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Sahel in movimento, è ora che serve più cooperazione

Da anni diversi Paesi saheliani sono attraversati da venti di instabilità e a questo quadro già complesso hanno fatto da contorno una serie di golpe. La cooperazione sta provando però a non fermarsi, ricalibrando obiettivi e aiutando le fasce più vulnerabili della popolazione

Cosa sta succedendo nel Sahel? L’interrogativo, prima sussurrato e poi diventato eco profonda di un mondo dove i vecchi equilibri stanno saltando, è la domanda a cui centri studi, ricercatori, società civile e governi provano a dare risposte. Risposte che per forza di cose non possono essere esaustive. Servirà tempo, servirà la freddezza della distanza storica da fatti che stanno avvenendo adesso per avere, forse, racconti davvero coerenti.

Il tentativo che possiamo fare è addentrarci in questa regione di passaggio dall’Africa subsahariana a quella mediterranea, terra di carovanieri e mercanti, incrocio di genti e antiche culture. Una terra oggi divisa ma dove, tempi addietro, sono stati costruiti sentieri di dialogo e comunicazione. Sulla sabbia del Sahara c’è sempre stata una qualche forma di convivenza tra culture e modi di vita anche molto diversi tra loro.

In queste righe, circoscriviamo l’area a Mali, Burkina Faso e Niger ovvero i tre Paesi saheliani che negli ultimi anni sono stati teatro di diversi colpi di stato. Lasciamo fuori il Sudan, dove il conflitto in corso che contrappone militari e paramilitari ha una genesi diversa, e lasciamo fuori Guinea e Gabon, altri due Paesi protagonisti di altrettanti golpe.

Mali, Burkina Faso e Niger sono tuttora teatro di forti tensioni, insicurezza e instabilità con la presenza di milizie, gruppi ribelli, organizzazioni jihadiste di volta in volta contrapposte tra loro o agli eserciti nazionali. Un calderone esplosivo che ha progressivamente sottratto ai governi il controllo di ampie regioni, che ha causato massicci sfollamenti e che sta avendo conseguenze economiche negative.

“Lavorare in questi contesti è diventato più difficile, ma restare è ancor più importante per portare avanti progetti di sviluppo e di assistenza cruciali, per azioni in partenariato e per assicurare una presenza di collaborazione” sottolinea Laura Bonaiuti, direttrice della sede di Ouagadougou dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (Aics).

Fattore demografico

Uno degli elementi certi guardando al Sahel è che esso conterà sempre di più nel mondo in termini di popolazione. Il discorso, per la verità, si può allargare a tutto il continente, considerando che tra il 2030 e il 2100 (dati Undesa), la popolazione africana aumenterà di 2,2 miliardi di abitanti raggiungendo quindi per la fine del secolo quota quattro miliardi. Nello stesso periodo, la popolazione del Nord America aumenterà di 55 milioni e quella dell’Oceania di 19 milioni, mentre diminuiranno quelle di America latina (-50 milioni), Europa (-150) e Asia (-285). In altre parole, se oggi gli africani rappresentano il 18% della popolazione globale, nel 2100 saranno il 37,9%. Nella stessa fascia temporale, il peso dell’Europa passerà dall’attuale 9,3% al 5,7%.

Agadez, Niger. © Internationalia

Uno dei Paesi africani con la corsa demografica più sostenuta è il Niger, uno Stato, appunto, saheliano. In un suo articolo pubblicato su The Conversation lo scorso febbraio, Kayenat Kabir, sottolinea come il Niger, un Paese senza sbocco al mare, fatichi a nutrire i suoi 25 milioni di abitanti in costante crescita. Niamey si colloca al 115° posto su 121 Paesi nel Global Hunger Index (l’Indice globale della fame) e il numero di persone che non mangiano abbastanza è aumentato da circa il 13% della popolazione nel 2014 al 20% nel 2022. Kabir, che è ricercatrice del Center for Global Trade Analysis della Purdue University, si fa questa domanda alla fine del suo articolo: come farà il Niger a nutrire i 50 milioni di persone previsti nel 2050 se già oggi è in difficoltà?

