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Le donne di Port Sudan

Dal 2016 l'ong Aispo lavora con dei progetti per il rafforzamento della salute femminile finanziati da Aics. . Un reportage dalla costa del Mar Rosso, dove ha sede uno dei loro progetti.


Sono ocra, ciliegia, ciclamino e turchese i colori abbaglianti dei veli leggeri che avvolgono dalla testa ai piedi le donne di Port Sudan. Situata a nord est del vasto Paese sub-sahariano, la capitale dello Stato del Red Sea si affaccia sulla sponda occidentale del Mar Rosso e conta circa mezzo milione di abitanti. Risultato di una rapida e recente urbanizzazione, molto estesa e visibilmente deteriorata, Port Sudan è sorta fin dai primi anni del secolo scorso attorno al principale porto sudanese. Accoglie una moltitudine di gruppi etnici e numerose comunità di sfollati interni, rifugiati e richiedenti asilo provenienti dai Paesi limitrofi. Nei quartieri improvvisati delle aree periferiche, famiglie allargate di tutte le etnie vivono in abitazioni di fortuna, costruite con assi di legno e lamiera poggiate su sentieri di sabbia.

La vecchia sala parto del Maternity Hospital crediti Aics Khartoum

Sedute nel cortile del centro sanitario del quartiere, il Taqadom Rural Hospital, donne dai veli colorati di etnia Beja, sfollate delle zone insicure del Darfur e del Kordofan insieme a rifugiate dell’Etiopia e dell’Eritrea, assistono assorte a una sessione di sensibilizzazione sulla prevenzione del tumore alla cervice uterina. Nello stato del Red Sea l’incidenza dei tumori femminili, soprattutto quelli alla mammella e al collo dell’utero, è particolarmente alta, e il sistema di prevenzione pressoché inesistente.
Presente in Sudan dal 2016, l’Associazione Italiana per la Solidarieta’ tra i Popoli (Aispo), l’ong sanitaria legata all’ospedale San Raffaele di Milano, interviene nel Paese con una serie di progetti sanitari per il rafforzamento della salute femminile. Tutti finanziati dall’Agenzia italana per la cooperazione allo sviluppo (Aics), in buona parte nel quadro del consistente programma Dictorna, volto a fornire supporto tecnico e finanziario a favore delle istituzioni del sistema sanitario sudanese, i progetti di Aispo si sviluppano negli Stati orientali particolarmente poveri del Red Sea e di Kassala.

Se il 36% della popolazione sudanese vive in povertà, il 25% sopravvive in povertà estrema. Secondo alcune agenzie delle Nazioni Unite, il Sudan è il Paese con la più alta incidenza di malnutrizione acuta, con oltre un milione di bambini affetti da altissimi tassi di stunting, l’arresto della crescita mentale e motoria causato dalla mancanza di cibo. Il Paese è da decenni fermo agli ultimissimi posti nella classifica dell’Indice di sviluppo umano e la speranza di vita è di 60 anni per gli uomini e di 64 per le donne. Una serie di fattori hanno gettato il Sudan in una condizione cronica di povertà estrema e vulnerabilità: una lunga sequenza di conflitti armati interni che hanno causato milioni di morti, una dittatura quasi trentennale, la secessione dal Sud Sudan nel 2011, da sommare alla rivoluzione che ha destituito il dittatore Omar el-Bashir nel 2019, fino ad arrivare al colpo di Stato militare dello scorso ottobre e al fallimento di più tentativi di un processo di transizione democratica. La forte instabilità politica, il prolungarsi della crisi economica e un’inflazione galoppante hanno causato alti livelli di insicurezza alimentare, con 11 milioni di persone a rischio di vita. Le proiezioni delle Nazioni Unite prevedono che nel 2022 quasi un sudanese su tre necessiterà di assistenza umanitaria.

