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Roger Etoa, medico camerunense: “Per favorire l’accesso ai vaccini prevalga la cooperazione allo sviluppo”.

La sfida dell'immunizzazione contro il Covid-19 nel continente, dalle diffidenze della popolazione locale e le fake news fino alle disuguaglianze nella distribuzione dei vaccini, al centro di un colloquio di Oltremare con lo specialista africano.

Roger Etoa, capo del Centro medico-sociale del porto autonomo di Douala, porta di accesso del Camerun al mare, è in prima linea in difesa per la salute pubblica. Oltre all’educazione sanitaria che, secondo lui, richiede una buona informazione, è iperattivo sui social network, difende l’efficacia della cooperazione internazionale dinanzi all’accesso  ai vaccini in Africa (di fatto ancora in larga parte da organizzare) e indica alcune linee guida per incoraggiare gli africani a vaccinarsi contro il Covid-19.

L’Africa è indietro rispetto al resto del mondo in termini di vaccinazione contro il Covid-19. Come spiega un tale ritardo?

Le ragioni sono note: come in altre parti del mondo globalizzato, una fetta della popolazione africana dubita dell’efficacia dei vaccini che secondo loro sarebbero stati prodotti in tempi brevissimi, a differenza di altri vaccini che hanno avuto un tempo di sviluppo più lungo. Si è quindi messa in dubbio la sicurezza di un prodotto che sarebbe stato sviluppato troppo rapidamente e si è diffuso il sospetto tra molti cittadini africani di diventare sorta di cavie per l’immunizzante. Credo che ciò sia dovuto alla scarsa informazione, all’influenza dei social network e al fatto che molti non conoscono le regole di produzione e la ricerca clinica. Perché prima che un vaccino raggiunga l’uomo, passa attraverso una serie di filtri scientifici ed etici. Altri credono alle teorie surrealiste come una certa idea del desiderio di sterilizzare le popolazioni africane, in particolare le ragazze, per limitare la fertilità e la crescita della popolazione. Si sospettava persino che il Covid fosse stato “progettato” dalle lobby per rilanciare l’industria farmaceutica nel mondo. Un fattore interno è il grado di fiducia della popolazione nei confronti delle autorità che pilotano le campagne di vaccinazione. In Camerun è scoppiato uno scandalo sull’utilizzo dei fondi imternazionali mobilizzati in urgenza per la lotta al Covid-19, finiti nelle tasche di alcune persone.

Nel complesso, è stato fatto di tutto per promuovere il successo della campagna di vaccinazione Covid in Africa?

Innanzitutto, è necessario osservare che il Covid-19 ha creato un rallentamento dell’attività e una rottura nella collaborazione tra partner internazionali, compreso all’interno della cooperazione allo sviluppo. L’Africa è stata abbandonata a se stessa a differenza delle altre pandemie ben controllate grazie alla solidarietà internazionale. A parte alcuni discorsi e appelli, la cooperazione allo sviluppo è stata meno protagonista e meno mobilitata sul campo insieme alle autorità locali, alle comunità abbandonate a loro stesse. In precedenti campagne invecelLa cooperazione allo sviluppo aveva dato prova di forza attraverso i suoi progetti, la sua organizzazione e la sua struttura sul campo. Questa mancanza di coordinamento e cooperazione si fa sentire attraverso questo ritardo nella campagna di vaccinazione anti-covid: il ritardo nel processo decisionale, nelle forniture e nella stessa somministrazione. Una questione è poi quella della disponibilità dei vaccini.

Come si può aiutare l’Africa a far fronte a questo deficit nella sua campagna di immunizzazione contro il Covid-19?

La vaccinazione è una delle armi per combattere questa pandemia, come si è visto rispetto all’emerger delle varianti e nel prevenire i casi gravi. Per questo è importante che siano disponibili in tutti i Paesi, che possano essere somministrati negli ospedali, nei centri sanitari, nelle farmacie e nelle comunità remote. Potremmo anche considerare ampagne itineranti di quartiere in quartiere. Dobbiamo rafforzare i sistemi sanitari africani in modo che gli ospedali possano avere spazi per vaccinare le persone, affinchè la catena del freddo per la conservazione e il
trasporto non venga interrotta e il personale sia formato sull’utilità dei vaccini.


Eppure l’Africa rimane meno colpita rispetto al resto del mondo. Cosa spiega questo paradosso?

Sono in corso studi per cercare di determinare perché l’Africa è meno colpita rispetto ad altre parti del mondo. Ma possiamo formulare diverse ipotesi, come quelle relativi a fattori demografici come la prevalenza di popolazione giovane sul totale della popolazione africana. In Camerun l’età media è di 25 anni. Sappiamo però che il Covid attacca più forte in caso di comorbilità nelle persone in età avanzata. C’è anche il fattore climatico: in Africa fa più caldo e il clima non è favorevole alla trasmissione dei coronavirus, come abbiamo visto che rispetto trasmissione della variante Omicron nei Paesi europei, dove si è andata a combinare con i virus influenzali invernali e altri che colpiscono il mondo Occidentale in questo periodo dell’anno. C’è anche il fatto che gli africani probabilmente hanno già un certo numero di anticorpi a causa del loro contatto ricorrente con altri virus e germi. Poi ci sono i cosiddetti trattamenti endogeni: la farmacopea tradizionale è molto diffusa. Sebbene questi trattamenti non siano stati oggetto di validazione scientifica in quanto tali, hanno avuto una vera popolarità presso la popolazione. Anche questo ha provocato un calo nei casi di malattia.

L’Africa pùo quindi considerare meno la gravità della pandemia?

Il Covid rimane un problema di salute pubblica in Africa, anche se l’impatto è diverso e il numero di casi o decessi è stato inferiore rispetto ad altre parti del mondo, in particolare Europa, America e Asia. Nonostante questo, le morti provocate dal virus hanno avuto un forte impatto sull’economia del Camerun. Abbiamo assistito alla morte di persone che erano la spina dorsale delle economie africane (ingegneri, architetti, medici; uomini d’affari) che hanno lasciato un grande vuoto sia per le loro famiglie che per le aziende in cui hanno lavorato e gli oneri sociali che hanno sostenuto. In Camerun ad oggi sono stati registrati circa 2.000 decessi e si tratta di persone che hanno avuto un forte impatto sull’economia. La minaccia quindi resta.

Lei crede nell’onnipotenza dei social network e continua la sua intensa attività di comunicazione?

Fondamentalmente sono un medico che lavora nel settore della salute pubblica. E uno degli aspetti della salute pubblica è l’educazione sanitaria. Quindi, volontariamente, metto a disposizione le mie conoscenze per illuminare l’opinione pubblica e per catturare l’attenzione: a volte usiamo argomenti che possono sembrare aggressivi, per suscitare attenzione e scatenare il dibattito. La cosa principale alla fine resta però catturare l’interesse.

Che ruolo hanno le fakenews nella tua lotta?

Le fake news circolano velocemente e hanno una notevole viralità. Ci vogliono persone qualificate per decostruire queste falsità, per liberare la popolazione da questa profonda ignoranza e trasmettere rapidamente notizie vere. La mia battaglia è contribuire alla decostruzione delle notizie false e alla diffusione di informazioni affidabili. Con un approccio nuovo e con tecniche di comunicazione contemporanee: utilizzando le stesse armi di chi diffonde fake news sia sui social network che sui media tradizionali.

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