L’interrogativo non riguarda evidentemente soltanto il Niger, ma anche i Paesi vicini, Burkina e Mali. Cambiamenti climatici, avanzata del deserto e conflitti stanno di fatto riducendo le risorse a fronte di un aumento della popolazione ma anche di persone sfollate. Quest’ultimo è per esempio uno dei temi più rilevanti del Burkina Faso, dove l’Unhcr conta almeno un milione e mezzo di sfollati.

L’importanza della cooperazione

Tamat è una delle organizzazioni della società civile italiana che vantano tra le più lunghe esperienze in Sahel. In Burkina Faso sono diversi i progetti che sta portando avanti, anche in collaborazione con Aics, e il tema della sicurezza alimentare è tra le priorità di questa organizzazione. “Abbiamo condotto progetti sull’avicoltura e sulle produzioni agricole nella cintura attorno a Ouagadougou, e oggi sono proprio questi progetti ad avere una rilevanza particolare perché consentono di rispondere almeno in parte alle esigenze di centinaia di migliaia di persone che sono state costrette a fuggire dalle loro terre a causa delle violenze” racconta Piero Sunzini, tornato da poco da uno dei suoi viaggi africani.

“Nutrire la città” è invece il nome di un altro progetto finanziato da Aics e gestito da Acra in qualità di capofila di diversi partner. Il progetto in questo caso intende contribuire all’aumento della sicurezza alimentare nella regione del Centro del Burkina Faso, migliorando qualitativamente e quantitativamente la produzione agricola urbana con l’adozione di tecniche agroecologiche, favorendo l’accesso a cibo sano, nutriente e locale per le persone più fragili. “Nutrire la città” è uno dei cinque progetti di sicurezza alimentare supportati da Aics Ouagadougou nel 2023 e di cui beneficia oltre un milione di persone tra le fasce più vulnerabili della popolazione, dice ancora la direttrice Laura Bonaiuti, ricordando che l’altro grande tema su cui la Cooperazione italiana sta prestando particolare attenzione è quello socio-sanitario.

Donne tuareg. © Internationalia

Sicurezza e sviluppo

In questo contesto in piena evoluzione, dove i punti fermi sono grandi questioni a cui dare risposte, il ripristino di condizioni di sicurezza accettabili è necessariamente il primo passo. “Non potrebbe essere altrimenti” commenta a Oltremare Cleophas Adrien Dioma, presidente dell’associazione Le Réseau. “La sicurezza, il recupero non soltanto fisico dei territori ma anche il recupero dei cuori delle persone devono ridare slancio allo sviluppo e alle esigenze di crescita economica di questi Paesi, e soprattutto alle esigenze di una giusta ripartizione delle risorse tra la popolazione”. Una strada, conclude a sua volta Piero Sunzini di Tamat, che occorre percorrere in una logica di partnership vera e di collaborazione tra questi Paesi e i partner internazionali, Europa in testa.

Biografia
Gianfranco Belgrano
Nato a Palermo nel 1973, Gianfranco Belgrano è un giornalista e si occupa soprattutto di esteri con una predilezione per l’Africa e il Medio Oriente. È direttore editoriale del mensile Africa e Affari e dell’agenzia di stampa InfoAfrica, per i quali si sposta spesso nel continente africano. Ha studiato Storia e Lingua dei Paesi arabi e vissuto per alcuni anni tra Tunisia, Siria e Inghilterra prima di trasferirsi a Roma. Ha lavorato o collaborato con varie testate (tra cui L’Ora ed EPolis) e si è avvicinato all’Africa con l’agenzia di stampa Misna, lasciata nel 2013 per fondare con alcuni amici e colleghi il gruppo editoriale Internationalia.
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