La nuova sala parto del Maternity Hospital crediti Paola Boncompagni/Aispo

“La maggior parte di queste donne è analfabeta, quindi non possiamo pensare di convincerle a farsi un test diagnostico con manifesti o volantini”, spiega la dottoressa Houssman, direttrice del Taqadom Rural Hospital. “Dobbiamo raggiungerle a casa loro, andiamo porta a porta nei villaggi rurali e sulle montagne o, come oggi, organizziamo sessioni di outreach con musica e balli”. La dottoressa spiega alle donne presenti cosa è il tumore alla cervice uterina e quello alla mammella, mettendo l’accento sull’importanza della prevenzione e offrendo loro i servizi gratuiti per il test e la diagnosi da effettuare nell’ospedale. Alla fine della sessione di sensibilizzazione alcune donne e ragazze si alzano per registrarsi e fare i test. Per questo progetto di supporto alla salute pubblica nel Red Sea, composto da componenti educative e strutturali con attenzione alla salute materna e infantile a Port Sudan, l’Aispo ha messo a punto la completa riabilitazione del Maternity Hospital, del suo blocco operatorio e del reparto di pediatria. In città l’ong interviene in dieci Health Center con attività di formazione a favore del personale medico e paramedico in diversi settori sanitari. In collaborazione con la struttura statale dell’Academy of Health of Science, si occupa del rafforzamento delle abilità di chirurghi, ostetriche, anestesisti, infermieri ed altre figure del settore. Ha inoltre riabilitato il Laboratorio centrale di analisi cliniche cittadino e un laboratorio specializzato in istopatologia, mettendo in collegamento tutte queste strutture che prima non erano coordinate tra di loro per i referti clinici dei pazienti.

“Siamo una piccola ong, ma abbiamo il privilegio di avere la nostra sede all’interno dell’Ospedale San Raffaele dal 1984” spiega il direttore di Aispo Federico Chiodi Daelli. “Oltre ai progetti sanitari nei Paesi in cui siamo presenti, abbiamo un’intensa attività di scambio con il San Raffaele per tirocini e formazione a favore dei beneficiari delle nostre attività.” Esperti e specialisti dell’ospedale milanese vengono inviati a cadenza regolare nei Paesi dove Aispo è attiva per supportarne i programmi di formazione, implementare workshop, corsi e conferenze, al fine di trasferire le competenze sanitarie necessarie per uno sviluppo locale autonomo e indipendente. Al tempo stesso, ogni anno il San Raffaele riceve a Milano decine di borsisti dai Paesi dove la ong è presente, per attività di formazione e training a loro favore nelle strutture dell’ospedale. Oltre che in Sudan, Aispo è attiva con iniziative sanitarie nelle aree di crisi di Paesi in via di sviluppo come Sud Sudan, Egitto, Madagascar, Vietnam, Colombia, Mozambico, Libano, Iraq e Sierra Leone. “I Paesi che selezioniamo devono essere in forte bisogno di aiuto. Veniamo qui, come ora in Sudan, cercando di insegnare delle cose a queste persone, però potrebbero chiederci: ‘ma tu da dove arrivi, chi sei?’” continua Chiodi Daelli, “allora li facciamo venire da noi a vedere come funziona un reparto di pediatria o di maternità del San Raffaele, come gestiamo il pronto soccorso e i laboratori clinici. In questo modo creiamo un vero interscambio e un’amicizia”.

Una studentessa di infermieria della Academy of Helath Science di Port Sudan © Paola Boncompagni/Aispo

