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Aloe, marula, baobab e massala. I tesori vegetali del Mozambico

Grazie a un progetto sostenuto da Aics, ricercatori italiani e mozambicani sono andati alla scoperta degli usi tradizionali delle piante locali

La linfa dell’Aloe marlothii è un potente lenitivo per le ustioni e le ferite. Sulle foglie del mopane crescono insetti ricchi di proteine. Nell’iconico baobab viene conservata l’acqua durante la stagione secca. Natura e tradizione si intrecciano nelle aree rurali del Mozambico, dove da secoli le popolazioni locali fanno affidamento sulle risorse naturali per il loro sostentamento. Custodi di un antico sapere che viene tramandato di generazione in generazione.

Nell’ambito dell’iniziativa Secosud II per la Conservazione e uso equo della biodiversità nella Regione del Sadcm finanziata dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (Aics), i ricercatori dell’Università Sapienza di Roma, in collaborazione con alcuni botanici dell’Università Eduardo Mondlane di Maputo, sono andati alla scoperta degli usi tradizionali delle piante da parte delle comunità del Parco Nazionale del Limpopo. Un’area dove le risorse vegetali fanno ancora la differenza nella vita quotidiana delle popolazioni locali. Dallo studio pubblicato su Rendiconti Lincei Scienze Fisiche e Naturali, sono emerse oltre cento piante dai molteplici usi tradizionali, simbolo di un patrimonio culturale da conoscere e preservare, che potrebbe guidare le future strategie di conservazione e uso sostenibile delle risorse naturali nel paese.

Fondato nel 2001 come parte di una più vasta area di conservazione – che comprende anche il Kruger national park in Sud Africa e Gonarezhou national park in Zimbabwe – il Parco nazionale del Limpopo rappresenta una delle zone più selvagge del Mozambico. Fitte foreste di mopane (Colophospermum mopane) si affacciano sul Lago Massingir e si impongono nelle aree più interne dell’area protetta, mentre vaste distese di savana si aprono verso i suoi confini, coperte da una densa vegetazione bassa e macchiate qua e là da acacie, marula (Sclerocarya birrea) e maestosi baobab. È il suggestivo scenario che offre il parco, al cui interno si annida un’eccezionale ricchezza floristica e una caratteristica – seppur timida – biodiversità animale. In mezzo a tutta questa natura vivono fra le 20.000 e le 35.000 persone. Sono le comunità del parco, per lo più concentrate nella zona cuscinetto e con poche famiglie che ancora resistono nel cuore dell’area protetta, lungo le sponde del fiume Shingwedzi, da anni coinvolte in un difficile processo di ricollocamento promosso dal Governo per favorire la wilderness del parco e offrire nuove alternative di sostentamento. Sono queste comunità i protagonisti della ricerca etnobotanica condotta dai ricercatori del progetto Secosud II.

Grazie al supporto di un interprete locale, biologi e naturalisti del progetto hanno potuto conoscere i segreti sugli usi tradizionali delle piante direttamente dai guaritori locali, i curandeiros. Nonostante le piante siano usate per vari scopi da tutta la comunità, sono loro che le conoscono meglio di tutti. Come racconta Telo da Silva Maximiano Mondlane, insegnante di Massingir e collaboratore del progetto ai tempi dello studio, “io stesso ho imparato a usare le piante grazie agli insegnamenti di un guaritore, osservandolo ogni volta che curava un malato”. È così che le conoscenze sugli usi tradizionali delle piante si tramandano nel corso delle generazioni. Le informazioni raccolte durante il confronto con i guaritori, confermate durante le missioni di campo e attraverso un’attenta verifica tassonomica condotta dai botanici della Sapienza e dell’Università Mondlane, hanno permesso di identificare più di cento piante con usi tradizionali. Specie arboree, arbustive e erbacee con caratteristiche uniche, maneggiate con maestria per molteplici scopi.

Quasi tutte le piante identificate sono usate per trattare diverse patologie. Febbre, disturbi intestinali, ferite e dolori cronici sono trattati con preparati ottenuti dalle piante medicinali. Lo stesso avviene per alcune delle malattie indicate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come le principali cause di mortalità in Africa, quali malaria, tubercolosi, infezioni respiratorie e dissenteria. L’uso delle piante nella medicina tradizionale mozambicana è veramente grande e le loro potenziali applicazioni anche nella medicina occidentale sono ancora tutte da scoprire. Non meno fondamentale è il ruolo che le piante svolgono come risorsa alimentare per le comunità del Limpopo. I semi della massala (Strychnos spinosa) sono coperti da una gustosa polpa ricca di nutrienti, così come lo sono i carnosi frutti del Ficus sycomorus, molto apprezzati soprattutto durante la stagione secca. Preziosi sono poi i semi della Ximenia caffra, una scorta alimentare che non manca mai ai pastori durante le lunghe ore di lavoro nei pascoli. Complessivamente sono oltre quaranta le piante usate per la preparazione di cibi tradizionali e bevande. Come la marula, i cui frutti vengono usati per produrre una forte birra locale.

Ampiamente usate nella medicina tradizionale e come alternative alimentari quindi, ma anche per ricavare prodotti utili all’igiene e alla cura personale o per la creazione di utensili di uso quotidiano, le piante sono veramente una risorsa fondamentale per le comunità del Parco Nazionale del Limpopo. In futuro queste risorse potrebbero avere anche importanti applicazioni commerciali e contribuire allo sviluppo sostenibile delle comunità rurali. Come? Continuando a studiare la straordinaria biodiversità di questi luoghi e includendo le popolazioni rurali nei progetti di ricerca e sviluppo di nuovi prodotti, come medicinali, frutti esotici o lozioni cosmetiche, seguendo una filiera di produzione locale. Tutto questo non è irraggiungibile. Al livello internazionale sono in vigore da anni accordi e trattati, come la Convenzione sulla diversità biologica e i suoi protocolli annessi, che regolano l’uso sostenibile della biodiversità e riconoscono ai popoli indigeni il diritto di godere dei benefici delle loro risorse. Al riguardo, diverse esperienze nell’Africa meridionale raccontano storie di successo. Ne sono un esempio i popoli San e Khoi, che hanno recentemente raggiunto un accordo di condivisione dei benefici derivanti dal commercio del famoso tè rooibos (Aspalathus linearis), una pianta endemica della regione sudafricana.

Per il Mozambico, inoltre, le opportunità non si fermano di certo al Parco nazionale del Limpopo. In un’ampia collaborazione internazionale, guidata dai biologi della Università Sapienza di Roma e dell’Università Eduardo Mondlane di Maputo, che visto la partecipazione di tecnici dell’Istituto di ricerca agraria del Mozambico ed esperti botanici del Kew – Royal Botanic Gardens, del Meise Botanic Garden Herbarium e del Buffelskloof Nature Reserve and Herbarium, il gruppo di ricercatori del progetto Secosud II ha compilato una lista aggiornata di tutte le piante vascolari del Mozambico. Più di 7000 piante presenti nel Paese, 800 delle quali legate a importanti usi tradizionali. Uno straordinario patrimonio biologico e culturale che l’Aics continua a studiare e conservare con nuove iniziative.

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