale soprattutto per le donne, i bambini, gli anziani. Cosa altro deve accadere perché queste persone vengano messe in sicurezza? Vogliono centinaia di morti, magari con tanto di foto su cui versare lacrime di coccodrillo? L’Europa se ha ancora un briciolo di umanità e rispetto per quei valori che ne sono stati a fondamento, dovrebbe predisporre un piano straordinario di evacuazione che metta in sicurezza queste persone. L’Europa non può continuare a ignorare questa situazione disumana”.


Intanto il popolo siriano continua a essere costretto alla fuga, ma questo esodo biblico non sembra far più notizia…

“E’ qualcosa di terribile, difficile da raccontare. Per cogliere appieno il senso di un dramma che ha pochi eguali nella storia post seconda Guerra mondiale, bisognerebbe guardare negli occhi le vittime di questa guerra senza fine, ascoltare e non emettere sentenze. Si scoprirebbero tante cose: la prima delle quali è che un popolo siriano esiste ancora, e nonostante tutto ciò di indicibile ha sofferto e continua a soffrire, è un popolo che non ha perso la speranza, che continua a dialogare al proprio interno. Un popolo orgoglioso della propria storia e della propria identità nazionali che altri vorrebbero cancellare. Perché per costoro la Siria altro non è che una terra di conquista. Dov’è la giustizia, dov’è l’umanità in Siria? Ciò che accade in Siria, entrata nel decimo anno di guerra, è qualcosa di terribile, di devastante, che oltre al dolore dovrebbe suscitare in ogni coscienza umana un moto di indignazione e di rabbia. Un popolo intero è vittima di una guerra per procura portata avanti da potenze che hanno finanziato e alimentato il terrorismo. Nei miei viaggi in quel Paese martoriato ho avuto modo di parlare con tanti siriani di ogni etnia e fede religiosa: sciiti, alawiti, sunniti, cristiani…Ho trovato in loro non solo una sofferenza indicibile ma anche una straordinaria dignità e un desiderio comune: vivere in pace”.

La Siria, mi hanno detto in molti, non sta vivendo una guerra civile ma una invasione straniera. In Occidente si pensa che la Siria sia popolata solo da combattenti e sfollati, ma non è così, perché nonostante tutto quello che hanno dovuto subire, sono ancora in tanti, la grande maggioranza, a credere e lavorare per la riconciliazione, per superare la paura e per mantenere unito il loro paese che altri vorrebbero dividere, realizzando protettorati confessionali. Una delle colpe della comunità internazionale è di non aver voluto ascoltare queste voci, sostenerle, riconoscerle. Ma questa Siria del dialogo esiste e rappresenta l’unica speranza per un futuro di pace. E’ la Siria di quanti rifiutano tutte le violenze e continuano a lavorare per la risoluzione dei conflitti attraverso la negoziazione e l’attuazione di un processo democratico. La pace va sostenuta e non boicottata. Mi lasci aggiungere che non c’è pace senza giustizia e senza il rispetto dei diritti delle minoranze, di ogni minoranza”.

Papa Francesco ha definito “disumano” quanto continua ad accadere nella martoriata Siria, in particolare a Idlib…

“So bene dell’impegno del Santo Padre per la pace, so del suo dolore vero per la sofferenza del popolo siriano. E so anche che il pontefice, che certo non può dirsi un simpatizzante di Assad, ebbe un ruolo importante, se non decisivo, per evitare che l’America entrasse in guerra, ripetendo in Siria la catastrofe irachena. Papa Francesco ha scelto di stare dalla parte di chi soffre e non concede alibi a quanti vorrebbero strumentalizzare quelle sofferenze. Lui sta dalla parte dell’umanità. Quella che in Siria si sta perdendo”.

In Europa c’è ancora chi pensa di innalzare altri Muri e blinda le sue frontiere.

“Quei Muri sono una prova di debolezza, una vergogna ma anche una illusione. L’illusione che si possa fermare in questo modo una marea umana che fugge da situazioni di sofferenza indicibili, da regimi sanguinari dove la tortura è normalità e anche i più elementari diritti umani e civili vengono calpestati. Ho paura di quelle forze razziste che strumentalizzano l’insicurezza della gente, che alimentano la caccia al migrante. Ciò di cui sento il bisogno è di una “battaglia” culturale, è la riscoperta di quei valori di solidarietà, di inclusione, di ospitalità che sono stati a fondamento della civiltà europea. Non bastano leggi o misure di sicurezza. Io credo che vi siano dei valori non negoziabili, valori universali che vanno difesi ovunque e comunque. Da cittadini del mondo, un mondo più libero e giusto”.

 

Biografia
Umberto De Giovannangeli
Inviato speciale de l’Unità, segue da trentanni gli avvenimenti, le storie e le cronache del Medio Oriente. Ha collaborato con Huffington Post e attualmente con la rivista di geopolitica Limes, Il Riformista, Globalist e Ytali. E autore di saggi sul conflitto israelo-palestinese, sulle Primavere arabe e il radicalismo jihadista.
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