Sempre finanziato da Aics, il progetto Safe della ong è volto a “promuovere e aumentare l’accesso ai servizi sanitari di base per la prevenzione del tumore al seno e al collo dell’utero migliorando i servizi offerti, le competenze teoriche e pratiche degli operatori sanitari e la consapevolezza della comunità sull’argomento”. In particolare l’intervento è stato pensato per offrire supporto ai rifugiati, ai migranti e alle comunità ospitanti di Port Sudan. Oltre alle molteplici attività di formazione, Safe ha effettuato la riabilitazione del blocco operatorio del Maternity Hospital di Port Sudan, nonché della sala travaglio e della sala parto, strutture obsolete e fatiscenti dove le donne partorivano in ambienti non adeguati, spesso non sterili e dalle attrezzature mediche più che obsolete. Il nuovo blocco operatorio è letteralmente candido, modernissimo e attrezzato rispettando lo standard europeo, un miraggio di impeccabilità e pulizia in un mare di desolazione. Subito accanto è stato riabilitato e attrezzato il reparto pediatrico, altra oasi nel deserto. Grazie a Safe, l’altra grande novità del Maternity Hospital è il recente arrivo di un mammografo digitale di ultima generazione, il primo dispositivo per effettuare mammografie mai introdotto nello Stato del Red Sea. Aispo ha già predisposto una lista di 20 professionisti che a breve beneficeranno delle attività di formazione specifica per il suo utilizzo: otto medici, dieci radiologi e alcuni tecnici per la manutenzione.

Un intervento di parto cesareo nella sala parto dell’Obstetric Maternity Hospital di Port Sudan, crediti Aispo

Come se non bastasse, attorno al tumore al seno e a quello dell’utero, esiste il non trascurabile problema dello stigma sociale. Le donne che scoprono di avere un tumore vengono spesso isolate dal resto della famiglia, accusate di contagiare i parenti e i membri della comunità, a volte additate come portatrici di sventura e malocchio. “Combattiamo lo stigma sociale con campagne di sensibilizzazione a casa delle persone”, spiega Houssman. “Spesso coinvolgiamo gli uomini della famiglia, i mariti e i fratelli delle donne, spiegando che se si ammalano non è colpa loro.” A Port Sudan non esiste alcun dispositivo per le applicazioni di radioterapia e le donne affette da un tumore cui vengono prescritte cure radioterapiche sono obbligate ad andare fino a Khartoum e soggiornarvi fino alla fine delle terapie. Il viaggio per la capitale è lungo e costoso, come le spese del periodo di permanenza, così queste donne diventano un peso per le loro famiglie, già numerose e prive di risorse. “Spesso arrivano qui con tumori in stadio avanzato”, dice Houssman, “si trascurano perché sanno che oltre ad essere malate diventeranno un grave peso per i familiari. A volte decidono di non curarsi affatto e si lasciano morire, ma noi le andiamo a cercare, le visitiamo e se necessario copriamo i costi delle loro cure.”

Pazienti in attesa in un centro sanitario di Port Sudan © Paola Boncompagni/Aispo

Pur non finanziandone le attività, il San Raffaele di Milano accoglie la sede di Aispo all’interno dell’ospedale e la ong si avvale di personale clinico altamente qualificato per i suoi progetti. “Ci stiamo specializzando in interventi di terzo livello ospedaliero” dice il direttore Federico Chiodi Daelli: “strutture come blocchi operatori, ma anche terapie intensive adulte, pediatriche e neonatali. Sempre di standard europeo. Si tratta del massimo livello di assistenza che si possa offrire a un paziente”. Anche grazie all’Università di Sassari (Uniss), negli ultimi otto anni Aispo ha realizzato queste strutture nel Kurdistan iracheno, intervenendo in quattro ospedali pubblici e in 52 centri sanitari, al cui personale ha offerto 18.000 ore di formazione e training the job. Nella città curda irachena di Duhok, oltre ad aver introdotto terapie intensive adulte, pediatriche e neonatali, la ong ha riabilitato diversi pronto soccorsi e alcune centrali operative per la gestione delle ambulanze. “In cinque anni la mortalità infantile nella zona di Duhok è scesa dal 16% all’8%,” continua Chiodi Daelli, “oltre a dare alla popolazione un motivo in più per non migrare, forniamo alle autorità sanitarie un modello che possono e sono in grado di replicare. Ciò significa poter fare qualcosa di estremamente concreto. Salvare vite umane”.

 

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